• Italia
  • Giovedì 18 settembre 2025

Un posto in cui nove abitanti in più fanno tutta la differenza del mondo

Melle, in provincia di Cuneo, è uno dei tanti paesi di montagna che stanno trovando modi per evitare uno spopolamento che sembrava inesorabile

di Angelo Mastrandrea

L'interno del Birroschio a Melle (Angelo Mastrandrea/Il Post)
L'interno del Birroschio a Melle (Angelo Mastrandrea/il Post)
Caricamento player

Al bar Birroschio di Melle, un paesino della val Varaita in provincia di Cuneo, c’è un viavai continuo di persone a qualsiasi ora della giornata. Vanno a fare colazione e leggere i quotidiani, a fare un aperitivo pomeridiano con una birra artigianale, a prendere un gelato prodotto con latte di montagna o anche per mangiare patate con un tomino locale. Sembra di stare in un locale alternativo di una grande città e invece è un paese di poche centinaia di abitanti ai piedi del Monviso.

Fino a pochi anni fa Melle sembrava avviato verso un inesorabile azzeramento della popolazione. Invece, «nel giro di pochi anni qui si sono trasferite 60 persone, tutte al di sotto dei 40 anni di età, che hanno aperto diverse attività e hanno creato una comunità molto vivace che ha fatto rinascere il paese», spiega Enrico Ponza, che 12 anni fa fu uno dei primi a tornare, dopo aver studiato a Torino e lavorato come birraio in Belgio. «Qui non c’era nulla, solo case abbandonate e serrande dei negozi abbassate, sembrava che gli abitanti fossero scappati tutti insieme, da un giorno all’altro», dice.

Il paesino di Melle visto dall’alto (Angelo Mastrandrea/il Post)

Insieme a un amico, Fabio Ferrua, aprì un chiosco in piazza che nel tempo è diventato il Birroschio. Nel 2014 i due ristrutturarono una vecchia casa diroccata, che divenne un birrificio e un ristorante. Lo chiamarono Officina Antagonisti «perché andavamo in una direzione opposta, antagonista appunto, rispetto a tutti gli altri che invece scappavano verso le città e la pianura». Negli anni successivi il progetto si espanse e si aggiunsero nuove persone. Ora ci lavorano in totale in 14, che diventano 20 in piena estate. Alcuni sono giovani di Melle o dei paesi vicini rientrati da esperienze di studio o di lavoro in Italia o all’estero, altri provengono anche da altre regioni.

Il ristorante-birrificio Officina Antagonisti a Melle (Angelo Mastrandrea/il Post)

Una è Elena Bertuol, una giovane veneta che ha deciso di trasferirsi qui da Londra, dove era impiegata in un pub. «Sono nata anch’io in un paese, ho capito che la grande città non faceva per me, qui mi trovo a mio agio», spiega. Ora gestisce un ostello da 24 posti nell’ex scuola elementare, che fu chiusa nel 2000 per mancanza di bambini e che il Comune ha dato in affitto per 12 anni agli Antagonisti, e anche un albergo diffuso (cioè composto da vari appartamenti distribuiti in più punti) con altri 12 posti. Ponza invece sta ristrutturando una vecchia casa abbandonata nella borgata di montagna in cui è nato, sempre a Melle, per trasformarla in residenza artistica e centro culturale.

Grazie a loro, da qualche anno Melle ha smesso di perdere abitanti. Nel 2019 il paesino aveva appena 286 residenti, ora sono 295. Sembra poco, ma è la prima inversione di tendenza dopo un calo cominciato tra gli anni ’60 e ’70, quando  buona parte dei 2mila abitanti si spostarono in massa per andare a lavorare nelle fabbriche a valle, soprattutto alla Michelin (quella degli pneumatici) di Cuneo. Quello di Melle è un caso particolare, ma è anche emblematico di un fenomeno che l’ultimo rapporto dell’UNCEM (Unione dei comuni montani) definisce «neopopolamento» delle montagne.

Elena Bertuol nella cucina dell’Ostello Antagonisti a Melle (Angelo Mastrandrea/il Post)

Secondo lo studio, tra il 2019 e il 2025 la popolazione nei paesi di montagna è aumentata di 100mila persone. Alcune zone montane del Piemonte, come appunto la val Varaita, hanno registrato un saldo migratorio positivo: vuol dire che le persone che sono andate a viverci sono più di quelle che nello stesso periodo sono andate via. Il presidente dell’UNCEM Marco Bussone ritiene che non sia un caso. A suo parere, il «neopopolamento» è avvenuto in luoghi dove «sono state avviate iniziative economiche nuove», dove c’è una buona qualità dell’ambiente, il costo della vita è inferiore e ci sono ancora buoni servizi. Non è accaduto dove non c’è più neppure un bar o un negozio di generi alimentari, come in molti paesi dell’Appennino centro-meridionale.

In 250 delle 387 «comunità territoriali» analizzate dall’UNCEM, cioè gruppi di comuni che si trovano nello stesso territorio di montagna, gli abitanti sono aumentati. Si trovano tutti tra il centro e il nord Italia. Al sud invece i comuni delle zone appenniniche continuano a spopolarsi, a causa dell’invecchiamento della popolazione, del calo delle nascite, della chiusura di scuole e ospedali e dei giovani che vanno via.

