Leonardo DiCaprio non è più una garanzia
È protagonista del nuovo e costoso film di Paul Thomas Anderson, ma non sembra che basterà a ripagarlo

Questa settimana esce in Italia Una battaglia dopo l’altra, il nuovo film di Paul Thomas Anderson, uno degli autori americani più stimati e considerati degli ultimi 30 anni. Anderson era diventato noto con Magnolia e Il petroliere tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila, ma da alcuni anni ha cominciato a fare incassi sempre minori e quindi film con poco budget, per quanto sempre molto apprezzati, come Il filo nascosto o Licorice Pizza.
Una battaglia dopo l’altra ha come protagonista Leonardo DiCaprio e soprattutto per questo – per la capacità di DiCaprio di attrarre un largo pubblico e fare grossi incassi – è stato finanziato dalla Warner con un budget alto: 150 milioni di dollari. Eppure dalle ultime previsioni di incasso del primo weekend americano sembra che DiCaprio non basterà.
Leonardo DiCaprio è stato a lungo considerato un caso unico di attore di grande richiamo che ha portato al successo film che di per sé non erano commerciali. È dal 2006, cioè da Blood Diamond, che non recita in un film di un regista che non sia molto noto o considerato uno dei più grandi in attività. Ed è da prima di Titanic che non recita in un film piccolo o a budget contenuto, cioè da La stanza di Marvin nel 1996. Il più economico a cui ha partecipato in questi ultimi anni è stato J. Edgar di Clint Eastwood, costato 35 milioni di dollari; lo fece con l’obiettivo di vincere un Oscar e comunque riuscì a incassare più del doppio del suo budget.
Questo ha portato la Warner a pensare che con DiCaprio anche un film di Paul Thomas Anderson sarebbe potuto costare più di 100 milioni e generare un profitto. Non a caso Una battaglia dopo l’altra è il film più convenzionale tra quelli girati da Anderson, con un intreccio semplice, pieno di azione, inseguimenti e umorismo. È tratto dal romanzo Vineland di Thomas Pynchon e racconta di un ex attivista per i diritti civili negli Stati Uniti, che finiti gli anni da bombarolo con il gruppo French 75, ha cresciuto da solo la figlia avuta da un’altra attivista. Anni dopo, con la figlia adolescente e il cervello rallentato dalle droghe leggere, scopre che un militare che gli aveva dato la caccia decenni prima li sta cercando e che il suo vecchio gruppo ha portato in salvo la figlia in un posto sicuro, che lui però non ricorda dove sia. Da qui parte alla ricerca. Ci sono improbabili alleati, situazioni grottesche e un’America militarizzata in cui le contrapposizioni che già esistono oggi sono esasperate. Tutto con un alto ritmo e una grande idea per il finale.
Essendo così tradizionale nell’intreccio ma molto originale nella realizzazione, è un film complicato da promuovere, cosa che in passato non aveva impedito a DiCaprio di portare incassi. Quando nel 2010 fu il protagonista di Inception, il regista Christopher Nolan non era ancora il nome che è oggi. Anche quello era un film complicato da spiegare, ma anche grazie a lui incassò tantissimo, più di 800 milioni di dollari. In seguito ci furono Il grande Gatsby e poi The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese, ugualmente non semplici, che con lui incassarono però rispettivamente 350 e 400 milioni di dollari. The Revenant, un altro film strano e non commerciale nel senso canonico del termine, incassò 500 milioni (e DiCaprio vinse il suo unico premio Oscar).
È stato proprio dopo quel film, uscito nel 2015, e dopo essere rimasto fermo per quattro anni, che qualcosa è cambiato. Quando DiCaprio è tornato a recitare, nel 2019 con C’era una volta a… Hollywood di Quentin Tarantino insieme a due altri attori di grande richiamo come Margot Robbie e Brad Pitt, il film ha incassato meno di quel che ci si aspettava, cioè non ha superato i 400 milioni di dollari. Dopo ha fatto Don’t Look Up di Adam McKay, che è uscito solo su Netflix e non nei cinema, e poi Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese con Robert De Niro, che ha incassato solo 150 milioni di dollari. Meno della metà di The Wolf of Wall Street.
