Le prime elezioni in Siria dalla fine della dittatura
Ma non davvero democratiche: il processo elettorale è stato accusato di non essere rappresentativo delle molte minoranze etniche e religiose

Domenica 5 ottobre si sono tenute in Siria le prime elezioni dalla fine della dittatura della famiglia Assad, durata più di cinquant’anni e rovesciata in modo rapido e inaspettato lo scorso dicembre. È un passo importante nella faticosa transizione che la Siria sta facendo verso la democrazia, ma allo stesso tempo le elezioni non sono davvero democratiche. Secondo molti osservatori il processo elettorale ha vari problemi, che renderanno i risultati non rappresentativi della varietà di gruppi etnici e religiosi che compongono il paese e aumenteranno l’influenza del presidente Ahmed al Sharaa, l’ex leader di Hayat Tahrir al Sham, il gruppo islamista che ha provocato la fine del regime.
In teoria si votava per eleggere due terzi dei membri del parlamento, ossia 140 su 210: i restanti 70 saranno nominati direttamente da al Sharaa, cosa che è stata criticata da vari gruppi per la difesa dei diritti civili. Le elezioni sono supervisionate da un comitato composto da 11 membri, anche questi selezionati da al Sharaa.
In realtà i parlamentari eletti saranno 120: tre province infatti sono state escluse dal voto, che ufficialmente è stato posticipato a tempo indefinito per motivi di sicurezza, e i 20 seggi di loro competenza resteranno vacanti. Due sono Raqqa e Hasakah, nel nord-est e controllate dalla minoranza curda. La terza è Suwayda, a maggioranza drusa. Lì lo scorso luglio ci sono stati giorni di violenze e massacri tra la comunità drusa e quella sunnita beduina, nei quali erano intervenute anche le forze di sicurezza siriane e l’esercito israeliano.
Il governo di al Sharaa si era presentato come garante delle minoranze ma l’esclusione di queste province, dove vivono moltissime persone che appunto fanno parte di minoranze etniche, è stata molto criticata. Non sono state fissate quote minime nella composizione del parlamento per le donne o le altre minoranze. Da questo punto di vista saranno indicative le 70 nomine di al Sharaa: da un lato potrebbe scegliere persone a lui fedeli, ma dall’altro potrebbe decidere di nominare donne o persone appartenenti a minoranze etniche per garantire maggiore rappresentanza.

Il presidente siriano Ahmed al Sharaa in un seggio di Damasco (AP Photo/Omar Sanadiki)
Il voto inoltre si è svolto in modo indiretto: non tutti gli abitanti potevano votare, ma nelle varie province sono stati formati dei consigli elettorali per eleggere i parlamentari. In sostanza significa che circa 6mila persone hanno votato in 50 collegi elettorali, per scegliere 120 parlamentari. Il governo ha giustificato la decisione dicendo che il paese ha ancora grosse difficoltà amministrative e burocratiche, per esempio moltissime persone non hanno documenti d’identità e sono ancora sfollate, tutte cose che rendono molto difficile comporre dei registri elettorali. Il collegio più grande è quello di Aleppo, composto da circa 700 persone che hanno eletto 14 parlamentari.
Non hanno poi potuto votare i membri della diaspora siriana, quindi i moltissimi cittadini siriani che durante la guerra hanno lasciato il paese.
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Dopo la fine della dittatura tutti i partiti sono stati sciolti perché inestricabilmente legati alla famiglia Assad (che formalmente faceva parte del partito Baath, di ispirazione socialista e secolare ma autoritario). Non sono ancora stati formati dei nuovi partiti, e tutti i circa 1.500 candidati si presentano come indipendenti.
Il comitato elettorale ha comunque imposto varie limitazioni su chi poteva candidarsi: sono state escluse le persone che sono o erano considerate sostenitrici del regime di Assad, per esempio gli ex parlamentari durante la dittatura; chi ha precedenti penali, chi è associato in qualche modo a organizzazioni terroristiche o ha espresso sostegno alle cause autonomiste o separatiste. Per candidarsi inoltre bisognava avere più di 25 anni e la cittadinanza siriana da prima del 2011, ossia da prima dell’inizio della guerra.
Le elezioni non sono state particolarmente pubblicizzate in Siria, anzi: sono stati affissi pochi manifesti elettorali, non ci sono stati grandi comizi né dibattiti. Vari abitanti della capitale Damasco hanno detto ad Associated Press che non sapevano nemmeno che si votasse.

Un manifesto elettorale del candidato Henry Hamra, a Damasco, il 3 ottobre del 2025 (AP Photo/Hussein Malla). Hamra è un ebreo statunitense che lasciò la Siria nel 1992, quando aveva 15 anni, insieme alla famiglia. Se eletto sarebbe il primo parlamentare ebreo in Siria da decenni.
A marzo al Sharaa ha annunciato la formazione di un nuovo governo e ha approvato una Costituzione provvisoria, basata sulla giurisprudenza islamica. Resterà in vigore nei cinque anni del cosiddetto «periodo di transizione», durante i quali sarà stilata una Costituzione definitiva. Il testo provvisorio in teoria tutela i diritti delle donne e la libertà di opinione, ma bisognerà vedere se ed eventualmente quanto queste garanzie saranno effettivamente rispettate. Attribuisce anche ampi poteri ad al Sharaa: per esempio può nominare alcuni giudici della Corte costituzionale, oltre che un terzo dei membri del parlamento.



