Le indagini sulla morte di Ramy Elgaml sono ancora ferme a questa immagine
L'accusa non ha chiaro cosa sia successo nel momento decisivo prima dell'incidente, nonostante molte consulenze tecniche

A luglio si sono chiuse le indagini sul caso di Ramy Elgaml, il 19enne morto in un incidente lo scorso novembre a Milano durante un inseguimento dei carabinieri, mentre si trovava su uno scooter guidato dall’amico Fares Bouzidi. Sono stati indagati per omicidio stradale Bouzidi e Antonio Lenoci, il carabiniere alla guida dell’auto che rincorreva Bouzidi e Elgaml. Fin dall’inizio il punto centrale delle indagini è stato capire se alla fine dell’inseguimento l’auto dei carabinieri avesse urtato il motorino causandone la caduta: di fatto le indagini sono ferme lì, e questo è ancora l’aspetto decisivo da chiarire.
Dell’inseguimento si è discusso a lungo, anche perché sono pubblici diversi video che lo riprendono (tra cui soprattutto quello della telecamera montata sull’auto dei carabinieri e quelli delle telecamere di sicurezza per la strada): si vede più volte l’auto dei carabinieri avvicinarsi molto allo scooter, tanto da speronarlo in almeno un’occasione, motivo per cui le modalità dell’inseguimento erano state molto criticate (anche per l’atteggiamento dei carabinieri, che imprecano quando i due ragazzi non cadono). D’altra parte la guida di Bouzidi era stata molto spericolata: è il motivo per cui sia lui che il carabiniere alla guida dell’auto sono indagati.
Alla fine però è rimasto da capire cosa sia successo nei momenti appena precedenti alla caduta dello scooter, su cui le immagini non permettono di farsi un’idea chiara.
Per capirlo sono state fatte molte perizie, cioè consulenze tecniche affidate a esperti che valutassero le immagini e le altre informazioni a disposizione, ma sono arrivate a conclusioni contrastanti. Chiuse le indagini, i pubblici ministeri (pm) Giancarla Serafini e Marco Cirigliano dovrebbero decidere se chiedere il rinvio a giudizio per entrambi gli indagati, e quindi chiedere che inizi un processo nei loro confronti, oppure di archiviare le accuse. Poi è il gup, il giudice per l’udienza preliminare, a dover decidere. Per ora però i pm non hanno chiesto niente, anzi: hanno chiesto un’altra perizia alla giudice per le indagini preliminari, che l’ha respinta. Significa che dovranno decidere sulla base delle perizie che già hanno.
Ci sono almeno cinque consulenze “agli atti”, cioè depositate tra i documenti delle indagini. Quelle più note e di cui si è discusso sono quelle della procura e della famiglia di Elgaml, parte lesa. La prima, commissionata all’ingegner Domenico Romaniello, dice che il comportamento dei carabinieri è stato corretto. La consulenza della famiglia, affidata all’ingegner Matteo Villaraggia, dice l’opposto, cioè che i carabinieri hanno urtato lo scooter dei due ragazzi, che per questo hanno sbandato e sono caduti. La terza consulenza è della difesa di Bouzidi e dice praticamente le stesse cose. La quarta è della difesa di Lenoci e, sulla stessa linea della procura, esclude la responsabilità dei carabinieri.
Davanti a questi quattro risultati discordanti, i pm hanno chiesto a Romaniello un’altra consulenza, la quinta, ma le sue conclusioni non sono cambiate rispetto alla prima. A settembre hanno ancora cercato di capire qualcosa di più parlando direttamente con l’ingegnere, che ha rilasciato quelle che vengono definite “sommarie informazioni testimoniali” (cioè dichiarazioni di una persona informata sui fatti che servono a ricostruire un eventuale reato).
Nel frattempo i pm hanno chiuso le indagini contestando ai due indagati un concorso di colpa per omicidio stradale. Nell’avviso di chiusura, però, non hanno aderito perfettamente alle conclusioni del loro consulente: hanno evidenziato la guida pericolosa di Bouzidi, ma anche la distanza troppo ravvicinata tenuta vicino all’incrocio da Lenoci, tra l’auto che guidava e la moto che poi è caduta. A quel punto i procuratori avrebbero dovuto decidere se chiedere il rinvio a giudizio per gli indagati, ma hanno messo tutto in pausa perché, secondo loro, le consulenze non permettevano di avere una ricostruzione chiara dell’incidente.
Da qui la richiesta della nuova perizia, per la precisione un incidente probatorio: uno strumento giuridico che avrebbe permesso loro di avere una perizia considerata “super partes” rispetto a tutte le altre, perché fatta da un esperto nominato direttamente dalla giudice. La giudice però ha rifiutato la loro richiesta e ha detto che l’incidente probatorio non si usa in questo modo, cioè non può servire ad aiutare i pm nelle loro decisioni.
Lo scopo dell’incidente probatorio, infatti, è acquisire una prova in anticipo, prima che il processo inizi. Può essere chiesto solo in alcuni casi, per esempio se c’è il rischio che la prova sparisca o si modifichi. Si può chiedere anche quando si pensa che per acquisire la prova (o fare una perizia) servirebbero più di 60 giorni, allungando troppo i tempi del processo. Quest’ultima è stata proprio la motivazione presentata dai pm Serafini e Cirigliano.
Secondo la gip, però, non regge nemmeno questa motivazione: ormai, secondo la giudice, sono state fatte così tante consulenze sull’incidente che restano da chiarire poche cose. Piccoli elementi che si possono approfondire anche durante il processo, eventualmente con altre perizie per le quali non servirebbe di certo tutto quel tempo. Si torna quindi alla situazione di prima, con il procedimento in sospeso, ma in attesa che questa volta i pm decidano.



