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  • Giovedì 23 ottobre 2025

L’impunità dei cecchini israeliani in Cisgiordania

Il Post ha parlato con le famiglie palestinesi di Beita, dove in quattro anni i soldati israeliani hanno ucciso 15 persone

di Daniele Raineri, foto di Gabriele Micalizzi

La madre di un uomo di 32 anni ucciso nel dicembre del 2022 
(Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
La madre di un uomo di 32 anni ucciso nel dicembre del 2022 (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
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Il posto più pericoloso per i palestinesi che protestano contro i coloni in Cisgiordania è Beita, una città da 12mila abitanti vicino a Nablus, nel nord del territorio. Negli ultimi quattro anni, i soldati israeliani hanno ucciso a fucilate 15 persone durante 15 manifestazioni diverse. C’entra anche come è fatto il terreno.

A Beita ci sono due colline alte uguali. In cima a una collina c’è una colonia israeliana e il suo nome è Eviatar. In cima all’altra collina ci sono le ultime case al confine della città e un parchetto dove ogni venerdì dal maggio del 2021 si radunano i manifestanti. Dal parchetto si vede Eviatar e viceversa. In mezzo ci sono uliveti e terrazzamenti di proprietà dei palestinesi. Durante le proteste i palestinesi scendono, arrivano in fondo nella campagna fra le due colline e risalgono dall’altra parte verso la colonia. Reggono bandiere, cantano slogan, si piazzano fra gli ulivi, a volte bruciano pneumatici. I coloni israeliani e i soldati fanno il movimento inverso: scendono dall’alto, cacciano i palestinesi, li inseguono fino in fondo e poi di nuovo in salita verso Beita.

La colonia di Eviatar (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

In questo movimento a pendolo, di discese e risalite, i cecchini dell’esercito israeliano spesso si trovano in postazioni che dominano la scena dall’alto e sono fuori dal caos. Hanno una buona visuale su tutto, dai terrazzamenti con gli ulivi ai viottoli di Beita, e sparano. Non c’è un criterio, nel senso che ci sono casi verificati nei quali hanno sparato senza che ci fosse un motivo per sparare. Questo video dell’agosto del 2023 mostra che cosa succede: un palestinese che si chiama Amid al Jaghoub viene colpito al collo; morirà otto mesi dopo per la ferita.

– Leggi anche: In Cisgiordania i coloni stanno cercando di prendersi tutto

Non ci sono conseguenze per i soldati a quanto è dato sapere, nel senso che se ci sono procedimenti dell’esercito israeliano contro i cecchini, di loro non sappiamo nulla. La mancanza di indagini e di punizioni è un invito a perpetuare lo stesso comportamento.

Graffiti stencil delle persone palestinesi uccise dai cecchini israeliani (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

Eviatar è una colonia che più volte ha cessato di esistere, ma è sempre tornata a funzionare. È su quel cocuzzolo per interrompere la continuità territoriale palestinese. Era illegale anche per la legge israeliana, e non soltanto per la legge internazionale, che considera illegali tutte le colonie israeliane nei Territori palestinesi occupati. Poi è stata resa «legale» per lo stato israeliano assieme ad altre quattro colonie su impulso del ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, come rappresaglia per il riconoscimento dello stato di Palestina da parte di cinque governi, lo scorso anno.

Il 6 settembre del 2024 un cecchino israeliano ha ucciso l’attivista Ayşenur Ezgi Eygi, con passaporto statunitense e turco. Il suo caso ha attirato molta più attenzione di quelli precedenti, perché non era palestinese. Era arrivata in Cisgiordania tre giorni prima, per unirsi al movimento di solidarietà internazionale che presenzia alle proteste dei palestinesi nella speranza di inibire le violenze dei coloni e dei soldati.

Munik Akder, 66 anni, è un testimone oculare di quello che è successo. Parla al Post dal piccolo terrazzino di cemento dove due cecchini israeliani spararono contro l’attivista. Lui, che abita poco sotto con il figlio, stava passando sulla strada accanto e li ha visti da pochi metri di distanza.

Quel giorno, dice Akder, i soldati israeliani erano arrivati fino al parchetto con sette, otto jeep e avevano cacciato i manifestanti palestinesi. Li avevano spinti fin dall’altra parte della collina, in discesa, dove non si vede nemmeno più la colonia Eviatar, con i lacrimogeni e con le bombe sonore, ordigni che producono un frastuono spaventoso ma non uccidono. I palestinesi avevano lanciato pietre e poi si erano dispersi. Ayşenur Ezgi Eygi era scesa di corsa assieme ad altri internazionali e palestinesi fin giù a metà collina e si era messa all’ombra di un ulivo. I cecchini israeliani si erano piazzati sul terrazzo, da dove potevano vedere tutta Beita.

