L’inchiesta sulla strage di Brandizzo è letteralmente troppo pesante
In due anni la procura ha prodotto 60 faldoni di documenti e 80 terabyte di foto e video: mandare tutto agli avvocati è complicato

Alla fine di luglio la procura di Ivrea ha chiuso le indagini sulla strage di Brandizzo, il grave incidente sul lavoro che nella notte tra il 30 e il 31 agosto del 2023 causò la morte di 5 operai investiti da un treno. In un normale procedimento giudiziario, gli avvocati degli indagati e delle parti civili avrebbero avuto 20 giorni di tempo per presentare memorie difensive oppure chiedere un interrogatorio per i loro assistiti; in questo caso invece la procura ha dovuto rimandare la scadenza per un problema molto concreto: in quasi due anni di inchiesta sono stati prodotti decine di migliaia tra documenti, intercettazioni, fotografie e video, al punto che è molto complicato farli avere agli avvocati.
Negli uffici della procura si sono accumulati 60 pesanti faldoni con documenti scannerizzati, ma sono pesanti anche i file – principalmente fotografie e video – caricati su diversi hard disk, per un totale di 80 terabyte di materiale (cioè 80mila gigabyte). Repubblica Torino ha scritto che da un mese gli avvocati della difesa stanno cercando di recuperare tutti gli atti e che finora sono riusciti ad avere solo il contenuto di una parte dei faldoni. Solo quando avranno a disposizione i risultati di tutta l’inchiesta inizierà il periodo di 20 giorni entro cui fare richieste alla procura. Fino ad allora il procedimento giudiziario rimarrà praticamente fermo.
In totale gli indagati sono 24, di cui 21 persone accusate di omicidio colposo e disastro ferroviario, e tre società – tra cui RFI – a cui vengono contestati illeciti amministrativi.
La procura ha esteso le indagini a RFI per accertare se il comportamento degli operai fosse in qualche modo una prassi diffusa sui cantieri. Quella notte gli operai iniziarono a lavorare intorno alle 23:40, prima dell’inizio dell’interruzione programmata, ovvero senza la sospensione del passaggio dei treni sulla linea ferroviaria. In un video registrato da un operaio si sente Antonio Massa, un tecnico indagato, all’epoca dipendente di RFI, dare queste istruzioni: «Ragazzi se vi dico “treno” andate da quella parte». «Non abbiamo ancora l’interruzione», risponde l’operaio che stava riprendendo la scena.
I magistrati hanno ordinato il sequestro non solo di tutto ciò che potesse aiutare a ricostruire cosa accadde la notte dell’incidente, ma anche documenti relativi ai turni, comunicazioni interne alle aziende e accertamenti su altri cantieri. È stata fatta anche la copia forense di molti smartphone e computer utilizzati dalle aziende, cioè una copia di tutti i dati gestiti da quei dispositivi, compresi quelli già eventualmente cancellati. È stato un lavoro di indagine molto lungo e impegnativo.
«Ci siamo resi conto fin da subito che avremmo raccolto moltissimo materiale, e man mano che l’inchiesta si allargava ne abbiamo avuto la conferma», dice la procuratrice capo di Ivrea, Gabriella Viglione. Non è semplice gestire 80 terabyte di documenti, anzi è complicato anche solo copiarli e dividerli su diversi hard disk. L’operazione è ancor più lunga se si considera che i documenti devono essere copiati da ogni singolo avvocato delle parti. Viglione dice che forse è stata trovata una soluzione: i consulenti tecnici della procura caricheranno l’inchiesta in uno spazio cloud protetto pagato dall’amministrazione giudiziaria, a cui gli avvocati potranno accedere per scaricare tutto senza dover mettersi in fila in procura. Con “cloud” ci si riferisce a quei servizi online che offrono la gestione di grandi quantità di dati attraverso server connessi tra loro.
La pesantezza dei documenti non è l’unico problema di questo procedimento giudiziario. Il tribunale di Ivrea infatti non ha un’aula abbastanza capiente da ospitare indagati, avvocati, consulenti, parti civili, giornalisti e pubblico.
In passato in casi come questi il processo è stato organizzato nell’aula magna del liceo Gramsci di Ivrea, che tuttavia non risulta più adatta perché non ha monitor né sistemi di videoregistrazione, oggi indispensabili per il processo telematico. «Finora c’eravamo arrangiati con un po’ di fai-da-te», dice Viglione. «Per un processo così però sarebbe impensabile, quindi ci siamo già rivolti al ministero e alla procura generale per coinvolgere gli enti locali e capire se si può trovare un’alternativa accettabile, magari allestendo una tensostruttura come hanno fatto a Genova per il processo sul crollo del ponte Morandi».



