Perché la politica non riesce a fare a meno dei “click day”

Nonostante siano iniqui e perpetuino disuguaglianze che andrebbero invece corrette

(Getty Images)
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In questo periodo sono previsti diversi “click day”, cioè giorni in cui viene aperta la richiesta online per bonus, contributi pubblici o servizi, e che hanno un funzionamento piuttosto brutale: assegnano la prestazione a chi riesce a inoltrare la domanda prima, e fino a esaurimento dei fondi. Per questo è molto frequente sentire di click day caotici, con tantissime richieste e pochissime andate a buon fine, fondi che si esauriscono nel giro di pochi minuti, talvolta siti che si bloccano per il troppo traffico, e parecchia frustrazione tra chi resta escluso.

I click day fanno sempre discutere per la loro iniquità e incapacità di assegnare la prestazione a chi ne avrebbe più bisogno, e perché perpetuano le disuguaglianze che invece le politiche pubbliche dovrebbero correggere. La giurisprudenza è anche arrivata a ritenerli vicini all’incostituzionalità, eppure la politica non riesce a rinunciarci per i suoi provvedimenti, dai più marginali a quelli anche molto rilevanti.

I click day sono tipicamente usati quando le risorse da distribuire sono poche o insufficienti, mentre le persone che vorrebbero beneficiarne sono tante. Di esempi ce ne sono moltissimi: dal cosiddetto “bonus psicologo”, il contributo per le sessioni di terapia psicologica che lo scorso anno ha soddisfatto lo 0,08 per cento delle oltre 400mila domande, o il bonus per i veicoli elettrici, i cui fondi dell’intero 2024 finirono in meno di 9 ore. E poi i vari bonus terme, bonus alberghi, e via così.

L’uso più esteso di questo meccanismo è fatto per il cosiddetto bando Isi Inail, con cui lo Stato assegna contributi a fondo perduto alle aziende per finanziare progetti sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. L’uso più spregiudicato invece riguarda l’assegnazione dei permessi di soggiorno per i lavoratori stranieri, quelli individuati ogni anno dal cosiddetto “decreto flussi”, che stabilisce quante persone straniere possono essere regolarizzate per venire a lavorare in Italia, divise per i mestieri di cui c’è più bisogno: badanti, professionisti sanitari, operai, eccetera.

Fu proprio un decreto flussi che introdusse per la prima volta il click day in Italia, nel 2007.

Da allora è diventato molto usato, soprattutto con la crisi economica immediatamente successiva che costrinse a significativi risparmi di spesa pubblica e alla ricerca di una maggiore efficienza per la pubblica amministrazione. I click day rispondono proprio a questa logica: da una parte semplificano l’erogazione delle risorse, che vengono assegnate in automatico a chi fa il click più veloce senza intasare gli uffici con bandi laboriosi e dai criteri complicati; dall’altra eliminano del tutto la discrezionalità che i dipendenti pubblici possono avere nello scegliere a chi dare una certa prestazione, riducendo quindi il margine di errore e di abuso, dunque anche i possibili ricorsi. Ma c’è anche un motivo molto più politico.

La schermata di un tutorial dell’Inail

Maria Cecilia Guerra è economista e deputata del Partito Democratico, e in passato è stata più volte sottosegretaria e viceministra al ministero del Lavoro e a quello dell’Economia. Dice che i click day sono popolari tra chi governa perché tolgono alla politica la responsabilità di scegliere a chi dare i fondi e a chi no, e quindi di scontentare una parte dell’elettorato. E danno anche il vantaggio di poter rivendicare risultati molto più più grandi di quelli ottenuti: «Si vuole fingere di fare un passo lungo, ma in realtà si sta facendo un passo corto, cioè si fa una politica che potrebbe, per come viene annunciata, accogliere una platea molto larga, ma consapevoli che poi non si riuscirà a servirla», dice Guerra.

Nicola Berti, giurista esperto di diritto amministrativo e ricercatore dell’Università Cattolica, sostiene che il meccanismo dei click day di fatto finisca col deresponsabilizzare del tutto la pubblica amministrazione. In questo criterio di selezione si scontrano due principi costituzionali, spiega Berti: da una parte il buon andamento della pubblica amministrazione, che spinge per l’efficienza, l’individuazione di criteri rapidi e imparziali, che costino poco e che allo stesso tempo limitino la discrezionalità dei funzionari; dall’altro però c’è da rispettare il principio di uguaglianza dei richiedenti, che presupporrebbe che il criterio con cui vengono assegnate le risorse venisse deciso in base alle reali necessità delle persone.

