Anche quest’anno il governo si sta riducendo all’ultimo sulla legge di bilancio

Ma con l'approvazione del Documento Programmatico di Bilancio ci sono dettagli in più – pochi – sulle misure

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti al Forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione di Coldiretti, Roma, 14 ottobre 2025 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti al Forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione di Coldiretti, Roma, 14 ottobre 2025 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
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Martedì pomeriggio il governo ha approvato in Consiglio dei ministri il Documento Programmatico di Bilancio (DPB), che costituisce un altro passo verso il disegno di legge di bilancio vero e proprio. Si tratta della legge che stabilisce il bilancio dello Stato per il prossimo anno e che deve essere approvata entro il 31 dicembre. Il DPB è il riepilogo che viene mandato ogni anno alla Commissione Europea, ma non è ancora stato pubblicato, quindi per ora ci sono pochi dettagli: il motivo è che anche quest’anno il governo si è ridotto all’ultimo nella presentazione delle misure.

L’approvazione del DPB segue quella di inizio ottobre del Documento Programmatico di Finanza Pubblica (DPFP), che si limita a dire su quante risorse il governo può effettivamente contare. Dal DPFP si era già capito che sarà una legge di bilancio particolarmente modesta, e che le risorse sono poche. Con il DPB il governo inizia invece a dare qualche dettaglio su cosa intende fare con queste risorse, come le reperirà, e il loro impatto finanziario: in una nota del ministero dell’Economia a spiegazione del DPB il governo ha detto che la legge di bilancio movimenterà circa 18 miliardi di euro (negli ultimi dieci anni difficilmente i governi erano scesi sotto i 20 miliardi). Il Documento serve alla Commissione Europea per valutare quanto la politica economica sia in linea con gli ambiziosi obiettivi di lungo termine per il risanamento dei conti pubblici che lo stesso governo ha concordato con le istituzioni europee. La Commissione dà la sua valutazione verso metà novembre.

Solitamente il DPB viene però approvato dal Consiglio dei ministri insieme al disegno di legge di bilancio. Questa volta non è stato così, perché la legge di bilancio non è pronta e i partiti al governo stanno ancora discutendo su cosa inserirci. Ma il DPB deve essere mandato alla Commissione Europea entro mercoledì 15 ottobre, mentre la legge di bilancio può aspettare fino al 20 ottobre per essere presentata in parlamento, che la deve discutere e approvare entro la fine dell’anno. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha detto: «Oggi chiudiamo i numeri, poi le norme si perfezioneranno giovedì o venerdì». Proprio per venerdì è previsto il Consiglio dei ministri per l’approvazione del disegno di legge.

L’anno scorso successe una cosa per certi versi simile: il governo approvò tutto per tempo, ma dopo qualche settimana presentò emendamenti che cambiarono radicalmente alcune misure della legge, che fu così modificata nell’impianto originale. La misura che a questo giro sta ritardando la chiusura è l’ipotesi di una tassa sugli utili delle banche e delle assicurazioni, che negli ultimi tre anni hanno visto crescere molto i loro profitti grazie alle politiche sui tassi di interesse della Banca Centrale Europea per combattere l’inflazione, che hanno avuto la conseguenza di aumentare i tassi su mutui e prestiti e quindi i loro guadagni.

La tassa in discussione dovrebbe essere diversa da quella approvata nel 2023 sui cosiddetti “extraprofitti”, che alla fine dopo molte critiche e polemiche finì per essere solo un anticipo di liquidità da parte di banche e assicurazioni, che poi lo Stato si è impegnato a restituire. Negli scorsi giorni il governo ha negoziato con l’ABI, l’Associazione Bancaria Italiana, che si è resa disponibile a replicare la misura dell’anticipo e anche a posticipare i termini entro cui lo Stato dovrebbe restituire le somme del 2023. Ha però respinto l’ipotesi di una tassa aggiuntiva, su cui per la verità non c’è pieno accordo neanche tra i partiti al governo: come nel 2023, la vuole molto la Lega mentre la rifiuta Forza Italia. Fratelli d’Italia sta nel mezzo, perché non vuole replicare la farsa di due anni fa ma nemmeno scontrarsi con le banche.

Nella nota del ministero dell’Economia il governo ha intanto detto che l’intervento su banche e assicurazioni ci sarà, ma per i dettagli bisognerà aspettare il disegno di legge di bilancio, visto che le negoziazioni tra governo e ABI proseguono. Dalle anticipazioni uscite sui giornali sembra che dovrebbe aumentare le entrate dello Stato di 3 o 4 miliardi di euro.

Dal lato delle spese il governo ha detto che rimodulerà il calcolo dell’ISEE, cioè quell’indicatore sulla condizione economica delle famiglie che serve per accedere ai servizi pubblici e agli sgravi. L’ipotesi in discussione è di togliere la prima casa dal conteggio: significherebbe abbassare l’ISEE per molte famiglie proprietarie di un immobile, e farle così rientrare in misure da cui ora sono escluse, con un aumento dei costi per lo Stato.

L’ipotesi è di un’esclusione selettiva, cioè solo delle case sotto un certo valore catastale (che è all’incirca tra un terzo e un quarto del valore di mercato). Le soglie allo studio sono 75 e 100mila euro, con il problema che i valori catastali possono variare molto seconda dell’area geografica: 100mila euro potrebbe essere il valore catastale di un appartamento di media grandezza a Milano come di una villa in una qualsiasi provincia italiana. Il governo valuta di correggere l’equità della misura riservandola alle famiglie con figli a carico, cosa che però non riequilibra la questione territoriale.

Oltre all’ISEE ci saranno altre misure per le famiglie, per un totale di 3,5 miliardi di euro di stanziamenti. Il governo ha anche detto di voler aumentare le risorse per la sanità di 2,4 miliardi di euro per il 2026 e 2,65 miliardi per il biennio successivo.

Ha poi confermato che ci sarà una nuova riduzione dell’IRPEF, cioè dell’imposta sui redditi: si dovrebbe ridurre dal 35 al 33 per cento l’aliquota del secondo scaglione, cioè la tassazione applicata per la parte di redditi tra i 28 e i 50mila euro annui (il governo voleva tentare di arrivare a 60mila euro, ma così non è stato). La misura dovrebbe costare intorno ai 3 miliardi l’anno, e continuerebbe un percorso di generale riduzione di questa imposta già avviato negli scorsi anni dall’attuale governo: un percorso che però non ha neanche lontanamente compensato gli effetti perversi del cosiddetto drenaggio fiscale, cioè l’aumento delle tasse incassate dallo Stato per via dell’aumento dei redditi generato dall’inflazione.

Nella nota del ministero il governo parla anche di 2 miliardi di euro da stanziare per favorire l’adeguamento degli stipendi all’aumento del costo della vita, anche se non dice come. Ha detto anche di voler prolungare alcuni bonus edilizi in scadenza, ma pure in questo caso bisognerà aspettare più dettagli.

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