Stiamo tornando analfabeti?

Lo sostiene una teoria radicale e piuttosto condivisa, a partire dalla diffusione di video brevi su Internet e dal calo della lettura

Una donna legge un libro e l'altra osserva lo smartphone
Due passeggere sulla metropolitana di New York (AP Photo/Mark Lennihan)
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C’è una teoria che circola in ambito anglosassone con l’espressione post-literate society (“società post-alfabetizzata”). Sostiene che il declino della lettura e la diffusione di internet e smartphone, coi loro contenuti pensati per una fruizione veloce, stiano trasformando radicalmente la società. Questa trasformazione starebbe avvenendo in modo simile ma opposto a quello che era avvenuto con la diffusione di libri e riviste nel Settecento: allora, una grossa fetta della popolazione si era abituata alla comprensione di testi lunghi, mentre ora sarebbe sempre meno in grado.

Ne ha scritto di recente il giornalista del Times James Marriott, con toni piuttosto allarmati e rassegnati, in una sua newsletter che è stata ripresa e commentata da altri giornalisti. È comunque un argomento di cui giornali e riviste culturali scrivono ciclicamente da anni. Già nel 1985 Neil Postman, un influente sociologo e critico dei media statunitense, l’aveva sostenuto in relazione alla diffusione della televisione nel libro Divertirsi da morire.

Molte delle riflessioni di Postman sulla televisione valgono anche per i media successivi e per Internet: il punto è che secondo lui – e secondo Marriott – rispetto al passato usiamo i media molto più per guardare e ascoltare, e molto meno per leggere testi lunghi, e questo potrebbe portare un cambiamento radicale – non positivo – nel modo in cui pensiamo e quindi nell’evoluzione della società.

In Europa la lettura era diventata un’esperienza molto comune a un gran numero di persone, anche tra le classi medie, all’inizio del Settecento, per effetto dell’espansione dell’alfabetizzazione e dell’abbassamento dei costi dei libri. «Fu una democratizzazione dell’informazione senza precedenti; il più grande trasferimento di conoscenza nelle mani di uomini e donne comuni della storia», ha scritto Marriott. Se prima leggevano e rileggevano per tutta la vita solo due o tre libri, a un certo punto cominciarono a leggere di tutto: giornali, riviste, libri di storia, filosofia, scienza, teologia e letteratura.

Un gruppo di pendolari concentrati sui loro smartphone prima di salire su un vagone della metropolitana

Un gruppo di pendolari prima di salire su un vagone della metropolitana di Pechino, il 5 dicembre 2018 (AP Photo/Andy Wong)

La familiarità con la lettura produsse un cambiamento nel modo stesso di pensare, perché «impegnarsi sulla parola scritta significa seguire una linea di pensiero, che richiede delle capacità considerevoli di classificare, di fare deduzioni, e di ragionare», scriveva Postman. In una civiltà dominata dalla stampa, intesa come insieme di giornali, libri e riviste, «il discorso pubblico tende a essere caratterizzato da una sistemazione coerente e ordinata dei fatti e delle opinioni», e il pubblico a cui è destinato quel discorso ha generalmente le competenze per maneggiarlo.

Non è un caso che la diffusione della stampa in cerchie sempre più estese sia coincisa con un successo crescente della ragione e della scienza, con una crisi del diritto divino dei re, con lo sviluppo e la promozione del capitalismo, e con un’avversione crescente per false credenze e superstizione religiosa. Secondo Marriott, così come il mondo «è stato forgiato dalla rivoluzione della lettura», ora sarebbe in corso da tempo una controrivoluzione.

Molte analisi mostrano un declino della lettura e una crisi del mercato di libri, giornali e riviste stampate più o meno costante in diversi paesi del mondo, inclusa l’Italia. E nell’ultimo decennio, secondo un’indagine dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), le competenze in lettura, scrittura e calcolo degli adulti sono diminuite o sono rimaste stagnanti nella maggior parte dei paesi.

