Papa Leone XIV ha fatto una cosa

Con la sua prima decisione rilevante ha cambiato la gestione delle finanze vaticane, e forse ha dato un segnale su come sarà il suo pontificato

di Francesco Gaeta

(AP Photo/Andrew Medichini)
(AP Photo/Andrew Medichini)
Caricamento player

Gli investimenti del Vaticano non saranno più gestiti «in via esclusiva» dallo Ior, l’Istituto per le Opere di Religione, la banca della Santa Sede. Lo ha deciso papa Leone XIV, in un documento pubblicato nei giorni scorsi dal titolo Coniuncta cura, che in parte modifica la gestione delle finanze vaticane decisa dal suo predecessore e in parte ne completa le riforme avviate.

La fine di questa esclusiva dello Ior può apparire una decisione tecnica, e invece è notevole per almeno due motivi. Il principale è che riduce il potere dell’ente della curia vaticana da sempre più discusso e controverso. Il secondo è che è la prima decisione di rilievo del nuovo pontefice, eletto a maggio e fin qui apparso attendista sia internamente che a livello diplomatico, al punto che il suo comportamento risulta difficile da interpretare perfino a chi lo aveva eletto. Qualche settimana fa, riflettendo pubblicamente su come sia fatto realmente Leone XIV, il cardinale arcivescovo di New York Timothy Dolan ha detto: «È una domanda che ci stiamo ponendo tutti».

Ora Leone XIV sembra aver fatto qualcosa per dare una prima risposta, su un tema che riguarda gli assetti interni alla curia e le finanze vaticane, che sono piuttosto disastrate.

Sono tre gli enti che si occupano delle finanze vaticane: il Comitato per gli investimenti, che stabilisce le linee guida generali da seguire; l’Apsa (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica) e lo Ior. È un assetto deciso da papa Francesco nel marzo del 2022, in un documento dal titolo Praedicate Evangelium. Francesco stabilì che «amministrare il patrimonio immobiliare e mobiliare», cioè proprietà e soldi, spetta all’Apsa. Allo Ior invece affidò l’esecuzione delle operazioni finanziarie. In sintesi: l’Apsa è la cassaforte, lo Ior è lo strumento operativo.

Qualche mese dopo la Praedicate Evangelium, papa Francesco chiarì in un altro documento che «l’attività di gestore patrimoniale e di depositario del patrimonio mobiliare della Santa Sede e delle Istituzioni collegate con la Santa Sede compete in via esclusiva all’Istituto per le Opere di Religione». Il nuovo provvedimento di Leone XIV rivede proprio questo ultimo vincolo di esclusività, riducendo il potere dello Ior.

«Nel determinare le attività di investimento finanziario della Santa Sede – si dice nel documento appena pubblicato – l’Apsa generalmente fa effettivo uso della struttura organizzativa interna dell’Istituto per le Opere di Religione, a meno che gli organi competenti non ritengano più efficiente o conveniente il ricorso a intermediari finanziari stabiliti in altri Stati». Significa che l’Apsa può affidare le scelte di investimento allo Ior ma può anche non farlo, e che quindi queste non sono più tutte concentrate sullo Ior.

Nelle intenzioni di papa Francesco, il rafforzamento dello Ior doveva servire a garantire maggiore trasparenza nella gestione degli investimenti. Dietro a questa decisione c’era anche l’esigenza di evitare operazioni azzardate e fuori controllo, come l’acquisto avvenuto nel 2014 di un immobile a Londra che coinvolse il cardinale Angelo Becciu e costò al Vaticano perdite economiche e danni reputazionali. Avere uno Ior più forte era coerente con l’azione riformatrice di Francesco, ma significava anche creare un centro di potere molto forte con cui fare letteralmente i conti.