Il testimone oculare Munik Akder. Tra gli ulivi alla sua sinistra si vede il retro di un cartello: è il luogo in cui è stata colpita l’attivista Ayşenur Ezgi Eygi (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

Gli scontri erano finiti da mezz’ora, scrive un articolo del Washington Post che ha raccolto più di cinquanta video e foto fatte dai manifestanti. Akder dice che uno dei soldati ha preso la mira con calma e ha sparato due colpi: uno ha preso un palo della luce, l’altro ha centrato la testa di Ayşenur Ezgi Eygi e l’ha uccisa. «Le hanno sparato, e quando l’hanno colpita si sono messi a ridere, felici di aver centrato il bersaglio», dice il testimone Munik Akder.

Sul luogo dove è caduta l’attivista, tra gli ulivi, ora c’è un cartello con la sua foto. Dal cartello al terrazzino ci sono più di 200 metri, in salita. Tirare pietre dal punto dove l’attivista è stata uccisa al terrazzo è fisicamente impossibile.

Una foto dell’attivista Ayşenur Ezgi Eygi, nel luogo dove è stata uccisa (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

Quattro giorni dopo l’esercito israeliano ha diffuso questo comunicato:

«I comandanti delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno condotto un’inchiesta sull’incidente in cui una cittadina straniera, Aysenur Ezgi Eygi, è stata uccisa venerdì scorso all’incrocio di Beita, in Samaria [Samaria è il nome usato dagli israeliani per la Cisgiordania occupata]. L’inchiesta ha rilevato che è altamente probabile che la donna sia stata colpita indirettamente e involontariamente dal fuoco delle IDF, che non era diretto a lei, ma al principale istigatore della rivolta. L’incidente è avvenuto durante una violenta rivolta in cui decine di sospetti palestinesi hanno bruciato pneumatici e lanciato pietre contro le forze di sicurezza all’incrocio di Beita. A seguito dell’incidente, la Divisione Investigativa Criminale della Polizia Militare (MPCID) ha avviato un’indagine. I risultati saranno sottoposti all’esame del Corpo dell’Avvocatura Generale Militare al termine della stessa».

L’indagine non ha ancora prodotto risultati pubblici.

In una casa di Beita il padre Ali Khabisa, 62 anni, e il fratello Mustafa Khabisa, 29 anni, raccontano la morte di Mohammad, ucciso a 29 anni da un cecchino israeliano nel settembre del 2021. Era su un possedimento di famiglia seduto sotto un ulivo, per un sit-in che aveva lo scopo di bloccare l’ingresso di coloni e soldati. Presenza disarmata, la forma più praticata di sumud, la parola araba che indica la volontà palestinese di resistere e sopravvivere in un ambiente avverso.

– Leggi anche: Cosa vuol dire “sumud”

Mustafa racconta che quel giorno i soldati israeliani erano a 70 metri e non hanno usato lacrimogeni o proiettili di gomma (un’arma antisommossa che di solito non è letale), ma proiettili veri. Lui era presente, è un testimone oculare di quello che è successo al fratello. Un proiettile ha colpito Mohammad alla testa, gli ha fatto saltare via un pezzo di calotta cranica.

Mustafa estrae il telefono dalla tasca, mostra una fotografia del pezzo di cranio saltato. La famiglia racconta che negli anni altri giornalisti sono venuti a informarsi sul caso, inglesi, francesi e anche israeliani del giornale Yedioth Ahronoth. Con un dito fa il gesto del proiettile che entra nella testa.

In un’altra casa di Beita, Jamal Abu Ayyash, 71 anni, descrive la morte del figlio Jamil Abu Ayyash, che aveva 32 anni quando fu ucciso nel dicembre del 2022. La dinamica è la stessa, il padre non era presente ma ha visto il corpo per il riconoscimento. Ucciso con un colpo preciso durante una manifestazione di protesta contro la colonia Eviatar.

Jamal Abu Ayyash e la moglie Khadra, con la foto del figlio (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

All’inizio, racconta Jamal Abu Ayyash, nessuno gli voleva dire che suo figlio era stato ucciso. Molta gente si era radunata davanti al cancello di casa sua, lo indica mentre beve un bicchiere di tè, ma nessuno aveva il coraggio di dargli la notizia, «dicevano che Jamil era stato colpito a una gamba». Aveva capito che era un trucco pietoso e gli stavano rivelando la verità a fasi. La moglie Khadra, 72 anni, assiste al racconto e annuisce a ogni passaggio, poi prende una fotografia del figlio da far vedere. Durante l’intervista il padre fa lo stesso segno visto in casa dell’altra persona uccisa dai cecchini israeliani: un colpo di fucile che entra in testa.