Le indagini sugli abusi nel carcere minorile di Milano si sono ampliate
Ora ci sono dirigenti, medici e infermieri accusati di aver saputo dei pestaggi e non averli denunciati, e più informazioni su quello che succedeva

Ci sono alcune novità nelle indagini sulle violenze e sui maltrattamenti commessi da alcuni agenti di polizia penitenziaria sui ragazzi detenuti nel carcere minorile “Cesare Beccaria” di Milano. Il numero delle persone indagate è passato da 42 a 51: sono per la maggior parte agenti e comandanti della polizia penitenziaria, ma ci sono – ed è la novità più rilevante degli ultimi mesi – anche dirigenti, medici e infermieri dell’istituto, che secondo l’accusa avrebbero saputo delle violenze ma non le avrebbero denunciate.
Le indagini sono state svolte dalla Squadra Mobile di Milano (la sezione investigativa della Polizia), che in un documento riepilogativo letto dal Post ha parlato di un «sistema endemico» presente all’interno del carcere, «deputato all’uso spregiudicato e gratuito della violenza da parte di numerosi agenti di polizia penitenziaria» contro i detenuti.
Le violenze, scrive ancora chi indaga, sarebbero state tenute nascoste dai comandanti della polizia penitenziaria, dai medici e dagli infermieri del carcere che visitavano i detenuti picchiati, e sarebbero anche state agevolate da un «continuo atteggiamento di connivenza e di omertà da parte degli organi direttivi», cioè due direttrici e una vicedirettrice. Il procedimento è ancora nella fase delle indagini preliminari: nessuna delle persone citate è sotto processo e non ci sono state condanne.
Le indagini, coordinate dalle magistrate Rosaria Stagnaro e Cecilia Vassena, sono iniziate nel 2022 dopo le segnalazioni dei genitori dei detenuti, di alcune psicologhe del carcere e dell’allora Garante dei diritti dei detenuti per il comune di Milano, Francesco Maisto. I detenuti raccontarono diversi episodi di violenza fisica e psicologica subiti all’interno del Beccaria: dissero di essere stati ammanettati con le mani dietro la schiena e di essere stati spogliati, presi a calci, pugni e frustate fino a sanguinare. Dissero anche di essere stati minacciati e insultati con espressioni razziste e di essere stati obbligati a dormire in celle di isolamento senza finestre e senza materassi.
Nell’aprile del 2024 8 agenti furono sospesi e altri 13 arrestati con le accuse, tra le altre cose, di maltrattamenti, tortura e lesioni. Uno di loro fu accusato anche di violenza sessuale. Ad agosto del 2025 il numero degli indagati era salito a 42. Tra i nuovi indagati c’erano anche due ex direttrici del carcere, Maria Vittoria Menenti e Cosima Buccoliero, la ex vicedirettrice Raffaella Messina e i due ex comandanti della polizia penitenziaria Francesco Ferone e Domenico Rondinelli.
Nel documento riepilogativo si leggono maggiori dettagli sui loro comportamenti all’interno del carcere. In particolare Menenti, direttrice tra il 2022 e il 2023, secondo l’accusa sarebbe stata informata delle violenze e avrebbe assistito, almeno in parte, al pestaggio di un detenuto che era stato ammanettato e picchiato da tre agenti. Lo ha raccontato lo stesso detenuto, sentito nelle indagini: «La direttrice ha visto me a terra con le manette e il sangue in faccia. Ha detto ai tre di togliermi le manette e mi ha detto di andare con lei». Anche alcuni educatori, interrogati o intercettati al telefono, e diversi agenti avrebbero detto che Menenti era presente in quella occasione.
Buccoliero, invece, direttrice tra il 2018 e il 2022 e tra l’aprile e il novembre 2023, è accusata di aver chiesto alle educatrici di modificare le loro relazioni professionali, documenti in cui viene descritto il percorso in carcere del detenuto. Un’educatrice, infatti, intercettata al telefono mentre parlava con una collega, avrebbe detto: «Alla Buccoliero noi glielo abbiamo detto 50 volte, ti ricordi? Di stare attenta a certe cose, che mi ricordo anche questo. Quando voleva che cambiassimo le relazioni e io non lo facevo?».
Anche Messina (l’ex vicedirettrice) sarebbe stata al corrente dei maltrattamenti ma non li avrebbe denunciati. Lei stessa in una conversazione intercettata avrebbe detto che gli agenti hanno «le mani lunghe» e che in alcuni casi nei diverbi tra agenti e detenuti «ci scappa un pugno, una spinta», aggiungendo che «queste cose capitano spesso».
Gli episodi di violenza fisica e psicologica ricostruiti risalgono al periodo tra il 2021 e il 2024. Nella prima fase delle indagini ne erano stati documentati tanti, attraverso le testimonianze dei ragazzi e attraverso le intercettazioni di alcune conversazioni tra i diretti interessati; con gli ultimi approfondimenti se ne sono aggiunti molti altri. Si sarebbero svolti soprattutto in posti del carcere dove non c’erano le telecamere e nei seminterrati, in stanze senza finestre dove i detenuti venivano rinchiusi e abbandonati anche tutta la notte.
Per nascondere pestaggi e maltrattamenti, gli agenti avrebbero compilato false relazioni di servizio (documenti in cui riportano le cose accadute nel loro turno di lavoro), scrivendo di essere intervenuti per bloccare comportamenti violenti e aggressivi dei detenuti. In alcuni casi anche i comandanti e vicecomandanti sarebbero stati al corrente di queste falsificazioni, e loro stessi avrebbero corretto alcuni passaggi delle relazioni per nascondere i pestaggi.
Anche il personale sanitario del carcere avrebbe saputo delle violenze ma non le avrebbe denunciate. Secondo le indagini Vittorio Ninno, medico penitenziario e direttore sanitario del Beccaria, e l’infermiere Daniel Tudorescu avrebbero visitato i detenuti picchiati e scritto referti medici con prognosi (cioè stime sui tempi di guarigione) pari a zero giorni, nonostante i violenti pestaggi.
È stato con gli ultimi approfondimenti che altre 9 persone sono state indagate. Due nomi e la parte corrispondente delle indagini sono stati omessi nel documento riepilogativo, ma è probabile che siano don Claudio Burgio e don Gino Rigoldi, rispettivamente cappellano ed ex cappellano al Beccaria, accusati di aver evitato di denunciare i maltrattamenti di cui sarebbero stati, almeno in parte, a conoscenza (si intuisce che siano loro da altre parti del documento in cui vengono citati esplicitamente).
Intervistato da Repubblica, Rigoldi ha detto che avrebbe segnalato le violenze se le avesse viste. Ha anche detto di aver sempre pensato che i lividi e le ferite viste sui detenuti dipendessero da risse tra di loro e non da pestaggi degli agenti.



