Che fine ha fatto la proposta di legge sul salario minimo
Due anni fa fu al centro del dibattito e per un po' mise in difficoltà il governo, ora nel testo non c'è più nemmeno il salario minimo

Martedì 23 settembre il Senato ha approvato in via definitiva un disegno di legge delega sugli stipendi dei lavoratori e sulla contrattazione collettiva. Il testo era già stato approvato alla Camera nel 2023 e sostituiva, di fatto svuotandola di contenuto, la proposta presentata dalle opposizioni più di due anni e mezzo fa per introdurre anche in Italia un salario minimo legale, cioè una paga oraria minima sotto la quale uno stipendio non può andare per legge. L’Italia è uno dei pochi paesi europei a non avere un salario minimo stabilito per legge, verso cui la destra è sempre stata scettica.
La proposta di legge ha seguito un percorso parlamentare piuttosto complicato e molto lungo, per via dei continui rinvii della maggioranza di destra, che sul salario minimo è stata in difficoltà come su poche altre questioni: era molto contraria alla proposta, che però nel frattempo aveva un gran consenso popolare. Per un po’ i partiti di opposizione hanno insistito per tenere il tema all’ordine del giorno, poi è stato un po’ accantonato in mezzo a tante altre cose.
La proposta era stata depositata a luglio del 2023 alla Camera in modo condiviso da tutti i gruppi di opposizione (PD, M5S, Alleanza Verdi e Sinistra, +Europa, Azione) a eccezione di Italia Viva di Matteo Renzi: prevedeva l’introduzione di un salario minimo legale a 9 euro l’ora (soglia che era stata fissata tra molte discussioni).
La maggioranza di destra aveva contrastato il provvedimento dilatando i tempi di discussione: mai dicendosi risolutamente contraria, ma contestando l’impianto della proposta delle opposizioni e insistendo sulla necessità di approfondire meglio il tema. A metà agosto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva convocato i leader delle opposizioni per un confronto sulla materia e dopo l’incontro aveva deciso di affidare al CNEL (il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, un organo consultivo del parlamento e del governo presieduto dall’ex ministro Renato Brunetta) il compito di presentare nel giro di due mesi un rapporto sul salario minimo.
La decisione di Meloni era stata accolta con fastidio dalle opposizioni. Il CNEL, infatti, è sì un ente a cui la Costituzione attribuisce un ruolo di consulenza per il governo e il parlamento sulle questioni economiche e sociali, ma era la prima volta da molti anni che gli veniva dato un compito così politicamente delicato: suggerire il da farsi su un argomento al centro del confronto tra maggioranza e opposizione. La discussione parlamentare a quel punto si era bloccata.
In ottobre il CNEL aveva pubblicato il proprio parere sconsigliando di ricorrere al salario minimo per contrastare il fenomeno del lavoro sottopagato, e suggerendo piuttosto di rafforzare la contrattazione collettiva, cioè il ruolo dei sindacati nell’ottenere contratti di lavoro con maggiori tutele e una retribuzione migliore da estendere al maggior numero possibile di persone. Sulla base di questo parere, la maggioranza aveva deciso di rallentare l’analisi della proposta di legge, che nel frattempo era arrivata nell’aula della Camera, e di riportarla in commissione Lavoro.
A fine novembre il deputato di Fratelli d’Italia Walter Rizzetto, presidente della commissione Lavoro, aveva presentato un esteso emendamento sostitutivo, cioè una modifica della proposta di legge delle opposizioni che di fatto la assorbiva e la modificava completamente, trasformandola in un disegno di legge delega.
La legge delega è una legge che permette al parlamento di definire solo alcune questioni generali per poi affidare – delegare, appunto – al governo il compito di elaborare direttamente il contenuto e i dettagli della norma. L’emendamento era stato approvato alla Camera con i voti della maggioranza di destra, mentre tutte le opposizioni avevano votato contro. A quel punto il disegno di legge delega era passato all’esame del Senato, che ora l’ha approvato in via definitiva (sempre con i voti favorevoli dei partiti di maggioranza: Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi Moderati).
Tuttavia la legge delega approvata a partire dalla proposta sul salario minimo non contiene più alcun riferimento al salario minimo: prevede semplicemente che il governo approvi entro sei mesi una serie di decreti per «assicurare ai lavoratori trattamenti retributivi giusti ed equi», per «contrastare il lavoro sottopagato» e la concorrenza sleale, per migliorare i controlli sulle retribuzioni dei lavoratori e «stimolare il rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro maggiormente applicati».
Le opposizioni hanno fortemente criticato il testo della legge delega. Sandra Zampa, del PD, ha detto per esempio che «la scelta della maggioranza di fare una delega per togliere di torno il tema della proposta delle opposizioni di un salario minimo appare avventata e irrispettosa di un grande numero di lavoratori in condizione di povertà». Orfeo Mazzella, del M5S, ha parlato di «una legge truffa per i lavoratori», di «uno strumento di propaganda totalmente privo di effetti sulle dinamiche salariali», e dunque secondo lui inutile per lavoratrici e lavoratori.
Giorgia Meloni ha sempre evitato di negare che ci fosse un problema connesso ai salari bassi e al lavoro sottopagato, nella consapevolezza che il tema del lavoro “povero” è molto sentito anche dall’elettorato di destra e che vari sondaggi hanno evidenziato come anche tra i sostenitori di Fratelli d’Italia ci sia una grossa maggioranza favorevole all’introduzione del salario minimo. Allo stesso tempo, però, non ha voluto fare concessioni all’opposizione e per questo ha utilizzato un metodo prima attendista e poi di sottrazione: appropriandosi del tema e di fatto stravolgendo i principi su cui si basava il testo di partenza.