Lo Ior, a dire il vero, di potere ne ha sempre avuto molto. Dal 1942 custodisce e gestisce i patrimoni di diocesi, ordini religiosi, enti e fondazioni cattoliche e oggi ha 12mila clienti in oltre 110 paesi. Ha una storia molto controversa: negli anni è stato accusato tra le altre cose di aver gestito l’oro dei nazisti, di aver avuto legami con la mafia e diverse associazioni criminali. È stato soprattutto al centro del tracollo del Banco Ambrosiano, che fu una delle principali banche cattoliche (cioè ispirate almeno nelle intenzioni alla dottrina della Chiesa e alla giustizia sociale) italiane. Il Vaticano ne era primo azionista tramite lo Ior allora guidato dall’arcivescovo statunitense Paul Marcinkus: il Banco fallì nel 1982 e il suo presidente Roberto Calvi, detto “il banchiere di Dio”, venne trovato morto in circostanze mai chiarite sotto il Blackfriars Bridge di Londra (di recente alla sua storia è stato dedicato un podcast).

Bergoglio aveva affidato la gestione dello Ior a due laici di sua fiducia: Jean-Baptiste de Franssu, che ne è presidente dal 2014, e a Gian Franco Mammì, che ha avuto una carriera interna all’istituto e ne è direttore dal 2016. Dopo un lungo periodo di scarsa trasparenza, nell’ultimo decennio sono stati chiusi migliaia di rapporti ritenuti non conformi e sono stati rafforzati i controlli interni. Adeguare lo Ior agli standard di trasparenza finanziaria europea non è stato facile, ed è stato necessario affrontare diverse resistenze interne. In un’intervista di qualche mese fa al Financial Times, Franssu disse che «la resistenza al programma di riforme di papa Francesco è stata massiccia, ma le cose allo Ior sono cambiate perché siamo stati più resistenti della resistenza stessa».

Nel 2024 l’Istituto per le Opere di Religione ha amministrato un patrimonio di 5,7 miliardi di euro – depositi, conti, gestioni e titoli in custodia – in aumento di 300 milioni rispetto al 2023. La gestione finanziaria è migliorata e ha prodotto 32,8 milioni di utile netto, circa il 7 per cento in più rispetto al 2023. In questo modo lo Ior ha potuto dare al Vaticano un dividendo (cioè l’utile che viene distribuito agli azionisti) di 13,8 milioni di euro da destinare a opere religiose e caritative.

È in salute anche l’Apsa, la “cassaforte” che amministra il patrimonio mobiliare e immobiliare. La sua attività principale è gestire case e palazzi di proprietà vaticana, che in Italia sono oltre 4mila. Per molto tempo è stato fatto in modo poco redditizio e molto clientelare: fino al 2023 il 70,4 per cento degli immobili era affittato a canone nullo, quindi gratis, e il 10,4 per cento a canoni agevolati. Nel 2023 papa Francesco revocò i privilegi di questi inquilini e avviò una razionalizzazione della gestione. Nel 2024 l’Apsa ha avuto un utile di 62,2 milioni di euro e ha versato 46,1 milioni alla Curia.

La decisione di Leone XIV di togliere allo Ior l’esclusiva sulla gestione degli investimenti vaticani riequilibra il rapporto tra i due principali enti di gestione finanziaria. Dice anche qualcosa di più generale, perché può essere letta come l’intenzione di uscire dallo “stato di emergenza” con cui ha fatto i conti papa Francesco al momento dell’elezione. Scandali finanziari, investimenti senza controlli e una curia con responsabilità disperse tra molti dicasteri (e altrettante voci di spesa) avevano richiesto un’azione di riforma che, come avvenuto in altri ambiti, è stata attuata anche a costo di scossoni, accentramenti e una buona dose di decisionismo: secondo i critici di Francesco, anche con qualche confusione.

Nel documento Coniuncta cura, Leone XIV sembra esserne consapevole quando afferma l’esigenza «che siano consolidate le disposizioni succedutesi nel tempo e siano ben definiti i ruoli e le competenze di ciascuna Istituzione, rendendo possibile la convergenza di tutti in una dinamica di mutua collaborazione». È un po’ una dichiarazione d’intenti, come se dopo un papato di rottura fosse arrivato il momento di consolidare e ricomporre, ordinare e normalizzare.