A DiCaprio era già capitato di incassare poco, con J. Edgar di Clint Eastwood, ma in quel caso aveva lavorato a un film più grande e di successo subito dopo: Django Unchained, che fece più di 400 milioni di incassi. L’impressione ora è che la scelta di lavorare poco ma sempre in progetti originali e con grandi autori lo abbia allontanato dal nuovo pubblico, quello più giovane.
Leonardo DiCaprio non usa i social media, ma ha dei canali istituzionali a suo nome che fa gestire ad altri. Al suo posto, altri attori cercherebbero di rimanere rilevanti usando i social e non solo: partecipando ai grandi blockbuster o facendo spesso film piccoli sperando che diventino di culto. È la strategia di Joaquin Phoenix per esempio. Per farli però devono ridursi la paga, perché il loro vero costo sarebbe inaffrontabile per un film indipendente, e Leonardo DiCaprio non lo fa. Nemmeno per Martin Scorsese chiede meno di 25 milioni di dollari.
Sono state tutte scelte: niente film di supereroi o tratti da proprietà intellettuali, niente film a basso budget e niente film che non siano di autori conclamati. L’aveva confermato qualche anno fa Timothée Chalamet, in un’intervista a Variety, in cui disse che DiCaprio gli aveva dato un consiglio per il suo futuro: «Niente droghe pesanti e niente film di supereroi». Inevitabilmente questo lo ha portato a lavorare meno dei suoi colleghi: tra il 2005 e il 2015 ha girato una media di un film l’anno, mentre tra il 2015 e il 2025, uno ogni due anni e mezzo. Che lo stesso sia riuscito a diventare e rimanere uno degli attori più riconoscibili e di richiamo del mondo, è quindi sempre stato considerato un traguardo impossibile per chiunque altro.
Adesso lui stesso sembra essere conscio che la sua unicità è entrata in crisi. Per Una battaglia dopo l’altra infatti si è speso in promozione come non aveva fatto mai negli anni recenti. Un’altra regola non scritta che ha seguito a lungo infatti è di non fare molta promozione e quasi mai in solitaria. In buona sostanza apparire il meno possibile. Per i film precedenti lo si è visto in pochissime interviste e quasi sempre con il regista o gli altri attori (e comunque rispondendo poco e malvolentieri), e preferendo concentrare lo sforzo in qualche conferenza stampa. Per questo film invece si è fatto intervistare da Esquire (finendo sulla copertina) e ha fatto molti junket, cioè le interviste in serie, quando diversi giornalisti si alternano nella stessa stanza con pochi minuti a testa per qualche battuta. È una pratica faticosa per gli intervistati, che può tenerli nella stessa stanza anche una giornata intera, e che per questo solitamente non amano.
Nonostante tutto ciò le proiezioni degli incassi del primo weekend di uscita di Una battaglia dopo l’altra non sono buone. Si stima che incasserà 20 milioni di dollari: poco, se si considera che deve arrivare a più di 400 per generare profitto (oltre al costo di produzione vanno considerati quelli di promozione e distribuzione). Benché infatti un passaparola positivo possa aumentare gli incassi, nella quasi totalità dei casi la cifra finale è condizionata da quella di partenza. E l’incasso americano tende a essere un buon indicatore di quello nel resto del mondo. Per questo sembra scontato a molti che Una battaglia dopo l’altra non sarà in grado di generare un profitto dalla sola distribuzione nei cinema. Questo sarà un danno soprattutto per Paul Thomas Anderson, che ha molto bisogno di una legittimazione economica per continuare a fare film al livello a cui li ha fatti finora e che, se non dovesse arrivare il successo economico, può sperare solo in una legittimazione intellettuale dagli Oscar.



