C’è un motivo se i ministri dicono di tutto sulla legge di bilancio

E cioè che spesso non l’hanno proprio letta

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Vari esponenti di Forza Italia hanno criticato con durezza l’innalzamento delle tasse sugli affitti brevi inserito nella legge di bilancio, il provvedimento con cui il governo decide come spendere i soldi nell’anno successivo: «Una misura iniqua», l’ha definita il deputato Alessandro Cattaneo. Anche il leader della Lega Matteo Salvini l’ha contestata: «Non mi sembra che sia un modo per aiutare il consumo interno e la domanda interna», ha detto. Pure Fratelli d’Italia, anche se con toni più pacati, ha chiesto delle correzioni.

Insomma tutti i partiti di governo hanno disconosciuto una norma che i loro leader avevano votato pochi giorni prima. C’entra ovviamente una certa dose di ipocrisia e di opportunismo politico. Ma in buona parte, quando i ministri sembrano scoprire l’effettivo contenuto della legge di bilancio solo dopo averla votata, è perché è successo davvero così: in Consiglio dei ministri hanno approvato un testo di cui conoscevano approssimativamente le norme principali, e poco o nulla del resto.

Venerdì 17 ottobre, durante la conferenza stampa tenuta al termine del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, Antonio Tajani e Matteo Salvini avevano presentato sommariamente i contenuti della legge di bilancio, dicendosi tutti molto soddisfatti e orgogliosi per il testo appena promosso. Poche ore dopo sono iniziati i bisticci: prima sulla tassa alle banche, poi sugli affitti brevi. Tra gli altri, infine, anche il ministro della Difesa Guido Crosetto ha riconosciuto alcune storture del testo che aveva da poco votato.

Non è una novità. Successe l’anno scorso – e sono solo alcuni esempi – con l’innalzamento del canone RAI (riportato a 90 euro all’anno dopo una temporanea riduzione nel 2024), con l’estensione della cosiddetta “digital tax” alle piccole e medie imprese, con l’aumento delle tasse sulle criptovalute: tutte norme votate in Consiglio dei ministri insieme alle altre contenute nella legge di bilancio, e tutte disconosciute pochi giorni dopo dagli stessi partiti che avevano esaltato i pregi di quella legge di bilancio.

Non succede solo con questo governo, anzi: è una prassi ormai consolidata, che in alcuni anni o circostanze è diventata particolarmente grottesca. Di solito il ministero dell’Economia inizia a lavorare alla redazione della legge finanziaria a partire da settembre (anche se, per certi aspetti, si potrebbe dire che l’allestimento della legge di bilancio è un lavoro che dura tutto l’anno, per quanto a intensità variabile). I funzionari del ministero, a seconda delle varie indicazioni che ricevono, iniziano a elaborare grafici e simulazioni, a stimare l’effetto che certe misure avrebbero sul bilancio dello Stato. Ma non è un lavoro lineare.

Spesso alcune misure vengono annunciate solo per fini propagandistici. Altre volte il governo fa in modo di rendere pubbliche certe intenzioni anche per valutare l’effetto che avrebbero sull’opinione pubblica o sulle categorie più direttamente interessate. E poi, man mano che ci si avvicina alla fine di settembre, il contesto si definisce meglio. Ma è un esercizio spesso caotico: perché alcune norme sono collegate tra loro, e toglierne una implica anche modificarne un’altra, e questa modifica a sua volta impone una revisione di alcune previsioni già fatte, e così via.

Poi bisogna tenere conto dei confronti più o meno riservati che il ministero dell’Economia ha con la presidenza della Repubblica, e soprattutto con le istituzioni che svolgono un po’ il ruolo di controllori, come la Banca d’Italia o l’Ufficio parlamentare di bilancio, e ovviamente con la Commissione Europea. Infine bisogna attendere che l’ISTAT, l’istituto nazionale di statistica, aggiorni le previsioni sulla crescita per l’anno in corso: di solito lo fa tra fine settembre e inizio ottobre, e anche da quei dati dipende la pianificazione della spesa del governo.

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A quel punto comincia la redazione effettiva della legge di bilancio, che deve avvenire in tempi rapidi nel rispetto di scadenze ben precise: entro il 15 ottobre il governo deve inviare alla Commissione Europea il Documento programmatico di bilancio (DPB), con le linee guida essenziali e i saldi di spesa della manovra (come viene anche chiamata la legge di bilancio); entro il 20 ottobre il disegno di legge di bilancio va approvato dal Consiglio dei ministri e inviato al parlamento.

