La legge di bilancio in dieci punti

In parlamento probabilmente cambierà, ma intanto capiamo le misure approvate dal governo, e come sono state finanziate

Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti durante la conferenza stampa per spiegare il disegno di legge di bilancio, il 17 ottobre del 2025 (Roberto Monaldo/LaPresse)
Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti durante la conferenza stampa per spiegare il disegno di legge di bilancio, il 17 ottobre del 2025 (Roberto Monaldo/LaPresse)
Caricamento player

Venerdì il Consiglio dei Ministri ha approvato il disegno di legge di bilancio, cioè il provvedimento più importante e impegnativo dell’anno, che indica come il governo spenderà i soldi nel prossimo anno. Entro lunedì 20 ottobre il testo deve arrivare in parlamento, che lo esaminerà e dovrà approvarlo entro il 31 dicembre. Potranno dunque essere approvati aggiustamenti e modifiche rispetto alla proposta del governo, che intanto ne ha spiegato l’impianto generale in una conferenza stampa a cui hanno partecipato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, i vicepresidenti Matteo Salvini e Antonio Tajani, e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.

Le misure valgono complessivamente 18,5 miliardi di euro, finanziati attraverso un mix di aumenti di tasse, riduzioni di spesa, e in via molto residuale in disavanzo, cioè contribuendo ad aumentare il debito pubblico. È una cifra piuttosto modesta, come ha ammesso Meloni. Del resto c’erano pochi soldi, e questi pochi soldi saranno usati per aumentare la spesa in difesa (che però non rientra nella legge di bilancio, come ha specificato Meloni) e soprattutto per mettere a posto il bilancio. Di misure per la crescita e per sostenere le imprese invece non c’è quasi niente. Saranno disponibili maggiori dettagli quando verrà pubblicato il testo completo, intanto abbiamo raggruppato cosa si sa delle principali misure in dieci punti, divisi tra come lo Stato spenderà i 18,5 miliardi del prossimo anno e come intende finanziarli.

1. Dal lato della spesa la misura più importante è una nuova riduzione dell’IRPEF, l’imposta che le persone fisiche pagano sui loro redditi, principalmente da lavoro. Si dovrebbe ridurre dal 35 al 33 per cento l’aliquota del secondo scaglione, cioè la tassazione applicata in percentuale sulla parte di redditi tra i 28 e i 50mila euro annui. Una cosa tecnica, ma importante: non è l’aliquota che paga su tutto il suo reddito chi rientra in questa fascia, perché il sistema funziona a scaglioni. Si paga il 23 per cento fino a 28mila euro, il 35 per cento (che diventerà il 33) sulla quota di reddito che va tra i 28 e i 50mila euro, e il 43 per cento per tutto il reddito oltre i 50mila euro.

Quindi beneficerà della riduzione anche chi ha un reddito oltre quello scaglione specifico. Il governo ha però previsto che sia escluso chi supera i 200mila euro di reddito annuo, che continuerà a pagarci il 35 per cento. Questa misura costa 2,7 miliardi di euro all’anno.

2. In Italia il cosiddetto fiscal drag, o drenaggio fiscale (ne avevamo parlato più nel dettaglio qui), produce un aumento delle imposte e si mangia un pezzo dei nostri stipendi, quando aumentano. Per far fronte a questo problema è prevista una riduzione delle imposte sugli incrementi di stipendio dovuti al rinnovo dei contratti collettivi. Sono quei contratti generici di categoria – c’è quello dei metalmeccanici, dei giornalisti, dei lavoratori del turismo, del commercio eccetera – le cui condizioni vengono negoziate dai sindacati e dalle associazioni delle aziende del settore. Regolano la quasi totalità dei rapporti di lavoro in Italia, e periodicamente vanno rinnovati.

Il governo prevede che se una certa categoria decide di aumentare gli stipendi, quell’aumento sarà tassato soltanto al 5 per cento per chi ha una retribuzione annua sotto ai 28mila euro: per ora dovrebbe valere solo per il settore privato, e solo per gli aumenti negoziati nel 2026 e nel 2027. Tutto questo non vale se il datore di lavoro aumenta lo stipendio a un singolo dipendente.

Saranno anche detassati dal 5 all’1 per cento i premi di produttività e sarà ridotta la tassazione sul lavoro notturno e festivo. Queste misure nel complesso costano circa 2 miliardi di euro.

(Roberto Monaldo/LaPresse)

3. Ci sono poi i provvedimenti per le persone e per le famiglie, che valgono in tutto 3,5 miliardi. Il più sostanzioso costa circa un miliardo e riguarda il metodo di calcolo dell’ISEE, cioè quell’indicatore che certifica la condizione economica di un nucleo familiare e che serve per accedere ai servizi pubblici e agli sgravi. Dal calcolo sarà esclusa la prima casa: significa abbassare l’ISEE per molte persone proprietarie di un immobile, e farle così rientrare in misure da cui ora sono escluse, con un aumento dei costi per lo Stato.

