• Konrad
  • Martedì 21 ottobre 2025

La Spagna ci riprova con l’abolizione del cambio dell’ora

Pedro Sánchez non vuole più passaggi tra ora legale e solare e ha fatto una proposta che però è ancora molto preliminare

Pedro Sánchez controlla l'ora durante un dibattito in parlamento, lo scorso 17 settembre
Pedro Sánchez controlla l'ora durante un dibattito in parlamento, lo scorso 17 settembre (Eduardo Parra/Contacto via ZUMA Press)
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Lunedì il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez ha pubblicato su X un breve video in cui ha parlato di nuovo dell’ora legale, un tema su cui si era già espresso in passato: «Come sapete, questa settimana si torna a cambiare l’ora. Un’altra volta. E francamente non ha senso». Il primo ministro non si è limitato a lamentarsi: in questi giorni il suo governo si è mosso nelle istituzioni europee per riproporre di abolire il cambio dell’ora, riaprendo così un dibattito annoso.

Nel video, e nel testo del tweet, Sánchez sostiene che il cambio non generi risparmi apprezzabili di energia e che abbia effetti negativi sulla salute

Il tempismo di Sánchez ha due ragioni. Una è che il passaggio dall’ora legale a quella solare è imminente: sarà nella notte tra sabato e domenica (quando l’orario verrà spostato indietro di un’ora). La seconda è che il calendario delle date in cui viene fatto il cambio, che viene stabilito dalla Commissione Europea ogni cinque anni, sta per scadere. Quello attuale copre il periodo 2022-2026 e per questo il governo di Sánchez, assecondato dai media spagnoli, ha raccontato che il 2025 potrebbe essere l’ultimo anno col cambio dell’ora.

È una narrazione un po’ esagerata, anzitutto per come funziona la procedura. Lunedì il governo spagnolo ha ottenuto che la sua richiesta venisse aggiunta all’ultimo momento all’ordine del giorno della riunione sull’energia del Consiglio dell’Unione Europea, l’organo a cui partecipano i ministri competenti dei 27 paesi dell’Unione. Concretamente però era una proposta informativa, su cui cioè uno stato membro espone il proprio parere agli altri, e quindi per il momento non ci sono stati né un dibattito né un voto. Peraltro la sede più adatta a discuterla, per materia, era un’altra, cioè la riunione dei ministri dei Trasporti (oltre ad avere potenziali impatti sul consumo di energia, storicamente il coordinamento sul cambio dell’ora serve ai paesi per facilitare la logistica e i trasporti internazionali).

Sánchez l’ha fatta facile, ma siamo a uno stadio molto preliminare. L’iniziativa spagnola ha comunque dato nuova urgenza a una discussione ciclica che negli ultimi anni si era arenata. Ha prodotto risposte contrastanti tra i rappresentanti dei paesi, ma anche un’apertura della Commissione. Il commissario all’Energia, il danese Dan Jørgensen, infatti ha detto che verrà fatto un nuovo studio, sostenendo che sia un tema molto sentito da milioni di cittadini europei, anche se non è «uno degli aspetti più importanti del programma politico dell’Unione».

L’appoggio della Commissione alla proposta di abolire il cambio dell’ora non è davvero sorprendente, visto che storicamente è stato il suo approccio. Se n’era fatto promotore il suo precedente presidente, Jean-Claude Juncker, nonostante le istituzioni europee non abbiano i poteri per imporre un regime orario unico ai paesi membri. Juncker sperava di convincerli ad abolire il cambio dell’ora dal 2019, anno in cui il Parlamento Europeo aveva approvato il nuovo sistema seppure rinviandone l’entrata in vigore al 2021.

Da lì in poi, con in mezzo la pandemia, non se n’era fatto più nulla, principalmente per l’opposizione dei singoli stati (tra quelli contrari c’era anche l’Italia). Oggi Sánchez può contare sull’appoggio della persona probabilmente più influente nella Commissione dopo la presidente: la vicepresidente Teresa Ribera, che è espressa dal suo paese ed è una sua ex ministra.

Lunedì Ribera ha subito detto che è «il momento giusto» per abolire il cambio dell’ora, sfruttando la scadenza del calendario comunitario. In queste occasioni viene spesso citato un sondaggio del 2018 della Commissione secondo cui l’84 per cento dei 4,6 milioni di cittadini europei intervistati (e il 93 per cento degli spagnoli) era favorevole all’abolizione. Per il momento, comunque, la proposta spagnola è soprattutto simbolica e preliminare.

Per procedere, Sánchez dovrebbe convincere il Consiglio a votarla e servirebbe una maggioranza qualificata (cioè 15 paesi su 27, oppure un gruppo di paesi che rappresenti il 65 per cento della popolazione dell’Unione), che non è per niente scontata. A quel punto si potrebbero aprire i negoziati con il Parlamento Europeo e il Consiglio, che solitamente sono molto lunghi. In ogni caso i poteri delle istituzioni europee sull’orario sono solo di coordinamento tra gli stati, che manterrebbero l’ultima parola, e con ogni probabilità le trattative si protrarrebbero oltre il 2026.

L’ora legale fu introdotta in molti paesi europei durante la Prima guerra mondiale, con l’obiettivo di risparmiare energia, cosa che secondo Sánchez e chi promuove l’abolizione però l’ora legale non fa in maniera apprezzabile. Questa connotazione rimase durante la Seconda guerra mondiale e già nel 1980 l’allora Comunità Economica Europea, antenata dell’Unione, stabilì un primo coordinamento tra i suoi paesi. Il sistema attuale deriva da una direttiva del 2001.

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