– Ascolta “Amare Parole”: Osservazioni sui risultati dell’indagine OCSE PIAAC sulla literacy e numeracy degli adulti

Secondo Marriott, e non solo lui, nell’analisi dei fattori alla base di questi cambiamenti diventa sempre più difficile ignorare il ruolo della diffusione massiva degli smartphone a partire dalla metà degli anni Dieci. L’intrattenimento di cui scriveva Postman è passato da cinema e tv, che assorbivano l’attenzione del pubblico per un periodo limitato, a un dispositivo in grado di assorbirla in modo continuo e ovunque.

La mano di una donna mentre regge il suo smartphone

Una donna legge un ebook sul suo smartphone su un vagone della metropolitana a New York, il 9 aprile 2021 (Robert Nickelsberg/Getty Images)

In anni recenti il formato dominante sugli schermi degli smartphone è passato dal testo al video breve. Marriott sottolinea come le conoscenze veicolate in questo modo non abbiano come caratteristica essenziale l’argomentazione dettagliata, logica e ordinata tipica dei testi stampati, ma la frammentarietà, l’enfasi, l’emotività e l’indignazione. È un cambiamento con implicazioni profonde, dice, perché tutta l’«infrastruttura intellettuale» della civiltà moderna dipende da un pensiero complesso e analitico che proprio non può essere ottenuto facendo a meno di leggere e scrivere.

L’alfabetizzazione e le capacità critiche e cognitive favorite per secoli da libri, giornali e riviste avevano permesso di sviluppare o mettere in discussione i modelli di pensiero precedenti: l’ordine feudale, innanzitutto. Nel suo libro del 1985 Postman scrive che la democrazia e la stampa sono fondamentalmente inseparabili, perché la prima può funzionare soltanto in un contesto in cui la gente comune ha le capacità per comprendere, prima ancora che criticare, i propri governanti.

Gli attuali modelli di pensiero frammentari ed emotivi avrebbero invece atrofizzato quelle capacità e favorito un ritorno dei pensieri antiscientifici, dei ciarlatani carismatici e dei populismi. E gran parte della responsabilità di questa situazione, secondo Marriott, è delle grandi aziende tecnologiche. «Gli oligarchi della tecnologia hanno tanto interesse nell’ignoranza della popolazione quanto il più reazionario autocrate feudale», ha scritto.

Un gruppo di giovani mentre scende le scale mobili con lo sguardo fisso sugli smartphone

Un gruppo di persone scende le scale mobili della metropolitana a San Pietroburgo, il 18 marzo 2025 (AP Photo/Dmitri Lovetsky)

Riprendendo le argomentazioni di Marriott, il giornalista e scrittore inglese Andrew Sullivan ha scritto che immagini e video online vincono per forza qualsiasi gara dell’attenzione contro frasi e paragrafi, perché richiedono meno ragionamento e meno sforzo. E già negli anni Novanta, quindi molto prima dell’avvento di smartphone e social media, nel mondo della stampa e dell’editoria fu chiaro fin da subito che Internet «aveva il potere di riportarci alla cultura pre-letteraria da cui la maggior parte degli esseri umani era emersa solo poche centinaia di anni prima: immagini, simboli, meme».

Anche alcuni utilizzi dell’intelligenza artificiale hanno aggravato la situazione, perché sembrano emersi precisamente da un bisogno di semplificazione e riduzione del discorso. I chatbot più evoluti stanno mettendo in crisi il ruolo degli insegnanti, il cui lavoro in teoria è valutare le capacità dei loro studenti di scrivere, non di usare ChatGPT. «Una quantità enorme di studenti uscirà dall’università con una laurea ed entrerà nel mondo del lavoro, essenzialmente da analfabeta», ha detto al New York Magazine un insegnante dell’Università statale della California.

Vista la situazione, secondo Sullivan, non dovrebbe sorprendere che molti giovani si sentano sempre più soli, animati dal risentimento e inclini alla violenza, mentre trascorrono ore e ore su piattaforme che non permettono loro di acquisire una prospettiva, superare un qualsiasi stimolo emotivo o concentrarsi per più di un paio di minuti. Come non dovrebbe sorprendere che il presidente degli Stati Uniti sia una persona che già all’epoca del suo primo mandato diceva di non avere il tempo di leggere libri. «Uno dei motivi per cui Trump è presidente ora è perché tutto questo ha reso possibile la sua ascesa», ha scritto Sullivan.