Saranno comunque escluse solo le case sotto un certo valore catastale (che è all’incirca tra un terzo e un quarto del valore di mercato), che il governo in conferenza stampa non ha però specificato e per cui bisognerà attendere il testo della misura. Le soglie allo studio erano 75mila e 100mila euro, con il problema che i valori catastali possono variare molto a seconda dell’area geografica. Ma il catasto è aggiornato alla fine degli anni Ottanta, e le rendite catastali seguono logiche vecchie e superate rispetto ai valori di oggi: può capitare che un appartamento in provincia o in periferia abbia lo stesso valore (o anche maggiore) di un appartamento nel centro storico di Roma. Il governo valuta di correggere l’equità della misura riservandola alle famiglie con figli a carico, cosa che però non riequilibra le distorsioni dovute al catasto vetusto.

Ci sono poi il rifinanziamento della carta “Dedicata a te”, cioè la carta che le famiglie a basso reddito possono usare per acquistare beni di prima necessità, e l’aumento da 40 a 60 euro al mese del “bonus mamme”, destinato alle lavoratrici con due o più figli con un reddito annuo inferiore a 40mila euro. Sono misure tutto sommato piccole.

4. Sulle pensioni il governo vuole aumentare di 20 euro al mese le pensioni minime, ed evitare l’aumento dell’età pensionabile previsto per il prossimo anno: l’età pensionabile viene ricalcolata ogni due anni in automatico sulla base dell’aspettativa di vita, e il prossimo anno per le pensioni di vecchiaia dovrebbe aumentare da 67 anni a 67 anni e tre mesi. Il governo ha deciso di bloccare questo aumento per certe categorie di lavoratori, a cui consentirebbe di andare comunque in pensione a 67 anni. Per conoscere i criteri bisognerà attendere il testo dell’intervento.

5. Nel disegno di legge di bilancio sono stati previsti fondi aggiuntivi per la sanità. Che aumentasse la dotazione era già previsto dalle scorse leggi di bilancio: l’aumento previsto era di 5 miliardi di euro per il 2026, 5,7 miliardi per il 2027 e quasi 7 miliardi per il 2028. A questi la legge di bilancio in discussione dovrebbe aggiungere 2,4 miliardi nel 2026, e 2,6 miliardi annui per il biennio successivo. In conferenza stampa Meloni ha detto che serviranno ad assumere nuovi medici e infermieri e ad aumentare gli stipendi di quelli al lavoro. Sulla sanità però i proclami vanno sempre presi con cautela: le risorse destinate finiscono sempre per scontentare il settore, da anni alle prese con un cronico sottofinanziamento.

(Roberto Monaldo/LaPresse)

6. Il governo ha anche detto che nel disegno di legge sarà previsto il rinnovo di alcuni bonus per la casa. Il più importante è il bonus ristrutturazioni, una detrazione fiscale per scontare dalle imposte da pagare la somma spesa nei lavori di ristrutturazione. Dal prossimo anno sarebbe dovuto diventare meno generoso, ma il governo ha confermato che intende tenerlo così com’è anche per il 2026, e lo sconto continuerà dunque a essere pari al 50 per cento del costo della ristrutturazione per la prima casa o al 36 per cento se i lavori interessano una casa che non è la principale, in entrambi i casi fino a un importo massimo del costo dei lavori di 96mila euro.

Nella legge di bilancio, per ammissione dello stesso Salvini, non c’è invece un “Piano Casa”, annunciato con grande enfasi dal governo ad agosto e che tra le varie cose avrebbe dovuto aiutare le giovani coppie a comprare casa.

7. Ci sono poi le misure per le imprese, che Meloni ha detto valere nel complesso circa 8 miliardi di euro, poco meno di metà dell’intera legge di bilancio. Ha ammesso che rispondono solo in parte alle richieste delle associazioni delle imprese, che da mesi chiedono al governo misure per stimolare la crescita in un momento di incertezza per l’economia.

Nel disegno di legge di bilancio ci saranno alcune misure e revisioni di misure per tornare agli strumenti che le imprese avevano apprezzato negli anni scorsi, e che lo stesso governo Meloni aveva cambiato. Tra queste c’era Industria 4.0, introdotta nel 2016 dal governo di Matteo Renzi, che il governo aveva di fatto sostituito con Transizione 5.0, del tutto inefficace e cervellotica. Il governo ha messo nel disegno di legge di bilancio proprio alcune misure che caratterizzavano Industria 4.0, tra cui il “superammortamento”, cioè uno sgravio fiscale per quelle imprese che comprano nuovi macchinari o attrezzature.

8. Infine c’è un nuovo condono. Chi ha cartelle esattoriali di prima del 2023 potrà mettersi in regola pagando gli arretrati in rate mensili per 9 anni, senza sanzioni e solo con gli interessi.

9. Ma dove hanno preso i soldi? Un quarto di tutta la legge di bilancio, cioè 4,5 miliardi di euro, dovrebbe essere finanziato da una serie di tasse sugli utili di banche e assicurazioni, che negli ultimi tre anni hanno visto crescere molto i loro profitti grazie alle politiche sui tassi di interesse della Banca Centrale Europea per combattere l’inflazione, che hanno avuto la conseguenza di aumentare i tassi su mutui e prestiti, e quindi i guadagni delle banche.