L’esterno del Birroschio a Melle (Angelo Mastrandrea/il Post)

A Melle i nuovi abitanti dicono di essere riusciti a ricostituire una comunità, e che è questo ad attirare sempre più gente. «Molte persone che sono arrivate per lavorare con noi, magari durante l’estate, alla fine si sono fermate inventandosi un’attività propria, ed è accaduto perché hanno trovato un ambiente molto accogliente», dice Ponza. «Si è costruita una rete di persone che si aiutano fra loro, e questo spinge molte persone che cercano un modo di vivere diverso a trasferirsi definitivamente qui», racconta Chiara Bronzino, che è arrivata da Torino con una laurea in Scienze forestali e collabora con una piccola azienda biologica che gestisce 15 ettari di terreno (un ettaro sono 10mila metri quadri) dati in affitto dal Comune, dove estrae linfa di betulla che viene utilizzata in bevande e altri prodotti.

L’agricoltore Pietro Cigna in un orto della Comunità a supporto dell’agricoltura a Melle (Angelo Mastrandrea/il Post)

Ora in paese ci sono due bar, due ristoranti, due negozi di generi alimentari e altrettante panetterie, alcuni bed & breakfast e un’azienda di tisane biologiche che impiega una ventina di persone. Cinque famiglie producono il Toumin dal Mel, il tipico formaggio locale, e il mercoledì c’è anche un mercato. Durante l’estate la popolazione aumenta fino a 1.500 abitanti, perché arrivano molti turisti ed ex residenti che tornano nelle vecchie case per le vacanze. «Molti vengono qui per sfuggire al caldo, mentre in inverno non c’è nessuno perché non nevica più», spiega Ponza.

L’aumento della popolazione ha consentito di conservare anche molti servizi. L’ufficio postale è aperto a giorni alterni, il medico viene quattro giorni alla settimana e c’è anche una sede della Croce Rossa. Alcuni nuovi residenti hanno aperto un asilo nel bosco per i loro figli e altri hanno creato una Comunità a supporto dell’agricoltura (CSA) che ogni settimana fornisce cassette di verdura a 70 famiglie che si sono associate.

In sintesi, funziona che tutti i soci gestiscono in maniera comune i terreni e la produzione, condividendo sia i rischi che i benefici. Vuol dire che se il raccolto va bene ne guadagnano tutti, e che se va male anche le perdite vengono distribuite. Per questo «molti soci vengono ad aiutarci durante la coltivazione e la raccolta», spiega Pietro Cigna, un giovane agricoltore che, dopo essersi laureato in Studi ambientali internazionali in Norvegia, è tornato a Melle per lavorarci a tempo pieno.

(Angelo Mastrandrea/il Post)

I prodotti degli orti comuni vengono utilizzati anche nelle cucine dell’Officina Antagonisti e del ristorante Reis, che si trova nella borgata Chiot Martin, a pochi chilometri di distanza. Lo ha aperto, nel vecchio fienile dei nonni, Juri Chiotti, uno chef  che ha lavorato da Cracco a Milano e in un ristorante stellato a Cuneo. «Nel tempo ho maturato la convinzione che è necessario riprendersi uno stile di vita che una volta ci faceva stare meglio e che abbiamo abbandonato, e l’ho fatto ripartendo dal cibo», spiega Chiotti.

Ponza dice che il modello costruito a Melle è «rivoluzionario ma fragile», perché tutte le attività sono ancora troppo legate al «turismo lento stagionale», mentre ci vorrebbero più presenze stabili durante l’anno. Non sa se può essere esportato in altre zone di montagna, anche se sempre più persone sono attratte da modelli di vita alternativi rispetto a quella nelle città, diventate troppo care e invivibili per il caldo durante l’estate. «Più le temperature si alzano, e più le persone vengono da noi», dice.

La cucina del ristorante Reis nella borgata Chiot Martin (Angelo Mastrandrea/il Post)

Vanni Treu, un friulano che gestisce un progetto per ripopolare le montagne che si chiama AlternaVita, spiega che «sempre più persone chiedono di venire da queste parti per sfuggire al caldo». In due anni ha aiutato 600 famiglie sfollate a causa dell’alluvione in Emilia-Romagna nel 2023 a trasferirsi definitivamente in sette piccoli comuni friulani che si stavano spopolando. Ora, insieme all’Agenzia di formazione professionale di Dronero, un altro comune del cuneese, sta facendo lo stesso in alcuni piccoli paesi  della val Varaita e soprattutto a Elva, un comune di appena 79 abitanti che si trova a 1.637 metri di altitudine (nella vicina Val Maira) e ha ottenuto un finanziamento di 20 milioni di euro dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), per ristrutturare le abitazioni e portare nuovi abitanti nel paese.

(Angelo Mastrandrea/il Post)

Il comune di Elva è stato inserito nel Piano nazionale borghi, con il quale il governo ha individuato 21 piccoli paesi a rischio concreto di spopolamento e da recuperare. Non è l’unico provvedimento a favore dei piccoli paesi di montagna. Il 10 settembre il Senato ha approvato in via definitiva una legge sulla montagna che stanzia 200 milioni di euro  per contrastare lo spopolamento e migliorare i servizi, in particolare asili e scuole. Secondo Bussone, è una misura che va nella direzione giusta ma anche questa non sufficiente. «Se vogliamo rendere  strutturale questa crescita bisogna garantire ai nuovi abitanti la sanità, la scuola, i trasporti e le connessioni digitali», conclude.