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  • Martedì 30 settembre 2025

Ancora oggi in Uzbekistan è tutta una Via della Seta

Il paese dell’Asia centrale punta sul suo passato per far crescere il turismo a ritmi vertiginosi: ci sta riuscendo, con conseguenze non solo positive

di Valerio Clari

Il minareto Kalyan, costruito nel 1127 a Bukhara (Valerio Clari/il Post)
Il minareto Kalyan, costruito nel 1127 a Bukhara (Valerio Clari/il Post)
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«Hala Madrid». Nel dubbio a Khiva, in Uzbekistan, due venditori su tre di oggetti artigianali salutano così, con lo slogan dei tifosi del Real Madrid. A fine settembre in città i turisti spagnoli sono predominanti, ed è un modo sicuro per attirare la loro attenzione. Guide e albergatori dicono che a fine agosto c’erano almeno altrettanti italiani e francesi, e chi organizza i tour nella città fatica a trovare abbastanza guide che parlino le lingue dei turisti, di fronte a una richiesta che continua ad aumentare.

L’Uzbekistan sta vivendo negli ultimi anni un’enorme crescita del settore turistico. Non è più una destinazione per viaggiatori avventurosi, ma attira visitatori di ogni tipo: comitive di pensionati, famiglie, turisti alla ricerca di mete esotiche e non troppo care, ma anche chi non vuole rinunciare a un certo livello di comodità o lusso.

Una delle madrasa, le scuole islamiche, di Samarcanda, e una delle molte comitive di turisti (Valerio Clari/il Post)

Dal 2019 non è più richiesto ai cittadini dell’Unione Europea un visto per entrare nel paese, ma la posizione (è in Asia centrale) rende l’Uzbekistan una meta anche per australiani, giapponesi e cinesi. È uno sviluppo che sta cambiando le città, l’economia e tutto il territorio nazionale, e che porta con sé, insieme a molte opportunità positive problemi per la popolazione locale e questioni relative alla salvaguardia del patrimonio storico e culturale. Lontano da standard democratici, il governo uzbeko del presidente Shavkat Mirziyoyev non li sta affrontando, ma si concentra sui risultati economici, che sono considerevoli.

Il motivo principale del successo turistico è l’applicazione dell’immaginario dell’antica “Via della Seta” a tre delle destinazioni più popolari: le città di Samarcanda, Bukhara e Khiva.

Per circa 1.500 anni, fra il Secondo secolo avanti Cristo e il 1.400, queste tre città furono al centro di una rete di vie commerciali che univa Roma e Venezia alla Cina, all’India e all’Estremo Oriente. Marco Polo per esempio racconta di Samarcanda e Bukhara nel Milione, resoconto dei suoi viaggi alla fine del Tredicesimo secolo. Oggi quelle città richiamano atmosfere esotiche e una storia antica, grazie a spettacolari monumenti, restaurati o talvolta quasi ricostruiti, e alla creazione di un ambiente “a tema” con arredamenti, artigianato e proposte culturali.

Un operaio alle prese con la pulizia di una cupola nella necropoli di Shakhi Zinda, a Samarcanda (Valerio Clari/il Post)

A Samarcanda, Bukhara e Khiva la “Via della Seta” è dappertutto.

Il modello scelto è quello di concentrare in zone storiche ristrette e omogenee gli spazi turistici, che risultano quasi separati dal resto delle città. Khiva è l’esempio più radicale e chiaro. Il piccolo centro storico circondato da mura, l’Itchan Kala, è diventato un museo a cielo aperto. Serve pagare un biglietto per entrarci e parte degli abitanti sono stati spostati altrove già negli anni Novanta, in una prima ondata di restauri e rinnovamenti. Alcune case sono state espropriate e la zona è stata destinata unicamente al turismo. Seppure ricostruita varie volte, Khiva ha mantenuto lo stile medievale di quando era un centro di passaggio e di compravendita di schiavi in mezzo alle steppe desertiche.

La statua del personaggio di molte favole del Medio Oriente e dell’Asia centrale Nasreddin Khoja, nel complesso del Lyab-i Hauz di Bukhara (Valerio Clari/il Post)

Anche a Bukhara i maggiori monumenti, i ristoranti e gli hotel sono in una zona centrale pedonalizzata e dedicata, mentre a Samarcanda sono in corso gli interventi più discussi e problematici. È la città più grande (oltre 500mila abitanti) e quella in cui i monumenti sono meno concentrati. Ma da circa un decennio sono al centro di grandi lavori le aree del Registan, la piazza pubblica su cui si affacciano tre scuole islamiche che sono fra i monumenti più noti della città, e del mausoleo di Gur-Emir, monumento funerario del conquistatore mongolo Tamerlano (Quattordicesimo secolo).