In conferenza stampa il governo è stato molto restio a parlare dei dettagli di questi provvedimenti, su cui negli scorsi giorni c’era stata un po’ di polemica a causa di dissidi sia interni ai partiti di governo sia tra il governo e le banche. È stata così alimentata una confusione che da giorni sta facendo scendere il valore di borsa dei titoli degli istituti finanziari.

Qui Meloni faceva l’in bocca al lupo a Giorgetti, che veniva lasciato solo a rispondere alle molte domande sulle banche (Roberto Monaldo/LaPresse)

Le tasse in discussione saranno solo in parte diverse da quella approvata nel 2023 sui cosiddetti “extraprofitti”, che alla fine dopo molte critiche e polemiche finì per essere solo un anticipo di liquidità da parte di banche e assicurazioni, che poi lo Stato si è impegnato a restituire. Come nel 2023, più tasse sulle banche le voleva molto la Lega, che ha parlato di contributo «doveroso», mentre le rifiutava Forza Italia, secondo cui la tassa sugli “extraprofitti” è «un concetto da Unione Sovietica». In mezzo c’era Fratelli d’Italia, che non voleva replicare la farsa di due anni fa ma nemmeno scontrarsi con le banche. Alla fine il risultato è un compromesso.

A quanto si è capito questo aumento delle tasse per il settore dovrebbe essere un mix di interventi permanenti e temporanei. Quello permanente dovrebbe essere un aumento di due punti percentuali per le sole banche e assicurazioni dell’IRAP, l’imposta regionale sulle attività produttive che pagano le società.

A questo si aggiungono altre due misure temporanee. La prima è il rinvio delle cosiddette DTA, che semplificando molto sono crediti fiscali che le banche hanno nei confronti dello Stato per una serie di ragioni contabili, tra cui i prestiti che non sono riuscite a farsi restituire. Sono una sorta di sconto sulle tasse, e già nel 2023 il governo chiese alle banche di rinviarne la riscossione. In questo senso sta replicando lo stesso anticipo di liquidità di allora: non è una vera tassa perché il governo rinvia solamente il momento in cui dovrà concedere il credito fiscale.

Anche la seconda è una componente molto tecnica del bilancio delle banche, ed è legata alla controversa misura del 2023: allora il governo impose il pagamento di una tassa del 40 per cento sugli utili “aggiuntivi” che le banche avrebbero distribuito ai soci grazie all’aumento dei tassi di interesse; le banche potevano evitarne il pagamento se invece che dare questi soldi ai soci se li fossero tenuti come riserva. Fecero così praticamente tutte. Con la misura di quest’anno il governo dà la possibilità di svincolare queste riserve per distribuire dividendi agli azionisti, pagando tasse inferiori al 40 per cento di allora (come detto i dettagli non si sanno ancora, ma si parla di un 27,5 per cento). Oltre a questo lo Stato raccoglierebbe anche le imposte che gli azionisti pagherebbero sui dividendi.

Questa seconda componente però è su base volontaria e il governo è molto ottimista sul fatto che le banche svincoleranno le somme: potrebbero anche decidere di continuare a tenersi i fondi come riserva per non pagare la tassa. E in tal caso non è chiaro come il governo intenda coprire la differenza.

10. Il governo ha poi previsto che altri 5 miliardi di euro arriveranno dalla rimodulazione del PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienza finanziato con fondi europei, il cui meccanismo non è molto chiaro perché è la prima volta che i fondi del piano entrano in legge di bilancio. Inoltre il governo è stato molto vago: ci si immagina che questi soldi derivino da spese inferiori del previsto, e che quindi liberano risorse per la legge di bilancio. Ma la rimodulazione del PNRR passa attraverso un’autorizzazione della Commissione Europea, e le trattative non sono ancora concluse.

Altri 2,3 miliardi di euro saranno trovati grazie a risparmi delle spese di ministeri e presidenza del Consiglio, che già negli anni scorsi furono sottoposti a un severo piano di riduzione delle uscite. Ci sono poi voci residuali per 2,5 miliardi di euro di “Altre riduzioni di spesa” e 3,2 miliardi di “Altri aumenti di entrate”, cioè tagli alla spesa pubblica e aumenti di tasse su cui non ci sono dettagli. Giorgetti ha dato solo qualche dettaglio sugli aumenti di tasse: al momento ha parlato solo di incrementi delle accise sulle sigarette e sui carburanti, in particolare sul gasolio. In passato i partiti al governo, soprattutto Fratelli d’Italia e la stessa Meloni, avevano fatto agguerrita propaganda su quanto fossero ingiustamente alte le accise in Italia, ma poi arrivati al governo non solo non le hanno ridotte, ma le hanno anche aumentate.

– Leggi anche: È già chiaro che la prossima legge di bilancio sarà molto modesta