Come si nominano i direttori musicali di un teatro come La Fenice
In teoria il sovrintendente ha un'ampissima libertà di scelta, in pratica le cose non stanno proprio così

La nomina di Beatrice Venezi come nuova direttrice del teatro La Fenice di Venezia è da giorni al centro di un acceso dibattito che coinvolge musicisti, addetti ai lavori e politici. Si tratta infatti di un ruolo molto prestigioso: i direttori musicali sono le persone che curano la programmazione del teatro insieme al sovrintendente, che coordinano il lavoro dell’orchestra e che contribuiscono a definire l’indirizzo complessivo della stagione lirica e sinfonica. La Fenice poi è uno dei teatri lirici più importanti in Italia e nel mondo.
Fin dai momenti successivi all’annuncio, avvenuto il 22 settembre, gli orchestrali e i dipendenti del teatro hanno protestato vivacemente, chiedendo a Nicola Colabianchi, il sovrintendente che l’ha nominata, di revocare l’incarico.
Secondo Cristiano Chiarot, che fu sovrintendente del teatro La Fenice di Venezia dal 2010 al 2018, il clamore suscitato dalla nomina non dipende soltanto dall’area politica a cui è associata Venezi (che è notoriamente molto vicina alla destra di governo), ma soprattutto dal comportamento di Colabianchi, ritenuto anomalo rispetto a quello tenuto in passato da altri sovrintendenti.
Formalmente, Colabianchi aveva la facoltà di scegliere il direttore musicale che preferiva. Lo statuto della Fondazione Teatro La Fenice, l’ente che gestisce il teatro, attribuisce al sovrintendente il potere di nominare i consulenti e i collaboratori che ritiene più idonei, con una discrezionalità piuttosto ampia. Non ha l’obbligo di sottoporre le sue decisioni a qualcuno, neppure al consiglio d’indirizzo, l’organo direttivo delle fondazioni. In sostanza, è quello a cui viene delegata la scelta del nome da proporre al ministero della Cultura, che ha poi l’ultima parola sulla nomina.
Questa però è la teoria. In pratica, spiega Chiarot, esiste una «prassi consolidata» secondo cui, prima di procedere alla nomina dei direttori musicali, il sovrintendente è solito consultarsi informalmente con l’orchestra, per sondarne gli orientamenti e valutare se la figura che ha in mente è in grado di ottenere la fiducia dei musicisti. Si tratta di un passaggio non previsto dallo statuto, ma «fondamentale».
Colabianchi invece non ha seguito questa consuetudine. Ha informato l’orchestra soltanto dopo la nomina, poi ha pubblicato una lettera di scuse in cui ha spiegato di aver agito in fretta per evitare che la decisione diventasse «un caso politico» (cosa che poi in effetti è diventata). Quando un direttore musicale viene scelto con queste modalità, aggiunge Chiarot, «si parte con il piede sbagliato: senza il consenso e la fiducia dell’orchestra, anche il professionista più capace può trovarsi in una posizione fragile».
– Leggi anche: “Musica classica” vuol dire poco
Le critiche nei confronti di Venezi riguardano soprattutto due aspetti: la sua esperienza come direttrice d’orchestra, considerata insufficiente per ottenere un incarico del genere in uno dei teatri lirici più prestigiosi al mondo; e per l’appunto la sua appartenenza politica, che avrebbe avuto un peso decisivo nella scelta. È infatti figlia dell’imprenditore immobiliare Gabriele Venezi, che nei primi anni Duemila fu candidato sindaco a Lucca per il partito neofascista Forza Nuova, di cui era anche un dirigente, e dal 2022 è consigliera per la musica al ministero della Cultura.
Venezi ha acquisito notorietà soprattutto per via della sua immagine pubblica. Negli ultimi anni ha fatto parlare di sé per motivi slegati dal suo lavoro, a partire dai suoi legami familiari. Soprattutto a partire da un’intervista del 2021 in cui disse di non voler essere chiamata “direttrice” ma “direttore” d’orchestra, conquistando molte simpatie da parte di politici e sostenitori della destra radicale. La vicinanza agli ambienti di destra le ha anche attirato molte critiche: prima dell’inizio del concerto di Capodanno 2024 al teatro dell’opera di Nizza, per esempio, venne fischiata e fu esposto uno striscione con scritto: «Niente fascisti all’opera, niente opera ai fascisti».
