Per Meloni il riconoscimento della Palestina è soprattutto una questione tattica
Lo ha promesso – con due condizioni – sorprendendo opposizione e alleati, ma è anche un modo per non isolarsi

Martedì Giorgia Meloni ha annunciato che la maggioranza di destra presenterà una mozione parlamentare in favore del riconoscimento dello stato della Palestina. L’annuncio, fatto in un rapido incontro coi giornalisti poco prima che partecipasse all’Assemblea Generale dell’ONU a New York, ha sorpreso le opposizioni, che da settimane incalzavano la presidente del Consiglio per la sua decisione di opporsi al riconoscimento. Ma anche i membri del governo, i deputati e i senatori di maggioranza hanno nascosto a stento il loro disorientamento, segno del fatto che la decisione è stata maturata da Meloni in modo repentino e senza grandi consultazioni.
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La mozione che la destra presenterà, ha precisato Meloni, subordina il riconoscimento della Palestina a due condizioni: «il rilascio degli ostaggi» israeliani che Hamas tiene ancora prigionieri, circa una cinquantina di persone delle quasi 250 inizialmente catturate, anche se non si sa con certezza quanti ancora siano vivi; e «l’esclusione di Hamas da qualsiasi dinamica di governo della Palestina».
Nelle intenzioni di Meloni, queste condizioni preliminari spostano l’attenzione e l’eventuale pressione politica di un riconoscimento della Palestina su Hamas, e non su Israele, permettendole di non ritrattare completamente la posizione tenuta fin qui (cioè cautela e attendismo per rimanere allineati a Germania e Stati Uniti, risolutamente contrari a riconoscere la Palestina). Ma la mozione è anche una mossa tattica: proprio nel momento in cui Meloni di fatto cede, per così dire, a una richiesta che le viene fatta dal centrosinistra, rilancia però con due temi per provare a incalzare a sua volta le opposizioni, e chiedere loro una netta presa di posizione contro Hamas.
Le questioni di convenienza politica, del resto, sono importanti almeno quanto quelle di merito, e forse anche di più, per comprendere la decisione inattesa di Meloni. E le questioni politiche sono di due tipi: internazionali e nazionali.
Su quelle internazionali, è stato significativo il risultato diplomatico raggiunto dal presidente francese Emmanuel Macron, la cui iniziativa a favore del riconoscimento dello stato di Palestina ha indotto via via altri 9 governi occidentali a fare altrettanto, proprio a ridosso dell’Assemblea Generale dell’ONU. Oltre alla Francia, appunto, lo stato di Palestina è stato così riconosciuto anche da Regno Unito, Canada, Australia, Portogallo, Lussemburgo, Malta, Andorra, San Marino e Monaco. Anche il Belgio ha detto che lo farà.
Alcuni Stati arabi, e soprattutto quelli con cui il governo italiano ha ottimi rapporti come il Qatar e l’Arabia Saudita, nelle ultime settimane hanno fatto pressione affinché anche altri paesi più titubanti si decidessero a riconoscere la Palestina: al momento sono appena una trentina, sui 193 che nel complesso fanno parte dell’ONU, a non riconoscerla.
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Inoltre, è stata decisiva, per Meloni, la posizione del Vaticano. In modo sempre più netto Leone XIV si è esposto in favore della causa palestinese e contro i massacri compiuti dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza, anche per via di una crescente preoccupazione per la chiesa della Sacra Famiglia a Gaza, che già a metà luglio era stata bombardata da Israele, causando tre morti e una decina di feriti. Il papa è in assiduo contatto col parroco, l’argentino Gabriel Romanelli, che in queste ore ha denunciato nuovi attacchi sempre più vicini alla chiesa.
Martedì, lasciando la residenza di Castel Gandolfo, ai giornalisti che gli chiedevano se anche altri paesi, dopo la Francia, dovrebbero riconoscere la Palestina, Leone XIV ha risposto: «Tanti paesi», aggiungendo poi che il riconoscimento «potrebbe aiutare» la causa palestinese, anche se «in questo momento veramente non si trova dall’altra parte volontà di ascoltare». Pur essendo dichiarazioni un po’ sbrigative, danno l’idea di come il Vaticano sostenga l’iniziativa diplomatica francese e consideri del tutto inaccettabile l’atteggiamento di Israele. E difficilmente il governo italiano, su questioni così rilevanti, può non tener conto di cosa dice la Santa Sede.
Europa, alleati arabi e Vaticano: per Meloni diventava alto il rischio di restare isolata, su questa faccenda.
Poi c’è la politica interna. Meloni è sempre stata netta nel suo sostegno a Israele, per restare allineata agli Stati Uniti e alla Germania, ma pur mantenendo questa fermezza ha criticato l’invasione di Gaza e i bombardamenti di civili, sempre di più soprattutto nelle ultime settimane. Spesso è stata ambigua, e questa ambiguità ha a che vedere con la storia antica e recente dell’estrema destra italiana: Meloni sa bene che una parte del suo elettorato più identitario, quello postfascista, ha da sempre a cuore la causa palestinese, ma negli ultimi anni Fratelli d’Italia ha fatto dell’alleanza strutturale col partito del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu un punto fondamentale della propria politica internazionale.
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Tuttavia, Meloni sa che la questione palestinese può spostare ampi consensi, vista la partecipazione emotiva delle persone alla tragedia umanitaria in corso a Gaza. Non a caso, è uno dei temi su cui sta puntando lo staff di Matteo Ricci: il candidato del centrosinistra nelle Marche spera infatti che anche la questione palestinese, apparentemente lontana dalle questioni che preoccupano i cittadini della sua regione, possa movimentare un po’ di voto di opinione in suo favore in vista delle elezioni di domenica e lunedì prossimi.
E negli ultimi giorni, quando le opposizioni hanno incalzato il governo in parlamento, chiedendo conto della decisione di assecondare la Germania nell’opporsi ad alcune specifiche sanzioni europee contro Israele, deputati e senatori del centrodestra sono apparsi un po’ in imbarazzo. Tutto questo ha influito sulla scelta di Meloni.
Del resto, già nel febbraio del 2024 successe qualcosa di simile. Un’analoga polemica riguardò non il riconoscimento dello stato di Palestina ma la richiesta di un cessate il fuoco a Gaza. Dopo qualche tentennamento, Meloni decise a sorpresa di venire incontro a Elly Schlein, facendo in modo che una mozione del PD per chiedere una sospensione delle operazioni militari nella Striscia venisse approvata dall’aula della Camera, a patto che alcune parti più perentorie del testo venissero eliminate.
Allora il tutto si risolse con un paio di telefonate tra Schlein e Meloni, mentre ora i rapporti tra le due leader, e tra maggioranza e opposizioni, sembrano molto più ostili. Non sono comunque ancora chiari i tempi e i modi con cui la destra presenterà questa mozione annunciata da Meloni, e un po’ tutti in maggioranza attendono che la presidente del Consiglio torni da New York per capirci di più. Un’ipotesi molto probabile è che venga sfruttato un evento già programmato: il 2 ottobre sono previste le comunicazioni al parlamento del ministro degli Esteri Antonio Tajani. La prassi prevede che al termine dell’intervento del ministro si votino delle risoluzioni: la mozione annunciata da Meloni potrebbe dunque essere discussa in quella circostanza.



