La richiesta di riaprire le indagini sul “mostro di Firenze”

È arrivata dalle famiglie di alcune vittime del celebre serial killer, secondo cui una pista promettente non fu mai approfondita

Il furgoncino nel quale furono uccisi la sera del 9 settembre 1983 i due giovani tedeschi Horst Meyer e Jens-Uwe Rüsch (PAL ARCHIVIO / ANSA)
Il furgoncino nel quale furono uccisi la sera del 9 settembre 1983 i due giovani tedeschi Horst Meyer e Jens-Uwe Rüsch (PAL ARCHIVIO / ANSA)

Gli avvocati delle famiglie di tre delle vittime del cosiddetto “mostro di Firenze” hanno chiesto, depositando due istanze presso la corte d’Assise del capoluogo toscano, la riapertura delle indagini. Secondo la richiesta degli studi legali, dovrebbe essere presa in esame una pista investigativa mai approfondita anche se presente in un dossier dei carabinieri del 1984.

I delitti compiuti da quello che i giornali italiani ribattezzarono “il mostro” sono gli omicidi seriali più tristemente celebri nella storia d’Italia. Le indagini furono complesse e spesso confuse: vennero seguite moltissime piste, ci furono scontri tra procure (quella di Firenze e quella di Perugia), si valutò l’ipotesi dell’esistenza di una setta segreta composta da medici e chirurghi mandanti dei delitti. Alla fine, si arrivò alla condanna di quelli che i giornali chiamarono «i compagni di merende».

Gli omicidi avvennero tra il 21 agosto 1968 e l’8 settembre 1985. Sul primo delitto però ci sono sempre stati dubbi: fu collegato agli altri solo nel 1983, e non è mai stato attribuito con certezza agli stessi autori degli altri sette duplici omicidi. Tutti i delitti del cosiddetto “mostro” riguardarono giovani coppie, una ragazza e un ragazzo, tranne che nel caso di Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rüsch, tedeschi, uccisi il 9 settembre 1983, che erano due ragazzi.

Gli omicidi furono compiuti nell’area di Firenze: Signa, Borgo San Lorenzo, Mosciano di Scandicci, Calenzano, Baccaiano di Montespertoli, Giogoli di Scandicci, Vicchio, San Casciano in Val di Pesa. Le coppie venivano sorprese in auto o mentre erano appartate in posti isolati, e uccise sempre con la stessa arma, una Beretta serie 70 calibro 22 caricata con proiettili Winchester con la lettera H sul fondello del bossolo. In quattro casi l’assassino o gli assassini asportarono il pube delle donne uccise, in due casi anche il seno sinistro.

– Leggi anche: La storia dei delitti del “mostro di Firenze”

A chiedere la riapertura delle indagini sono stati gli avvocati Vieri Adriani, Valter Biscotti e Antonio Mazzeo. Si tratta dei legali delle famiglie di Carmela De Nuccio, uccisa tra il 6 e il 7 giugno 1981 a Scandicci, e di Jean Michel Kraveichvili e Nadine Mauriot, assassinati a San Casciano in Val di Pesa l’8 settembre 1985. La prima istanza, che in realtà era già stata presentata e bocciata in precedenza, riguarda la possibilità di accedere agli atti del procedimento a carico di Pietro Pacciani, arrestato con l’accusa di essere uno degli assassini e morto prima del secondo processo d’appello (era stato condannato in primo grado e assolto in secondo grado, poi la Cassazione aveva deciso per un nuovo processo).

La seconda istanza, come spiega un comunicato dei tre avvocati, chiede la riapertura delle indagini e «richiama espressamente l’attenzione su una pista riguardante un sospettato presente in un vecchio dossier dei carabinieri, mai approfondita e mai entrato nella famosa lista dei sospettati, un DNA presente sulle buste anonime e sulla scena del crimine, una pistola Beretta calibro 22 sparita nel nulla e potenziali testimoni da sentire».