Anche Colabianchi, il sovrintendente che l’ha nominata, è considerato vicino alla destra. Inoltre la sua precedente esperienza come sovrintendente del teatro Lirico di Cagliari era stata segnata da numerose polemiche. Tra gli episodi più discussi ci fu l’assunzione di una dipendente del teatro Verdi di Trieste che era stata licenziata dopo un furto nei camerini, decisione che provocò forti proteste da parte del personale e dei sindacati. Durante il suo incarico a Cagliari aveva inoltre cominciato a circolare un vecchio articolo pubblicato sull’Unità nel 1976 in cui si raccontava della sua appartenenza a Ordine Nuovo, un movimento neofascista.
Secondo Chiarot, il percorso professionale di Colabianchi dimostra che è frequente che le nomine vengano fatte seguendo logiche politiche, e che non è sufficiente questo perché i musicisti le contestino come accaduto nel caso di Venezi.
Gli statuti delle fondazioni liriche prevedono che il sindaco della città in cui si trova il teatro diventi automaticamente il presidente della fondazione che lo gestisce. Insieme agli altri membri del consiglio di indirizzo, il sindaco (che è quello più influente) sceglie una persona da proporre come sovrintendente al ministero della Cultura, che può accettarla o meno ma di solito la accetta senza troppi problemi. Per esempio, nel 2019 Colabianchi fu proposto dall’allora sindaco di Cagliari Paolo Truzzu (Fratelli d’Italia) all’allora ministro della Cultura Dario Franceschini (Partito Democratico), che accettò senza che la differente appartenenza politica diventasse un ostacolo.
Alla fine, dice Chiarot, un sovrintendente accorto dovrebbe scegliere figure difficilmente contestabili sul piano artistico e condividere preventivamente le sue decisioni con l’orchestra, per evitare conflitti che rischiano di indebolire la sua stessa scelta.

(Vittorio Zunino Celotto/Getty Images)
Negli ultimi giorni Venezi è stata spesso paragonata al venezuelano Diego Matheuz, che fu nominato direttore principale del Teatro La Fenice nel 2011, durante il mandato di Chiarot. Ai tempi Matheuz aveva 27 anni. Alcuni giornalisti di area conservatrice hanno utilizzato questa comparazione per accusare di doppiopesismo i critici di Venezi, sostenendo che ai tempi non ci furono polemiche nonostante la giovane età di Matheuz e attribuendo la differenza di trattamento alle idee politiche del direttore, notoriamente molto progressiste e di sinistra.
Il paragone è però un po’ fuorviante, in primo luogo perché Matheuz fu nominato direttore principale: una figura importante ma con un’influenza imparagonabile a quella del direttore musicale, perché a differenza di quest’ultimo lavora a chiamata e non viene direttamente coinvolto nelle scelte artistiche e programmatiche del teatro. La sua nomina non avvenne all’improvviso, ma fu il risultato di una «lunga e franca» concertazione con l’orchestra della Fenice, aggiunge Chiarot.
Inoltre, nonostante la giovanissima età, Matheuz aveva già diretto importanti orchestre internazionali, aveva lavorato con celeberrimi direttori d’orchestra, tra cui l’italiano Claudio Abbado, e aveva già iniziato a collaborare stabilmente con La Fenice. Il curriculum di Venezi è invece «più retorico che sostanziale», dice Chiarot. «A chi è poco avvezzo alla lirica potrebbe sembrare un ottimo profilo, ma chi conosce il settore si accorge che mancano all’appello esperienze fondamentali per ricoprire ruoli del genere, a cominciare dal fatto che non ha mai diretto nei principali teatri operistici internazionali».
Le credenziali di Venezi sono state apertamente criticate anche da altri addetti ai lavori, che in questi giorni ne hanno parlato in alcuni interventi sui giornali. Intervistato dal Corriere della Sera, Fabio Luisi (ex direttore del Metropolitan di New York) ha detto che il “gesto” (cioè la tecnica e i movimenti con cui il direttore comunica con l’orchestra) di Venezi è «scolastico» e poco espressivo, e che «ci sono situazioni in cui il gesto non è ancora maturo ma si vede talento: in lei non lo vedo». Silvia Massarelli, direttrice d’orchestra di fama internazionale, ha detto al Fatto Quotidiano che Venezi «non ha nessun curriculum, nessuna attitudine, null’altro che questa carta da giocare che sono le aderenze politiche», e ha definito la sua gestualità «da circo equestre».
– Leggi anche: I dipendenti del teatro La Fenice di Venezia contro Beatrice Venezi



