Il rapporto speciale degli italiani con le bestemmie
Ne abbiamo una gran varietà e le usiamo più che in altri paesi

Per uno studio del 2024, un gruppo di ricerca internazionale chiese a più di mille persone di scrivere tutti gli insulti, le parolacce e le espressioni ingiuriose, sconvenienti o vietate che fossero venute loro in mente, liberamente e senza fretta, nella propria lingua madre. I partecipanti allo studio parlavano 13 lingue diverse e provenivano da 17 paesi.
Alcuni risultati furono poco sorprendenti. In quasi tutte le comunità linguistiche intervistate, per esempio, tra le parolacce nominate da più persone c’erano quelle associate agli organi genitali femminili e maschili, con particolari riferimenti alle madri degli insultati. Il gruppo di ricerca scoprì però con una certa sorpresa che soltanto in un paese le bestemmie erano tra le venti parole ed espressioni tabù più nominate in assoluto: l’Italia.
Non che non le avessero scritte anche i parlanti di altre lingue: la blasfemia era emersa più o meno dappertutto come un tratto diffuso, ma molto diffuso soltanto in Italia. Inoltre, nella categoria delle bestemmie, i partecipanti italiani avevano mostrato una certa creatività con le parole composte. Altri gruppi si erano limitati a nominare qualche espressione blasfema comune; il gruppo italiano aveva generato 18 diverse combinazioni con la parola “dio”, quattro con “madonna” e tre con “cristo”.
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L’attitudine alle imprecazioni e alle parolacce è variabile da paese a paese, e nel caso dell’Italia probabilmente lo è anche da regione a regione. In generale, in diverse parti del mondo, dipende da fattori socioculturali, consuetudini nelle attività quotidiane e tipo di relazione tra i parlanti. È anche associata a particolari tratti della personalità e più diffusa tra gli uomini che tra le donne, quantomeno in pubblico.
Nonostante le loro numerose funzioni sociali e psicologiche, parolacce ed espressioni tabù sono però un argomento non molto studiato, e le bestemmie lo sono ancora meno. Non è chiaro perché in Italia siano più diffuse che altrove, anche se è molto probabile che lo siano per tradizione storica e culturale, inevitabilmente influenzata dalla vicinanza della Città del Vaticano e dalle relazioni secolari del paese con la Chiesa cattolica. È un’ipotesi condivisa anche da Simone Sulpizio, professore di psicologia all’università di Milano Bicocca e tra i principali autori dello studio del 2024, che specifica che si tratta comunque di speculazioni.
Alcune espressioni potrebbero anche essere un retaggio culturale riconducibile ad atteggiamenti popolari di ostilità verso lo Stato pontificio, in territori contesi. In Italia bestemmiare è peraltro illegale: è un illecito amministrativo (fino al 1999 era un reato), anche se l’applicazione della sanzione non è molto coerente. La bestemmia è anche un motivo di squalifica nel calcio: un caso unico nei principali campionati europei, scrisse la rivista Ultimo Uomo nel 2020, in un periodo in cui numerose bestemmie volavano e riecheggiavano negli stadi vuoti a causa della pandemia.
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La particolare familiarità della popolazione italiana con le bestemmie, espresse o represse, è un’impressione largamente condivisa e un tratto molto notato e raccontato anche all’estero. Non ci sono però dati sufficienti a concludere che sia una peculiarità unica in tutto il mondo, ricorda Sulpizio.
È vero che tra le lingue considerate nello studio (italiano, inglese, spagnolo, mandarino, cantonese, tedesco, francese, olandese, finlandese, serbo, setswana, sloveno, thailandese) alcune sono tra le più diffuse in assoluto e rappresentano aree molto popolose del pianeta. Ma ne sono comunque rimaste fuori altre, per vari limiti e contingenze. E alcune di queste – giapponese e arabo, per esempio – sono parlate in paesi in cui probabilmente «la dimensione religiosa ha un’influenza sociale, politica e culturale importante, più importante di quella della maggior parte dei paesi in cui abbiamo raccolto dati», spiega Sulpizio.
Per raccogliere dati relativi all’arabo egiziano i ricercatori e le ricercatrici avevano cominciato a lavorare con un collega egiziano, ma a un certo punto avevano smesso perché la sensibilità di quella comunità linguistica rendeva troppo difficile proseguire la ricerca. «L’argomento era considerato per la popolazione locale eccessivamente invadente nella sfera personale», dice Sulpizio. Ma magari un’inclinazione alle bestemmie emergerebbe anche in quel contesto o in altri, se le norme sociali consentissero di scrivere o pronunciare espressioni ingiuriose e parole tabù, quantomeno in privato, rendendo possibile raccogliere dati.
Insomma, conclude Sulpizio, «è un argomento per cui dalla dimensione socioculturale dipende anche una diversa disponibilità e possibilità di esprimersi tra i membri di diverse culture e diverse società».



