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  • Lunedì 29 settembre 2025

Alla conferenza dell’ONU per i rohingya non ci saranno rohingya

Nessuno è riuscito a ottenere il visto per gli Stati Uniti, mentre le loro condizioni nei campi profughi in Bangladesh continuano a peggiorare

Due ragazzine rohingya in un campo profughi in Bangladesh, 2018
Due ragazzine rohingya in un campo profughi in Bangladesh, 2018 (AP Photo/Altaf Qadri)
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Martedì si terrà alle Nazioni Unite una conferenza sulla situazione dei profughi rohingya, che da anni vivono in Bangladesh in condizioni disastrose. Ma alla conferenza – che è la prima del suo genere e la più importante mai organizzata finora – non potrà partecipare nessun profugo rohingya.

Nessun rappresentante della comunità dei rohingya in Bangladesh è riuscito a ottenere un visto per gli Stati Uniti, e né le Nazioni Unite né il governo del Bangladesh, che in precedenza avevano sponsorizzato visti per i profughi, hanno fatto molto per aiutarli. Alla conferenza parteciperanno alcuni membri della diaspora rohingya, cioè persone di etnia rohingya che vivono all’estero, ma nessuno che abbia davvero vissuto nei campi profughi in Bangladesh. L’assenza di rappresentanti locali alla conferenza dell’ONU mostra in un certo senso quanto la crisi dei rohingya abbia perso centralità, mentre le condizioni di vita nei campi profughi continuano a peggiorare.

I rohingya sono un gruppo etnico di religione musulmana originario soprattutto del Myanmar, un paese a maggioranza buddista. A partire dal 2017 più di 700mila persone lasciarono il paese e si rifugiarono nel vicino Bangladesh per sfuggire alle persecuzioni etniche del governo birmano. Oggi i rohingya in Bangladesh sono più di un milione.

Una veduta aerea dei campi profughi in Bangladesh, marzo 2025

Una veduta aerea dei campi profughi in Bangladesh, marzo 2025 (AP Photo/Mahmud Hossain Opu)

I rohingya si stabilirono nel sud del Bangladesh, nei pressi della città di Cox’s Bazar, in quello che oggi è il più grande conglomerato di campi profughi al mondo: tuttora vivono in tende e capanne di fortuna, e dipendono dagli aiuti internazionali. Le loro condizioni, critiche da tempo, si sono aggravate negli ultimi mesi a causa dei tagli agli aiuti umanitari decisi da vari governi occidentali. Secondo stime dell’ONU, nel 2025 per continuare a fornire aiuti umanitari nei campi profughi in Bangladesh servirebbero 934 milioni di dollari. Finora ne sono stati raccolti soltanto un terzo.

Fino all’anno scorso gli Stati Uniti da soli fornivano circa 300 milioni di dollari all’anno per le comunità rohingya, ma è probabile che quest’anno gli aiuti saranno molti meno: l’amministrazione di Donald Trump ha smantellato l’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale degli Stati Uniti (USAID), l’agenzia del governo federale statunitense che forniva aiuti umanitari e assistenza per lo sviluppo in decine di paesi in tutto il mondo. Anche altri paesi, come il Regno Unito e la Germania, hanno di recente limitato i propri programmi di aiuti internazionali.

A marzo il Programma alimentare mondiale dell’ONU ha dovuto dimezzare le razioni di cibo distribuite nei campi profughi. A novembre, se non arriveranno nuovi aiuti, il cibo potrebbe finire del tutto. Le scuole e le cliniche finanziate dall’ONU e da altre ong sono costrette a chiudere a causa della carenza di fondi, così come molti altri servizi.

Le condizioni della popolazione rohingya sono peggiorate di conseguenza. Oltre il 15 per cento dei bambini nei campi profughi soffre di malnutrizione acuta, e il loro numero è aumentato del 27 per cento rispetto all’anno scorso.

Le condizioni dei rohingya rimasti in Myanmar non sono migliori. Nel paese dal 2021 è in corso una guerra civile tra l’esercito (che aveva preso il potere con un colpo di stato) e vari gruppi di ribelli. Il Rakhine, la regione di cui sono originari i rohingya, è stata conquistata di recente dall’Esercito d’Arakan, un gruppo di ribelli i quali, come l’esercito prima di loro, hanno attaccato e massacrato le comunità rohingya. Nell’ultimo anno circa 150mila rohingya sono scappati dal Myanmar verso i campi profughi del Bangladesh: è il numero più alto dal 2017, quando cominciarono i massacri dell’esercito.

La conferenza dell’ONU dovrebbe servire a trovare una «soluzione sostenibile» alla crisi dei rohingya, e discutere anche della possibilità di un loro ritorno in Myanmar. Al momento sembra impossibile: nel paese è ancora in corso la guerra civile. Al tempo stesso, la loro permanenza in Bangladesh è sempre più malvista: i principali partiti politici che parteciperanno alle elezioni dell’anno prossimo hanno promesso l’eliminazione dei campi profughi.