In una informativa dei carabinieri di Borgo San Lorenzo, datata 1984, si parlava di una pistola Beretta calibro 22 rubata in un’armeria. Quella pistola, secondo il rapporto dei militari, fu trovata in possesso di un uomo già denunciato per reati sessuali. Perquisendo la sua casa, i carabinieri avevano trovato anche dieci bossoli e due cartucce calibro 22. Su quell’uomo, secondo il rapporto, convergevano svariati indizi. La pista però non fu considerata e secondo gli avvocati che hanno presentato le istanze venne inspiegabilmente abbandonata. Il nome di quell’uomo non fu nemmeno inserito nella lista dei sospettati.

I legali delle famiglie delle tre vittime chiedono anche che si effettuino nuovi test su tre lettere scritte dal “mostro” e indirizzate ai pubblici ministeri Piero Luigi Vigna, Francesco Fleury e Paolo Canessa tra l’1 e il 5 ottobre 1985, in cui era contenuta la copia di un articolo di giornale del 29 settembre e un dito di guanto in lattice contenente una cartuccia calibro 22 Winchester serie H. Tutte le lettere riportavano il messaggio finale «Vi basta una a testa?». Su quelle lettere è stato recentemente individuato un DNA maschile che è stato comparato con quello di Pietro Pacciani e di altri nomi noti della vicenda. I test non hanno dato alcun riscontro. Ora i legali chiedono che quel DNA venga comparato con quello di tutti gli altri individui coinvolti nel procedimento, compresa la persona il cui nome era contenuto nel rapporto del 1984.

La storia processuale degli omicidi del “mostro di Firenze” è molto complessa. Pacciani venne arrestato il 17 gennaio 1993 con l’accusa di essere l’omicida di tutte le otto coppie. In primo grado venne condannato all’ergastolo, riconosciuto colpevole di 14 dei 16 omicidi, escluso quello della prima coppia. Nel processo di secondo grado, dopo 1.100 giorni di carcere, Pacciani fu assolto. L’impianto accusatorio del primo processo fu criticato dal presidente della corte d’Appello Francesco Ferri, e l’assoluzione venne richiesta anche dallo stesso pubblico ministero, Piero Tony. Nel 1996 la corte di Cassazione annullò l’assoluzione e ordinò un nuovo processo che non venne mai celebrato perché Pacciani morì il 22 febbraio 1998.

Successivamente furono arrestati e processati due amici di Pacciani, Mario Vanni e Giancarlo Lotti, reo confesso. Il primo (fu lui a coniare l’espressione «compagni di merende» riferendosi a sé stesso, Pacciani e Lotti) fu condannato all’ergastolo, il secondo a 26 anni di carcere. Entrambi vennero riconosciuti colpevoli di quattro degli otto duplici omicidi. Vanni fu scarcerato nel 2004 per motivi di salute: trascorse gli ultimi anni di vita in una casa di riposo per persone non autosufficienti e morì nel 2009. Lotti fu scarcerato, anch’esso per motivi di salute, nel 2002: morì 15 giorni dopo essere uscito dal carcere.

Nel 1988 fu aperto anche un procedimento a carico di un farmacista di San Casciano, Francesco Calamandrei. Fu l’ex moglie ad accusarlo di essere il mandante dei delitti del mostro. L’uomo fu assolto con rito abbreviato «perché il fatto non sussiste».

Due anni fa era stato archiviato l’ultimo procedimento relativo agli omicidi del “mostro”, a carico di Giampiero Vigilanti, 90 anni, ex membro della Legione straniera. Amico di Pacciani, era già stato coinvolto nelle indagini negli anni Ottanta: a casa sua erano stati trovati diversi articoli di giornale sui delitti dal 1968 in poi, alcuni proiettili dello stesso lotto usato dall’assassino negli omicidi.

Ci sono state nel tempo molte altre ipotesi. Secondo un filone di indagine, a commissionare i delitti sarebbe stata una presunta setta satanica che agiva nella zona di Firenze. Lotti, nelle sue confessioni, disse che le parti asportate dai corpi femminili venivano vendute a un misterioso dottore. Alcuni media ipotizzarono addirittura che dietro ai delitti ci fosse il serial killer americano noto come Zodiac. Secondo un’altra teoria ancora, l’assassino avrebbe potuto essere un uomo in divisa perché riusciva ad avvicinarsi senza problemi alle sue vittime. Nessuna di queste ipotesi è stata avvalorata da elementi concreti, e ancora oggi c’è molto mistero su chi eseguì e chi eventualmente ordinò gli omicidi.