L’Italia ha ancora bisogno di infermieri dall’estero
E ne avrà sempre di più, a meno che non vengano aumentati molto gli stipendi per rendere più appetibile la professione

In Italia ci sono pochi infermieri rispetto alla richiesta, e per risolvere questo problema diverse regioni hanno assunto negli ultimi anni migliaia di infermieri da altri paesi. La Lombardia per esempio ha assunto lavoratori e lavoratrici da Argentina, Paraguay e Uzbekistan, il Piemonte da India e Albania. Parlando con il Corriere della Sera, il ministro della Salute Orazio Schillaci ha detto che sta lavorando per poter assumere altri infermieri dall’India. Diceva la stessa cosa un anno fa, ma questo non significa che nel frattempo non sia stato fatto nulla: tra le altre cose il ministero ha tentato di rendere più attrattiva la professione alzando gli stipendi, ma il problema ha dimensioni tali che per risolverlo serve tempo, e un’unica soluzione non esiste.
In Italia gli infermieri sono circa il 20 per cento in meno rispetto alla media dei paesi dell’OCSE, l’organizzazione che comprende alcuni tra i paesi più industrializzati al mondo: sono 6,5 ogni 1000 abitanti, in Francia sono 8,8, in Germania 12. Per rimpolpare l’organico in poco tempo l’unico modo è appunto assumerli da altri paesi, e infatti secondo le stime dell’Associazione medici di origine straniera in Italia (AMSI), gli infermieri stranieri in Italia sono 43.600, circa il 10 per cento del totale.
E con ogni probabilità in futuro ne serviranno altri: i dati dell’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS) dicono infatti che nei prossimi 10 anni andranno in pensione circa 78.000 infermieri, circa un terzo di quelli che lavorano per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN). L’AGENAS spiega che questa situazione è dovuta a un periodo di interruzione delle assunzioni e calo del personale durato dal 2013 al 2019: in questo periodo i dipendenti del SSN sono diventati 20mila in meno, con la conseguenza che l’età media si è alzata. Per questo motivo il rapporto tra chi andrà in pensione e il totale dei dipendenti è molto alto.
La mancanza di infermieri non è un problema recente, c’era anche prima della pandemia. È dovuta agli alti carichi di lavoro e agli stipendi bassi, che rendono la professione poco attrattiva, ma anche all’invecchiamento della popolazione, che rende e renderà necessario un maggior numero di medici e infermieri. A questo si aggiunge una gestione poco lungimirante delle assunzioni in anni passati.
L’assunzione di infermieri stranieri come soluzione è stata criticata dai sindacati di categoria, che non la considerano efficace nel lungo periodo, e chiedono un miglioramento delle condizioni lavorative e aumenti degli stipendi, tra i più bassi d’Europa. Secondo un rapporto della Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche (FNOPI), l’ente pubblico che gestisce l’albo degli infermieri in Italia, lo stipendio medio di un infermiere in Italia è 32.400 euro lordi, contro i 39.800 euro in media nei paesi dell’area OCSE.
Un primo passo è stato fatto: a giugno di quest’anno è stato rinnovato il contratto collettivo del personale del Servizio Sanitario Nazionale, che tra le altre cose prevedeva un aumento degli stipendi medio di 172 euro lordi al mese, con un massimo di 516 euro lordi al mese per infermiere e infermieri di pronto soccorso.
È stato fatto qualcosa anche per tentare di ridurre i loro carichi di lavoro. A ottobre dell’anno scorso la Conferenza Stato-Regioni ha istituito la figura dell’assistente infermiere, che si occupa di alcune delle funzioni che spettano agli infermieri. La Conferenza Stato-Regioni è un organo collegiale presieduto dal presidente del Consiglio e che ha come membri i presidenti delle Regioni e delle province autonome.
Di fatto però si è trattato di regolamentare una situazione che in alcuni casi è già in atto: diverse delle mansioni degli infermieri venivano e vengono svolte da operatori sociosanitari, anche se questi non sarebbero autorizzati a farlo (per diventare operatori sociosanitari non serve una laurea, si frequenta un corso organizzato dalle Regioni al quale si può accedere con la licenza media). La scelta di istituire l’assistente infermiere è stata quindi criticata, perché si rischia di dare maggiori responsabilità a personale meno qualificato e ridurre così la qualità del servizio sanitario.
Un’altra soluzione è aumentare il numero di posti nei corsi di laurea in Infermieristica, cosa che negli anni il ministero dell’Università e della Ricerca ha fatto. Quest’anno i posti disponibili sono 20.699, il doppio rispetto al 2001, anno in cui è stata istituita la laurea. Il problema è che si candidano meno studenti rispetto ai posti messi a bando: quest’anno circa 19 mila. La distribuzione poi non è uniforme: al Sud ci sono più candidati che posti disponibili, al Nord meno. I sindacati e gli infermieri spiegano questi dati sempre con la scarsa attrattività della professione, e anche Schillaci ha riconosciuto che servono migliori condizioni lavorative e paghe più alte.
Le soluzioni possibili hanno ovviamente bisogno di tempo per dare frutti: se anche da domani ci fosse un grande aumento di iscritti gli effetti non sarebbero immediatamente visibili.
Quello degli infermieri è un problema più generalizzato di quello che riguarda i medici, anche se si parla più spesso di questi ultimi. Per esempio per l’arrivo di medici cubani negli ospedali di regioni con situazioni critiche, tra cui Calabria e Sardegna, durante e dopo la pandemia. In Italia però i medici ci sono: il rapporto tra medici e popolazione italiana è più alto della media dell’area OCSE. Il problema semmai è che solo la metà di questi lavora per il SSN, perché le condizioni offerte dalla sanità privata sono più attrattive.



