“Il mostro” ha deciso di ricostruire tutto
La serie di Stefano Sollima sul serial killer di Firenze è quasi maniacale nella fedeltà alle vicende e alle ambientazioni originali
di Gabriele Niola

Quando circa 50 automobili d’epoca vengono messe in moto e si muovono per simulare il traffico in un piccolo paese italiano del 1968, il rumore non è quello silenzioso dei motori moderni: è assordante. È il set di Il mostro, la nuova serie di Netflix, e nell’inquadratura della scena che si sta girando una donna cammina mentre un uomo la segue. Non inquadrati, gli addetti alla gestione delle automobili le fanno muovere in un circuito approntato dalla produzione, una dietro l’altra, così che a turno passino nello sfondo dell’inquadratura in un senso e in quello opposto, dando l’illusione del traffico caotico.
In realtà è tutto ordinato, non c’è niente di casuale e non siamo nemmeno a Lastra a Signa, dov’è ambientata la scena, ma a Ronciglione, vicino Viterbo, in una piazza invecchiata e riportata al 1968 dalla produzione (The Apartment e AlterEgo). Nonostante questo, Il mostro è un caso quasi unico nel campo della ricostruzione.
Nei quattro episodi della prima stagione, usciti il 22 ottobre, vengono raccontati gli omicidi e le indagini su alcuni degli assassini sospettati di essere il serial killer noto come “il mostro di Firenze”. Tutte le puntate sono dirette da Stefano Sollima, regista della serie Gomorra e di film come Adagio e Suburra, e scritte da Leonardo Fasoli, sceneggiatore delle serie Gomorra e ZeroZeroZero. Una parte molto importante della serie è proprio la ricostruzione: dell’epoca, dei fatti e dell’azione. Nel cinema e nella televisione italiani c’è una grande esperienza di scenografia, design di interni, costumi e trucco, fa parte della tradizione di artigianato che costituisce uno degli elementi distintivi delle produzioni italiane. Il mostro ha messo insieme queste capacità con la monumentale documentazione che esiste sulle indagini sul mostro di Firenze per raggiungere un livello di fedeltà superiore al solito.

(Netflix)
Per la scena che si gira in piazza nel giorno in cui la stampa è stata invitata sul set ci sono molte comparse in abiti d’epoca. I negozi di Ronciglione sono stati mascherati da negozi di fine anni ’60, le insegne cambiate, e le auto d’epoca invecchiate e rovinate come se fossero state usate per decenni e mai cambiate. La ricostruzione è così completa che, nonostante le comparse tra un ciak e l’altro usino lo smartphone e nonostante ci siano anche persone della troupe in abiti moderni, la grande piazza sembra un luogo dell’Italia del 1968. Raramente, nel cinema italiano, un luogo così ampio viene interamente «periodizzato», cioè modificato per sembrare di un altro tempo.
In un progetto così grande che non è solo d’epoca, ma racconta più storie e quindi ha più personaggi del solito, sia tra i principali che tra i secondari, le figurazioni (cioè i personaggi che compaiono almeno una volta, anche solo sullo sfondo) sono migliaia, di diverse estrazioni sociali e in sei momenti storici diversi lungo 27 anni. È una cosa laboriosa per esempio per i costumi: ognuno veste diversamente in relazione al proprio lavoro e al reddito, oltre che all’anno raccontato. Ogni abito va recuperato e in certi casi cucito. Ci sono le divise e gli abiti da casa, quelli da festa e uno in particolare, in questa scena, è molto importante perché appena acquistato. Non è un lavoro diverso da quello che viene fatto per qualsiasi film in costume prodotto ad alti livelli, ma in questo caso nulla è stato inventato. Negli atti dei processi degli omicidi ricondotti al mostro di Firenze è descritto tutto: le trame dei vestiti, le fogge dei gioielli e le tipologie di reggiseno, che negli anni passano da essere quelli dell’Italia rurale a quelli più vicini al presente.
Anche per questa ragione a Il mostro ha collaborato un esperto del mostro di Firenze, Francesco Cappelletti, e a tutti i livelli, perché l’idea era di attenersi maniacalmente a ciò che si sa. «Nelle perizie degli omicidi c’è tutto: dalla distanza tra i bossoli, a cosa usciva dalla radio, al colore delle pareti, dei sedili delle auto o a come erano vestite le vittime» spiega lo sceneggiatore Leonardo Fasoli, che ha lavorato con Cappelletti insieme al costumista Mariano Tufano e allo scenografo Paki Meduri (lo stesso che ha creato gli interni della serie Gomorra). «La geografia degli interni delle case, i corridoi, il tipo di porte sono fedelissimi e dove abbiamo potuto abbiamo girato nelle vere location» spiega Meduri.
È quello che si dice sempre nella promozione di ogni film con ambientazione d’epoca, specialmente se tratto da una storia vera. Ma nel caso di Il mostro è evidente un lavoro più ossessivo del normale. Non solo per correttezza, ma perché per chi ha creato la serie è in quello che sta il senso: «Abbiamo messo in scena quello che altri hanno ricostruito» ha detto Sollima, «per fare una serie che non è ‘ispirata a quei fatti’ ma è esattamente quella cosa là».
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C’è stato un anno di lavoro solo sulle fonti: tutti i fascicoli, le indagini, i processi. Scherzando solo fino a un certo punto, Sollima dice che vedendo la serie ciò che sembra più strano e implausibile sono le parti reali, quelle che non hanno cambiato nonostante in certi casi siano drammaturgicamente le più deboli. Le modifiche fatte alla storia sono più che altro nei tagli. Si è scelto di individuare dei momenti chiave e raccontare quelli. In più non ci sono personaggi di finzione aggiunti, cosa che spesso si fa per agevolare il racconto, magari inventando un agente o qualcuno che indaga e così accompagna lo spettatore. Tutte le battute sono basate su ciò che si sono effettivamente dette le persone rappresentate. Solo adattate nella lingua per ragioni di comprensibilità: «Spesso siamo rimasti fedeli ai dialoghi riportati dagli atti dei processi, abbiamo cambiato solo dove non facevano capire niente».
Il punto di vista della serie è definito dalla scelta di cosa raccontare e cosa no, col risultato che non emerge una tesi su chi sia il mostro di Firenze, ma anzi vengono riportate tutte. Ogni puntata si concentra su una delle persone che a un certo punto è stata sospettata di essere il mostro, e racconta una parte degli eventi come se fosse colpevole. L’obiettivo è ricostruire la storia mostrando tanti assassini, uomini ossessionati dalle donne in un determinato periodo storico, quello successivo al 1968, in cui i rapporti tra i generi stavano cambiando. L’obiettivo dichiarato è raccontare, oltre ai fatti e alle indagini, chi erano gli italiani dell’epoca, che ruolo aveva il maschio e quale la femmina, come era organizzata la società e, come ha spiegato Sollima, «che impatto ha avuto la liberazione sessuale in quella che era una società arcaica e contadina».



