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  • Martedì 28 ottobre 2025

C’è stato uno sciopero storico alla Benetton

Per la prima volta in trent'anni i lavoratori si sono fermati due ore, in protesta contro i turni ridotti senza preavviso

Un negozio di Benetton
Un negozio di Benetton (Peter Dazeley/Getty Images)
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Lunedì circa 350 lavoratori e lavoratrici dell’azienda di abbigliamento Benetton hanno scioperato per due ore: è la prima volta che succede negli ultimi trent’anni. Lo sciopero ha coinvolto in particolare lo stabilimento di Castrette di Villorba, in provincia di Treviso, vicino alla sede principale di Ponzano Veneto.

I sindacati hanno organizzato lo sciopero perché l’azienda ha attivato senza preavviso contratti di solidarietà al 90% a 80 lavoratori. I contratti di solidarietà sono accordi tra dipendenti e datori di lavoro con cui si cerca di evitare misure più drastiche, come i licenziamenti, riducendo l’orario di un gruppo di lavoratori e quindi il costo per l’azienda. Per compensare la parte di stipendio persa, l’INPS interviene con un’integrazione pari all’80% della retribuzione per le ore non lavorate. Di fatto, i lavoratori coinvolti lavoreranno un giorno ogni dieci fino alla fine dell’anno, il minimo previsto dalle norme.

All’inizio dell’anno l’azienda si era accordata con i sindacati per introdurre i contratti di solidarietà, ma la decisione di farli entrare in vigore è stata improvvisa e comunicata solo via mail, modalità giudicata non accettabile dai sindacati, con cui l’azienda aveva avuto sempre un confronto costruttivo. I sindacati hanno anche criticato la scelta di concentrare la solidarietà su 80 lavoratori senza nessun tipo di rotazione, che invece avrebbe permesso di far lavorare un po’ meno tutti, con ripercussioni limitate sugli stipendi.

L’applicazione dei contratti di solidarietà è il segnale evidente delle difficoltà economiche in cui si è trovata l’azienda negli ultimi anni. Dal 2012 le vendite si sono dimezzate: da 2 miliardi di euro sono scese a poco più di un miliardo nel 2023, fino ai 917 milioni del 2024.

Benetton ha fondato gran parte del suo successo sull’essere un marchio di fast fashion: vendeva prodotti accessibili per il consumo di massa prima ancora che questa definizione esistesse, ovvero prima dell’arrivo di marchi come H&M e Zara, di cui ora patisce la concorrenza. Le sue difficoltà sono le stesse di tutto il settore dell’abbigliamento, ma sono state aggravate dal modello di business che ora mostra molti limiti. A differenza della concorrenza, infatti, Benetton segue il prodotto dall’inizio, dalla creazione, alla fine, cioè alla vendita.

Il modello si è rivelato più inefficiente e costoso rispetto a quelli di Zara o H&M, che non si occupano direttamente di tutti i vari passaggi della filiera ma che si interfacciano solo con il produttore finale, che fornisce loro la merce già confezionata: è un sistema che ha il vantaggio di ridurre la gestione e i costi del prodotto finito, ma che non consente un controllo scrupoloso della catena di produzione, sia dal punto di vista etico che della qualità.

– Leggi anche: La lunga crisi di Benetton

Nell’ultimo anno, come prevedeva il severo piano industriale presentato alla fine di gennaio, Benetton ha chiuso 495 negozi su circa 3.000, di cui circa la metà in Italia. L’azienda ha offerto soldi ai lavoratori per licenziarsi o per andare in pensione in anticipo: hanno accettato circa 400 persone. Nel primo semestre del 2025 l’azienda ha avuto ricavi per 279 milioni contro i 296 dell’anno precedente, ma grazie ai risparmi sui negozi e sul personale è riuscita a contenere le perdite, passate da 66,5 a 37 milioni.