Le Olimpiadi rifiutate con un referendum
Denver avrebbe dovuto ospitare quelle invernali del 1976, ma nel 1972 i cittadini del Colorado votarono contro

Nel lungo processo che porta le città a candidarsi per ospitare le Olimpiadi capita spesso che alcune si ritirino prima che il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) assegni l’organizzazione dell’evento. Le ragioni sono diverse: a volte una città si ritira perché cambia chi la governa (come successo per la candidatura alle Olimpiadi estive del 2020 di Roma); altre volte perché dopo la candidatura e prima dell’assegnazione si fa un referendum, come nel caso di Sion, in Svizzera, per le Olimpiadi invernali del 2026.
È molto più raro che una città decida di rinunciare alle Olimpiadi dopo aver ottenuto di organizzarle. È successo anzi solo una volta, nel 1972, quando con un referendum statale la città statunitense di Denver, in Colorado, rinunciò a organizzare le Olimpiadi invernali del 1976, soprattutto per motivi economici e ambientali.
Denver aveva ottenuto l’organizzazione di quelle Olimpiadi invernali nel 1970, dopo una campagna politica iniziata nel 1966 e voluta da John Love, governatore Repubblicano del Colorado. La campagna si basava sull’idea che le Olimpiadi avrebbero portato una crescita economica e un miglioramento delle infrastrutture, contribuendo inoltre a promuovere nel mondo Denver e il Colorado come destinazioni per il turismo invernale. Le Olimpiadi erano anche un modo per celebrare, nel 1976, due importanti ricorrenze: il centesimo anniversario della fondazione dello stato del Colorado e il duecentesimo anniversario della dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti.

Il merchandising delle Olimpiadi di Denver 1976 (AP Photo/David Zalubowski)
Il budget previsto era di 14 milioni di dollari, una cifra relativamente contenuta (la città canadese di Vancouver, un’altra candidata, aveva previsto un budget di circa 44 milioni di dollari). L’80 per cento delle infrastrutture sportive era già presente, e come sedi delle gare erano state scelte tutte località molto vicine a Denver: già allora, dopo alcune edizioni molto costose, tra le richieste del CIO c’era il contenimento dei costi.
Appena un anno dopo l’assegnazione, a Denver prese però forza un movimento di opposizione all’organizzazione delle Olimpiadi, sostenuto soprattutto dai residenti. I principali riferimenti politici di questo movimento furono due deputati Democratici dello stato del Colorado: Bob Jackson e Richard Lamm, che era leader del movimento ambientalista e divenne poi governatore del Colorado dal 1975 al 1987.
L’opposizione si basava su due motivazioni, una economica e una ecologica. Per quanto riguarda la parte economica c’era il timore che il budget venisse sforato, causando un aumento delle tasse per i cittadini e un appesantimento dei conti pubblici, vincolando la spesa pubblica futura. A sostegno di questa posizione veniva usato l’esempio delle Olimpiadi invernali del 1960 a Squaw Valley, in California, dove il budget iniziale di 1 milione di dollari crebbe fino a raggiungere i 13 milioni di dollari.
Jackson sosteneva anche che il Colorado dovesse evitare di “fare come la California”, perché eventuali debiti statali sarebbero stati suddivisi su una popolazione ben più piccola di quella californiana, impattando quindi molto di più su ogni singolo residente. Nel 1970 la popolazione del Colorado era circa un decimo di quella della California: 2,2 milioni di persone contro circa 20 milioni.

Il centro di Denver, 14 novembre 2018 (Raymond Boyd/Getty Images)
La seconda motivazione, quella ecologica, aveva a che fare con il fatto che parte della popolazione temeva l’inquinamento generato dai visitatori e i danni ambientali generati dalla costruzione delle nuove infrastrutture, che rischiavano poi di rimanere poco utilizzate. Queste persone, appartenenti per lo più alla classe media, abitavano fuori da Denver e temevano inoltre un eccessivo sviluppo e una esagerata commercializzazione turistica della città e delle sue aree circostanti.
L’opposizione dei cittadini ottenne da subito alcuni risultati. Il gruppo anti-Olimpiadi Protect Our Mountain Environment si oppose all’idea che alcune discipline venissero svolte a Indian Hills, una piccola città di montagna molto vicina a Denver. Gli organizzatori scelsero allora di spostare le gare di salto con gli sci, sci di fondo e il biathlon a Evergreen, una città di circa 9mila persone, dove i residenti crearono un movimento di protesta simile, che nel 1972 spinse a spostare tutto in una terza sede: Steamboat Springs, che però era distante da Denver circa 260 chilometri, comportando un aumento dei costi. Gli organizzatori spostarono anche la sede delle gare di sci alpino dal monte Sniktau a Beaver Creek, che però era più distante, perché lo Sniktau non aveva caratteristiche adatte.

Le piste di sci a Beaver Creek vennero poi sviluppate negli anni Ottanta. Oggi ospitano regolarmente gare di Coppa del mondo di sci alpino, 14 dicembre 2024 (AP Photo/John Locher)
Nel frattempo il budget iniziale di 14 milioni era più che raddoppiato. Per cercare di limitare i costi il comitato organizzatore chiese al CIO di poter eliminare dal programma delle gare quella del bob a quattro maschile, così da poter costruire una sola pista per slittino e bob a due.
Durante questo periodo divenne sempre più chiaro che il progetto iniziale e le previsioni di spesa erano basate su valutazioni errate o deliberatamente imprecise. A questo contribuì anche Richard O’Reilly, giornalista del quotidiano locale Rocky Mountain News, che in un’inchiesta scoprì che l’immagine del monte Sniktau, presente nella candidatura ufficiale inviata al CIO, era stata ritoccata: era stata aggiunta sulla cima neve che in realtà non c’era.
Anche il CIO si rese conto della poca affidabilità del comitato organizzatore. In una riunione interna nel 1972 Avery Brundage, il presidente del CIO, lesse una frase in cui John David Vanderhoof, la seconda persona più importante nel governo del Colorado, ammetteva che il comitato organizzatore «probabilmente aveva mentito un po’».
Nello stesso anno il movimento di opposizione Citizen for Colorado’s Future, che era sostenuto da Lamm, fece due grosse azioni. Prima mandò alcuni suoi rappresentanti in Giappone per protestare durante una riunione del CIO (ottenendo buone attenzioni da parte dei media). Poi raccolse ben più delle 51mila firme necessarie per convocare un referendum statale per bloccare il finanziamento del Colorado per le Olimpiadi. Se avesse vinto il sì, Denver non sarebbe più stata in grado di organizzare le Olimpiadi.

Richard Lamm, che si oppose fortemente all’organizzazione delle Olimpiadi invernali a Denver, 13 gennaio 2015 (AP Photo/David Zalubowski)
Il referendum chiedeva di modificare due articoli della legge statale così da vietare allo stato di imporre tasse o stanziare e prestare fondi per sostenere le Olimpiadi. Si votò il 7 novembre del 1972: i voti furono 865mila, e i “sì” il 59 per cento. Otto giorni dopo la città rinunciò ufficialmente all’organizzazione, che venne riassegnata a Innsbruck, città austriaca che possedeva già tutte le infrastrutture necessarie e avendo ospitato le Olimpiadi invernali del 1964 fu considerata pronta nonostante il poco preavviso.