Il grosso del lavoro, però, viene svolto dal ministero dell’Economia, in coordinamento con la presidenza del Consiglio. Gli altri ministeri vengono consultati per le norme di loro diretto interesse, e coinvolti solo marginalmente sul resto. A seconda dell’indirizzo seguito dal ministro dell’Economia, poi, possono esserci riunioni coi responsabili dei vari partiti di maggioranza, più o meno formali. Ma alla fine è il ministro stesso, con pochi collaboratori fidati, a lavorare sulle singole voci della legge di bilancio.

Tutto avviene in un contesto convulso: con le varie categorie, i sindacati, le lobby, che fanno pressioni sul governo per ottenere qualcosa, e la presidente del Consiglio che valuta quali di queste richieste accogliere, imponendo al ministro dell’Economia correzioni in corso d’opera, con un effetto domino che poi impone di effettuare aggiustamenti. Se si riduce una tassa a una certa categoria magari bisogna alzarla a un’altra, oppure bisogna tagliare i fondi per un progetto, e così via.

Si arriva così, tra tensioni e baruffe, e nella generale incertezza, al Consiglio dei ministri decisivo. Quasi sempre in questa sede è il ministro dell’Economia che, su invito della o del presidente del Consiglio, illustra la manovra: però entra nel dettaglio solo delle misure rilevanti dal punto di vista finanziario o politico, e il resto si dà per assodato. Anzi, spesso il testo che viene approvato non è neppure completo, e tutti sanno che stanno in sostanza delegando il ministro dell’Economia a sistemare le ultime questioni irrisolte o quelle marginali. Poi, quando le prime bozze della legge di bilancio iniziano a circolare, puntualmente vengono scoperte alcune norme che generano polemiche (dai giornalisti, dagli esperti dei vari settori o dai parlamentari stessi). E lì che inizia il gioco delle parti della politica.

Quest’anno, per dire, il governo ha tenuto le ultime riunioni coi sindacati e con le imprese tra il 10 e il 13 ottobre: anche per via di quegli incontri si è deciso di modificare alcuni aspetti della legge di bilancio. Ne è stata anche aumentata la portata, da 16 a 18 miliardi di euro: una scelta che ha consentito al governo di accogliere alcune istanze delle varie categorie, ma che ha costretto il ministro dell’Economia a trovare maggiori risorse economiche.

Così venerdì 17 ottobre, in Consiglio dei ministri, quasi tutti i membri del governo – tranne Giorgetti e un paio d’altri – si sono trovati per la prima volta con un testo di 110 pagine e 137 articoli pieno di numeri e riferimenti ad altre norme, in un lessico burocratico piuttosto inafferrabile (cose tipo: «così come previsto dall’articolo 1, comma 797, della legge 30 dicembre 2020, n. 178»; oppure: «all’articolo 4 del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, sono apportate le seguenti modificazioni»). È inevitabile che abbiano votato senza leggere, o quasi.

Ovviamente ciascun governo ha le sue prassi, più o meno virtuose. Giorgetti ha adottato un metodo tutto suo, tenendo i partiti quanto più possibile all’oscuro dalle sue decisioni, ignorandone spesso le sollecitazioni, e lasciando anche a deputati e senatori scarsissimi margini di spesa per chiedere misure di natura elettorale o clientelare. È stata la sua grande esperienza politica a suggerirgli di inserire consapevolmente nella legge di bilancio alcune norme su cui sapeva che si sarebbero concentrate le critiche dei partiti della sua stessa maggioranza, così da poterle usare come oggetto di scambio per vincere le loro resistenze su altre questioni. Vari indizi lasciano intendere che anche sulla questione degli affitti brevi sia andata un po’ così.

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Altre volte, più semplicemente, il governo si accorge di aver sbagliato. Successe per esempio nel dicembre del 2022. Il governo inserì nella legge di bilancio una norma che limitava l’utilizzo dei pagamenti elettronici, per poi accorgersi – grazie a una segnalazione arrivata da funzionari del precedente governo Draghi – che quella norma violava un’indicazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e rischiava dunque di far perdere all’Italia una parte dei finanziamenti europei connessi. Il governo dovette cancellare la misura in modo un po’ precipitoso.

Il ministro per i Rapporti con il parlamento Luca Ciriani alla Camera, il 30 luglio 2025 (Mauro Scrobogna/LaPresse)

In ogni caso, se c’è una certa leggerezza nell’approvare la prima bozza della legge di bilancio è anche perché è risaputo che poi il parlamento, su indicazioni o su pressioni del governo stesso, interverrà nelle settimane seguenti per modificare il testo, che deve essere infine approvato in via definitiva da Camera e Senato entro la fine dell’anno (e anche qui negli ultimi anni sono successe cose strane e problematiche).