Il criterio dell’ordine cronologico non assegna le risorse a chi davvero le merita, perché non c’è effettivamente alcun merito se non quello di essere arrivati primi, e peraltro non fa una scelta davvero neutrale. Anzi, questo meccanismo non fa altro che accentuare le disuguaglianze che le stesse politiche dovrebbero colmare, perché è avvantaggiato chi è in condizioni di partenza migliori: chi compila prima una domanda potrebbe riuscirci perché è più abituato a usare la tecnologia e i servizi digitali, magari perché è più istruito, oppure arriva prima perché ha una connessione internet migliore, perché probabilmente vive in un contesto urbano dove le linee sono migliori rispetto alle aree più isolate.

Elia Bidut, un ricercatore del centro studi Tortuga, qualche anno fa fece uno studio su un click day, peraltro uno dei pochi mai fatti in Italia. Analizzò un’iniziativa che durante la pandemia fece abbastanza discutere, perché dimostrò ampiamente i limiti del meccanismo: il bando “Impresa Sicura”, che nel 2020 doveva assegnare 50 milioni di euro per rimborsare le imprese per gli acquisti di mascherine, disinfettanti e altri dispositivi di protezione.

Tutta la dotazione del fondo finì nel primo secondo di apertura delle domande, e Bidut dice che dai dati analizzati è emerso che chi era stato ammesso aveva chiesto importi fino a quattro volte più alti di quelli esclusi. Significa che riuscirono ad accedere le imprese più grandi, quelle che avevano modo di spendere di più, e quindi quelle che probabilmente ne avevano meno bisogno.

«Il tema di iniquità non c’è solo per le condizioni di partenza, ma anche perché poi riesce ad accedere chi si affida tipicamente a servizi professionali che lo fanno per conto terzi, pagando. Quindi è doppiamente distorsivo», dice Bidut. Si riferisce al fatto che nel tempo, per assistere chi partecipa a queste procedure, sono nate agenzie specializzate proprio nei click day, che compilano le richieste e hanno le competenze e le infrastrutture per essere veloci nella domanda.

Un annuncio per la posizione di “cliccatore”

Si è anche sviluppato proprio un mercato di “simulatori” online per allenarsi a compilare rapidamente le richieste. Del resto «una volta che si determina il sistema di incentivi i giocatori si adattano velocemente», dice Bidut, per cui tutta questa sovrastruttura si è creata proprio per l’assurdità del meccanismo dei click day.

La homepage di un sito di simulazione

Un ambito in cui si sono visti alcuni miglioramenti riguarda i click day relativi proprio ai citati decreti flussi. Fanno domanda direttamente le aziende che vogliono assumere lavoratori stranieri: l’ultimo decreto prevede 164.850 nuovi ingressi per il 2026, per ricoprire posizioni di lavoratori stagionali e non stagionali, colf e badanti.

Si sa che questo strumento è uno dei «punti critici» delle politiche migratorie italiane, dice Enrico Di Pasquale, ricercatore della Fondazione Leone Moressa. Spesso finisce per riguardare la regolarizzazione di persone che lavorano già in Italia, si presta a truffe e abusi anche da parte della criminalità organizzata, e solo una piccola parte delle richieste accettate si trasforma realmente in un rapporto di lavoro regolare.

Per queste ragioni l’attuale governo in occasione dell’approvazione dell’ultimo decreto flussi ha espressamente detto di voler superare il meccanismo del click day per assegnare i permessi di soggiorno ai lavoratori stranieri, e negli ultimi anni sono stati introdotti diversi correttivi che ne hanno limitato le storture, finora solo molto parzialmente.

Mentre in passato c’era un’unica giornata generale in cui venivano aperte le domande per tutti i lavori, oggi ci sono giornate divise per mestiere, una procedura più ordinata e con meno problemi tecnici. Sono previste quote diverse di lavoratori per i diversi territori, mentre prima i lavoratori andavano semplicemente dove c’erano più domande (negli anni passati il 70 per cento delle richieste arrivava dalla Campania).

Le aziende che negli anni precedenti sono rientrate tra le richieste accolte e che non hanno formalizzato il rapporto di lavoro vengono ora penalizzate nella graduatoria, e sono poi sempre previste le assegnazioni cosiddette fuori quota da paesi prestabiliti, finora Marocco e Tunisia: se un’azienda va a formare dei lavoratori direttamente in questi paesi può portarli poi a lavorare qui senza dover passare dalle quote e dal click day.