Le elezioni siriane sono andate come ci si aspettava
Sono stati eletti soprattutto uomini, poche donne e pochi rappresentanti delle minoranze: per molti è comunque un passo in avanti

Lunedì le autorità siriane hanno presentato i primi risultati delle elezioni per il nuovo parlamento, che si sono svolte domenica e che sono state le prime dopo la fine della dittatura di Bashar al Assad, l’anno scorso. È andata come ci si aspettava: gli eletti sono in grandissima maggioranza uomini musulmani sunniti (i sunniti sono la grande maggioranza in Siria). Tanti sono ex miliziani che hanno combattuto contro il regime di Assad durante la guerra civile, dal 2011 al dicembre 2024. Le donne sono solo sei, i rappresentanti delle minoranze nazionali una decina.
È un risultato che riflette chi ha votato e il modo in cui lo si è fatto. Il governo aveva infatti deciso di far votare un numero ristrettissimo di persone, sostenendo che fosse impossibile garantire il diritto di voto a tutti, perché tanti sono ancora sfollati e senza documenti dopo la guerra. In totale, per eleggere due terzi dei parlamentari (in tutto sono 210) hanno votato circa 6mila persone, su una popolazione totale stimata di circa 25 milioni.
Per votare i siriani dovevano fare domanda alle autorità elettorali per entrare a fare parte di assemblee locali create in ogni distretto, chiamate consigli elettorali. I candidati al parlamento sono stati selezionati tra i componenti di ogni consiglio, che poi li hanno anche votati. I consigli dovevano essere formati almeno per un quinto da donne. Per le liste dei candidati e per le persone elette in parlamento non c’erano però quote minime, né per le donne né per le minoranze. Questo sistema ha fatto sì che nelle liste i candidati fossero soprattutto uomini sunniti, così come la maggioranza degli elettori.
Il governo ha anche deciso di non organizzare il voto in alcune regioni che non controlla parzialmente o completamente, e dove gli abitanti sono in maggioranza curdi e drusi: i 21 seggi che spetterebbero a queste zone resteranno vacanti.
I curdi sono la principale minoranza all’interno della Siria, e da anni governano autonomamente un’ampia zona nel nord-est. A marzo il governo siriano aveva concluso un accordo per integrarla nel resto del paese, ma per ora non è successo. La comunità drusa invece è una minoranza religiosa molto chiusa che vive nel sud.
Proprio per evitare che il parlamento sia dominato da uomini sunniti, in teoria, le regole per le elezioni prevedono che oltre ai 140 eletti domenica, altri 70 parlamentari (un terzo del totale) vengano scelti direttamente dal presidente Ahmed al Sharaa nelle prossime due settimane: secondo le autorità siriane questo potere discrezionale dovrebbe servire ad assicurare una sufficiente rappresentanza a donne e minoranze.
Non è per nulla scontato, comunque, che al Sharaa lo farà. Lui stesso è un politico radicale, che in passato era stato legato al gruppo terrorista islamista di al Qaida e allo Stato Islamico, prima di diventare il capo di Hayat Tahrir al Sham e, con il tempo, cercare di presentarsi come un leader più moderato (Hayat Tahrir al Sham è il gruppo che ha guidato la rivolta dello scorso dicembre contro il regime di Assad, rovesciandolo).

Passanti nel centro storico di Damasco, il 2 ottobre 2025 (AP/Hussein Malla)
La protezione delle minoranze è un grosso tema in Siria, specialmente da quando Assad è stato deposto. Molti temono che il nuovo governo siriano possa adottare politiche discriminatorie verso i gruppi etnici e religiosi non sunniti. In passato, il regime di Assad ha spesso usato la violenza per eliminare le spinte separatiste da parte di alcune minoranze.
Nei mesi scorsi in Siria milizie sunnite legate al governo avevano compiuto violenze e si erano scontrate con diverse comunità non sunnite: con gli alawiti, nella provincia di Latakia, sulla costa; con i drusi, nel sud e vicino alla capitale, Damasco, e sempre con i drusi nella provincia meridionale di Suweyda a luglio.
L’agenzia Associated Press ha parlato con diversi candidati cristiani, drusi e alawiti nelle regioni in cui si è votato, che hanno raccontato di come molte persone nelle loro comunità abbiano considerato con sospetto le elezioni, e abbiano scelto di non partecipare per non legittimare il governo.
– Leggi anche: Siete alawiti o sunniti?
Anche se ci sono state molte critiche al modo in cui sono state svolte, le elezioni sono state comunque un passo in avanti rispetto ai decenni di dittatura della famiglia Assad: all’epoca c’erano elezioni non libere e non democratiche, e c’era un solo partito politico, il partito Baath legato agli Assad. Abdullah al Hafi, il direttore di un’associazione siriana che sostiene lo sviluppo delle amministrazioni locali, la Local Administration Councils Unit, ha spiegato che «la gente sta imparando il funzionamento della politica e delle alleanze», e che «molte aree che prima erano fuori dal controllo di Assad adesso sanno come fare politica».
Il nuovo parlamento resterà in carica per trenta mesi, e avrà poteri limitati, fino a quando non verrà adottata una Costituzione definitiva. Uno dei suoi principali compiti dovrebbe essere proprio quello di assicurare che in Siria la prossima volta possano tenersi elezioni a suffragio universale.