Sono stati costruiti muri per dividere le zone dei turisti da quelle dei quartieri residenziali e popolari, i cosiddetti mahallas. In Uzbekistan le comunità cittadine sono spesso organizzate in quartieri storici, con comunità coese e forme di autogoverno “dal basso”. C’è un capo di ogni mahalla, eletto, che è un riferimento per la comunità ma che ha poteri ridottissimi. Le assemblee dei mahallas hanno spesso provato a opporsi a cambiamenti radicali dei loro quartieri, come i nuovi muri che li circondano e talvolta limitano o complicano la circolazione, ma lo sviluppo dei progetti governativi centrali è sempre stato considerato prioritario.

Uno dei muri di recente costruzione che circonda un mahalla a Samarcanda e lo separa dalle zone turistiche (Valerio Clari/il Post)

Case e negozi vengono espropriati per fare spazio a nuovi grandi edifici di “interesse culturale”, come uffici pubblici o sedi di università, ma spesso anche strutture commerciali date in gestione dallo stato. Le tipiche case con cortile interno, che le famiglie si tramandano per generazioni e che rispondevano anche alle esigenze di un clima molto caldo d’estate e molto freddo d’inverno, vengono distrutte o rinnovate.

Nel 2024 anche le Nazioni Unite intervennero sugli espropri da parte del governo. La relazione di alcuni inviati speciali chiese risposte al governo riguardo a interventi in zone tutelate dall’UNESCO che avevano portato all’esproprio di 200 edifici privati e all’espulsione di 350 persone dalle loro case. Con l’UNESCO peraltro l’Uzbekistan ha un rapporto fitto e proficuo: sette siti del paese fanno parte della lista dei Patrimoni dell’Umanità, e la prossima conferenza mondiale dell’organizzazione sarà a Samarcanda, a inizio novembre.

Diyora Rafieva è un’attivista e un’avvocata di Samarcanda specializzata in tutela del patrimonio. Dice che oltre alle iniziative statali c’è un problema di generale «allentamento delle regole e diffusa corruzione» e di una eccessiva facilità nel costruire o creare un’azienda di costruzioni: «Molti residenti costruiscono nuovi piani o nuove strutture per fare i loro piccoli alberghi, snaturando interi quartieri, e poi quasi tutto viene condonato».

Fotografie con abiti tradizionali da cerimonia al Registan di Samarcanda (Valerio Clari/il Post)

Le attrazioni chiuse in aree omogenee e slegate dal contesto cittadino rischiano inoltre di creare quello che molti definiscono un “effetto Disneyland”, favorito anche da restauri invasivi e da illuminazioni serali in cui si cerca la spettacolarità anche a costo di finire nel pacchiano.

Le illuminazioni notturne in uno spettacolo “luci e suoni” al Registan di Samarcanda (Valerio Clari/il Post)

La tendenza trova un’espressione ancora più chiara ed estrema in Eternal City di Samarcanda, una cosa a metà fra un centro commerciale e un parco attrazioni a mezz’ora dal centro, dove sono state ricreate ambientazioni da Via della Seta, cupole, decorazioni con ceramiche azzurre, laboratori artigianali e ovviamente negozi, hotel e ristoranti. C’è anche un porticciolo, con dei canali artificiali. L’effetto richiama un po’ Las Vegas, ma senza casinò, un po’ Dubai durante il suo primo sviluppo turistico. Questo centro è costato l’equivalente di 580 milioni di dollari ed è stato finanziato dall’oligarca locale del settore petrolifero Bakhtiyor Fazilov e da fondi cinesi (le imprese costruttrici sono cinesi). Sta per essere replicato anche a Bukhara.

In un giorno di settembre la Samarcanda Eternal City era vuota e i dipendenti sembravano piuttosto abituati al fatto che lo fosse. Ma assicurano che in certi momenti arrivano decine di bus e comitive, perlopiù di persone asiatiche, che bastano a tenere in piedi il tutto. I grandi alberghi sono destinati anche a un turismo d’affari, a conferenze e riunioni.

Il porticciolo della struttura turistica Eternal City a Samarcanda (Valerio Clari/il Post)

Grazie a un patrimonio artistico piuttosto eccezionale il modello turistico generale funziona, se si considerano risultati numerici ed economici. Non lo dicono solo la frequenza dei post sui social di vacanze uzbeke o l’affollamento di europei sul posto. L’indice di Sviluppo turistico del World Economic Forum valuta in base a 19 diversi indicatori l’attrattività del settore turistico dei principali paesi, non solo per gli utenti, ma anche per gli investitori: fra il 2019 e il 2024 l’Uzbekistan è il paese al mondo che ha migliorato di più il suo indice (un incremento del 7,8 per cento), guadagnando 16 posizioni nella classifica globale (ora è 78°).

La crescita del turismo cominciò una decina di anni fa, quando Mirziyoyev diventò presidente sostituendo Islam Karimov, presidente-dittatore in carica dal 1991, ossia da quando il paese divenne indipendente dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Karimov limitò molto i rapporti dell’Uzbekistan con l’esterno: il paese sviluppò pessime relazioni con i vicini e la circolazione delle persone fu parecchio regolata e limitata, sia in entrata che in uscita.

