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  • Lunedì 13 ottobre 2025

L’incontro in Egitto sul futuro di Gaza è stato poco concreto

Alla fine è stato un altro show di Trump, che ha attirato tutte le attenzioni nonostante la presenza di una trentina di leader mondiali

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Lunedì pomeriggio a Sharm el Sheikh, in Egitto, i rappresentanti di una trentina di paesi si sono incontrati e alcuni hanno firmato un documento molto vago sul futuro della Striscia di Gaza. L’incontro è stato molto seguito, anche perché si è svolto in una giornata già molto importante per Israele e per i palestinesi: in mattinata Hamas aveva rilasciato i 20 ostaggi ancora vivi, e Israele aveva liberato quasi 2mila detenuti palestinesi, come previsto dalla prima fase dell’accordo di pace mediato e presentato da Donald Trump.

Trump, che ha presieduto l’incontro insieme al presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, aveva alzato molto le aspettative: l’aveva descritto come l’inizio della «fase due» dei negoziati, cioè quella più complessa e a rischio di fallimento, in cui dovranno essere decisi i dettagli di alcune delle questioni che finora hanno impedito un accordo a lungo termine tra Hamas e Israele (come il disarmo di Hamas e il ritiro completo dell’esercito israeliano dalla Striscia). Alla fine è stata più che altro una grossa occasione di visibilità per Trump e per gli altri leader presenti, e non ne è uscito molto di concreto.

Prima di arrivare a Sharm el Sheikh Trump era in Israele, dove in mattinata aveva tenuto un discorso trionfale alla Knesset, il parlamento israeliano. Per questo è arrivato con varie ore di ritardo e i leader internazionali hanno dovuto aspettarlo in una saletta allestita per l’occasione: l’arredamento, con vistose poltrone dorate, è stato molto commentato sui social.

All’incontro hanno partecipato i capi di stato e di governo di 29 paesi e di tre organizzazioni internazionali, tra cui l’Unione Europea. Oltre agli Stati Uniti e all’Egitto c’erano i rappresentanti di Qatar e Turchia, il presidente francese Emmanuel Macron, il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez, quello britannico Keir Starmer e il suo predecessore Tony Blair, in carica tra il 1997 e il 2007. Blair è l’unico componente noto del Consiglio di pace, l’ente tecnocratico che secondo il piano di Trump dovrebbe governare la Striscia di Gaza fino a un’imprecisata riforma dell’Autorità nazionale palestinese.

C’era anche Mahmoud Abbas, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, ossia l’ente para-governativo che amministra un pezzo della Cisgiordania. È una svolta notevole, dato che solo poche settimane fa gli Stati Uniti gli avevano negato il visto impedendogli così di partecipare all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Trump ha anche parlato con Abbas un po’ più a lungo rispetto agli altri leader.

Donald Trump e il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (AP Photo/Evan Vucci)

Per l’Italia c’era la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Trump l’ha presentata come una «bellissima giovane donna», aggiungendo che «se usi la parola “bellissima” parlando di una donna, negli Stati Uniti è la fine della tua carriera politica, ma correrò il rischio». Meloni, che era in piedi alle sue spalle, è sembrata inizialmente interdetta e imbarazzata, poi ha cambiato espressione quando Trump si è girato e l’ha guardata, chiedendole se le dispiacesse quella descrizione.

– Leggi anche: Come si è arrivati all’accordo su Gaza

Per prima cosa si è tenuto un incontro bilaterale tra Trump e al Sisi, che si sono elogiati a favore di telecamera. Dopo c’è stato un passaggio molto lungo e vagamente imbarazzante in cui i vari leader sono andati uno dopo l’altro a scattarsi una foto mentre stringevano la mano di Trump, con in sottofondo una musica trionfale. Alcune strette di mano sono state notevoli: per esempio, quella con Macron è durata una trentina di secondi, durante i quali i due si sono quasi strattonati (ci sono abituati quando s’incontrano).

Poi c’è stata la pomposa cerimonia per la firma del documento, anche se non era ancora stato reso noto cosa contenesse. Trump ha colto l’occasione per lodare nuovamente il proprio operato: «Ci sono voluti 3mila anni per arrivare a questo momento, ci credete? E reggerà, reggerà», ha detto.

Il documento è stato firmato da Trump, da al Sisi, dall’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al Thani e dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Nonostante le grandi formalità, durante l’incontro non è stato spiegato che cosa ci fosse nel documento firmato: «Ci darà molte regole, regolamenti e altre cose, è molto completo» ha detto Trump, senza dare altre informazioni.

La Casa Bianca ha poi diffuso il testo. Tra le altre cose dice che la «pace duratura» che ci sarà a Gaza sarà una in cui «sia i palestinesi sia gli israeliani potranno prosperare nella tutela dei loro diritti umani basilari, nella garanzia della loro sicurezza e con dignità». Aggiunge che i leader «riconoscono il profondo significato storico e spirituale della regione», e vogliono «sradicare l’estremismo e la radicalizzazione in tutte le loro forme», e altre frasi piuttosto vaghe.

Al di là della propaganda e delle tante cerimonie, Trump ha detto anche alcune cose su come immagina il futuro della Striscia. Sono state dichiarazioni poco concrete ma che dicono qualcosa in più sulle sue intenzioni: ha detto per esempio che il Consiglio di pace verrà allargato rispetto ai piani iniziali, perché molti paesi vorrebbero parteciparvi (non ha detto quali).

Infine c’è stato un momento in cui Trump ha presentato i vari capi di stato e di governo chiamandoli per nome, come fa spesso in queste occasioni per dare l’idea di avere con loro un rapporto di familiarità.

Dopo la conclusione dell’incontro Trump si è subito diretto all’aeroporto di Sharm el Sheik e si è imbarcato sull’Air Force One, l’aereo del presidente degli Stati Uniti, per rientrare a Washington. Prima di salire si è voltato e ha salutato brevemente i presenti, ma non si è fermato a parlare con i giornalisti.

Donald Trump sale a bordo dell’Air Force One per tornare negli Stati Uniti (AP Photo/Evan Vucci)