Le riforme di Mirziyoyev facilitarono l’ingresso di persone e di capitali stranieri, e i nuovi investimenti cambiarono e continuano a cambiare la rete di infrastrutture: treni veloci, aeroporti internazionali (un nuovo terminal a Samarcanda ha aperto nel 2022), due nuove compagnie aeree solo nell’ultimo anno. A Samarcanda, Bukhara e Khiva alberghi e guesthouse sono spuntati ovunque e in ogni via c’è un cantiere all’interno di una casa; ogni angolo e ogni anfratto è buono per vendere tessuti, sciarpe, ceramiche, oggetti di artigianato; il turismo ha portato valuta straniera e creato migliaia di posti di lavoro, ufficiali o informali: tassisti e guide improvvisate, venditori di succhi di melograno, scultori del legno, cambiavalute per strada.

Una via dell’Itchan Kala di Khiva, con alcune bancarelle (Valerio Clari/il Post)

Svetlana Gorshenina, ricercatrice al Centro Nazionale della Ricerca scientifica francese e cofondatrice del centro uzbeko per la protezione del patrimonio culturale “Alerte Héritage” dice che «In questo momento la Via della Seta è la cosa più importante per l’Uzbekistan perché rende possibile un turismo che ha cambiato il paese: fino a vent’anni fa era difficile anche trovare dei bagni decenti o degli alberghi di buon livello, ora ci sono strutture di ogni tipo». Allo stesso tempo definisce il modello scelto «un po’ coloniale», in cui si vuol rendere ai turisti tutto troppo facile e a portata di mano e assecondarne i gusti con restauri «pesanti e inappropriati».

Il governo di Mirziyoyev però non mostra intenzione di rallentare: nel 2024 i turisti sono stati 8,2 milioni, contro i 6,6 milioni del 2023, e l’obiettivo del governo è arrivare a 15 milioni entro il 2030. Gran parte del settore è in mano a Gayane Umerova, presidente della Fondazione per lo sviluppo dell’arte e della cultura dell’Uzbekistan, e molto vicina alla figlia di Mirziyoyev, Saïda, che ha il ruolo ufficiale di “prima consigliera del presidente”.

Umerova dice che il progetto generale è quello di sviluppare infrastrutture che permettano ad artisti e artigiani di portare avanti le tradizioni uzbeke e di «costruire maggiori visibilità e riconoscimento internazionale per la nostra cultura». Anche gli interventi sulle zone urbane andrebbero nella direzione di renderli «più fruibili per le comunità locali».

L’Uzbekistan sta investendo in marketing, acquistando articoli sponsorizzati su testate come CNN o Euronews, partecipa a tutte le maggiori rassegne artistiche mondiali e musei come il Louvre di Parigi e il British Museum di Londra hanno ospitato mostre sui suoi «tesori». Nel 2018 è stata fondata a Samarcanda un’enorme Università del turismo con un istituto di ricerca sulla Via della Seta, con l’obiettivo di creare operatori ed esperti di settore. Nel 2028 aprirà nella capitale Tashkent il nuovo e ambizioso Museo dell’Uzbekistan, progettato dal noto architetto giapponese Tadao Ando.

Da settembre è in corso a Bukhara la prima «Biennale» di arte contemporanea, col centro cittadino pieno di installazioni artistiche e ospiti vip, che per qualche mese fanno spostare le bancarelle di vestiti tradizionali e i bambini che usano le piazze per giocare a pallone. In occasione della Biennale sono stati restaurati molti monumenti della città e Umerova dice che l’evento aiuterà a ricostruire «gradualmente i legami con i paesi vicini dell’Asia centrale, ma anche con la Corea del Sud, con la Cina e con i paesi del Medio Oriente».

Una delle installazioni della Biennale di Bukhara (Valerio Clari/il Post)

I fondi per lo sviluppo non mancano. L’Uzbekistan non è un paese ricco, ma la povertà è in diminuzione (nel 2024 riguardava meno del 9 per cento della popolazione) e Mirziyoyev ha convinto a investire molti ricchi imprenditori. Il primo a farlo sul patrimonio culturale fu Alisher Usmanov, miliardario russo di origini uzbeke sotto sanzioni dal 2022 con l’accusa di avere rapporti con il governo del presidente Vladimir Putin: finanziò i restauri di alcuni importanti monumenti. Dopo il successo di tutto ciò che ruota intorno alla “Via della Seta” sono già stati lanciati nuovi percorsi archeologici nel sud del paese e sui luoghi di Alessandro Magno, che intorno al 327 avanti Cristo conquistò tutto l’attuale Uzbekistan e si stabilì per alcuni anni a Samarcanda. Per definire una nuova immagine dell’Uzbekistan il richiamo continuo è al passato remoto, idealizzato e semplificato, mentre quello più recente, sovietico, viene nascosto, nonostante rapporti consolidati con la Russia.