Per il business della carne finta è un momentaccio
Almeno negli Stati Uniti, dove una rinnovata fissazione con la carne-carne ha indebolito un settore già in crisi da anni

A un certo punto, negli anni Dieci del Duemila, la produzione di cibi a base vegetale che imitano la consistenza, il colore e il sapore degli hamburger, delle salsicce o di altri tipi di carne era un business in espansione e molto promettente. Non è più così da alcuni anni, e anzi negli Stati Uniti non c’è mai stato un momento peggiore per il settore della cosiddetta “carne finta”, che viene fatta utilizzando solo grano, olio di cocco, patate e altri vegetali, e nessuna sostanza di origine animale.
Anche se sono in crescita in Europa, le vendite al dettaglio di carne finta sono diminuite molto negli Stati Uniti, a lungo il mercato trainante e di riferimento. Dall’inizio del 2025 sono diminuite del 17,2 per cento per quanto riguarda la carne finta da banco frigo, e dell’8,1 per cento per la carne finta congelata, aggravando una crisi in corso dal 2022, che aveva già portato a un progressivo aumento dei licenziamenti nelle principali aziende del settore.
Una delle ipotesi formulate da alcuni analisti per spiegare il peggioramento della situazione è che negli Stati Uniti sia aumentata l’avversione per questo genere di alimenti e sia tornata di moda una certa fissazione con il consumo di proteine animali. L’alimentazione a base di carne è stata ultimamente sostenuta in particolare da lobbisti dell’industria, influencer vari e propagandisti MAGA (Make America Great Again), e anche dall’amministrazione del presidente Donald Trump, direttamente e indirettamente.
A maggio un influencer statunitense che promuove il consumo di carne, Paul Saladino, era stato invitato alla Casa Bianca. Aveva portato diversi prodotti da bere e da mangiare, tra cui un frullatone a base di frutta, carne e altri alimenti. Alla fine di un incontro con il segretario alla Salute Robert F. Kennedy Jr., i due si erano salutati brindando anche con un cicchetto di latte crudo (quello cioè consumato tale e quale dopo la mungitura, con gravi rischi per la salute).
«Non è il nostro momento, lo sappiamo, sarebbe da matti pensarlo», ha detto al Guardian Ethan Brown, capo di Beyond Meat, una delle aziende più grandi e famose nel settore della carne finta. «Il consumo di carne è in aumento, la cultura politica è diversa. Dobbiamo superare questo periodo», ha aggiunto Brown, che ha definito influente sulla crisi del settore anche un certo lavoro di persuasione dell’industria della carne. «Hanno convinto le persone che ci fosse qualcosa di sbagliato nei prodotti [di carne finta], che fossero ultraprocessati e cose del genere», ha detto.
A luglio, in un’intervista con Fast Company, Brown aveva detto che l’azienda stava valutando di togliere del tutto la parola meat (“carne”) dal proprio nome, nel tentativo di spostare l’attenzione dall’idea dell’imitazione degli alimenti di origine animale, da sempre al centro di pubblicità e slogan di queste aziende.
Peter McGuinness, il capo dell’altra grande azienda del settore, Impossible Foods, aveva detto un mese prima al Wall Street Journal che il nuovo obiettivo della sua azienda per superare la crisi era cercare di attirare un pubblico “flexitariano” (persone che mangiano prevalentemente prodotti vegetali, ma anche carne, occasionalmente). Aveva detto anche che, per valutare la reazione di questo particolare segmento di mercato, l’azienda stava valutando di introdurre un hamburger ibrido, per metà di origine vegetale e per l’altra metà di origine animale.
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Un altro obiettivo dichiarato da McGuinness era strutturare le comunicazioni pubblicitarie intorno ai benefici di alcuni nuovi prodotti sul piano nutrizionale, per contrastare le affermazioni secondo cui la carne finta sarebbe poco salutare perché troppo lavorata. Questa idea è molto diffusa ma nella maggior parte dei casi fuorviante, ha scritto il Guardian, citando una ricerca secondo cui i prodotti a base vegetale contengono generalmente meno grassi saturi, più fibre e più o meno la stessa quantità di proteine della carne lavorata.
Inoltre molte barrette proteiche ed energetiche, sostitutivi dei pasti e altri prodotti ad alto contenuto di proteine, la cui popolarità in anni recenti è cresciuta molto, sono lavorati tanto quanto la carne finta, o anche di più, ma non subiscono lo stesso stigma. «Se entri in un supermercato, trovi una versione arricchita di proteine di quasi ogni prodotto, anche se gli americani ne assumono a sufficienza», ha detto al Guardian Kate Stanley, ricercatrice di scienze dell’alimentazione presso la Duke University.
In generale, indipendentemente dal periodo attuale, a condizionare il mercato della carne finta è anche una scarsa propensione della popolazione ad adattare la propria alimentazione alle proprie convinzioni. Alcuni studi mostrano che nonostante la maggior parte della popolazione statunitense sia consapevole dell’importanza di mangiare più prodotti a base vegetale, soltanto un quarto di loro è disposto a farlo, e la maggioranza non sceglie cosa mangiare tenendo in considerazione l’impatto ambientale della produzione di ciascun alimento.
Un altro problema noto della carne finta è il prezzo, spesso maggiore rispetto a quello della carne tradizionale, da due a tre volte di più. È maggiore anche rispetto al prezzo di cibi proteici di origine non animale, come i legumi, da sempre diffusi nelle diete vegetariane e vegane. Per questo motivo, nonostante gli investimenti compiuti dalle aziende nel tempo, la carne a base vegetale è rimasta sostanzialmente un prodotto di nicchia, le cui vendite tendono a subire molto l’impatto dell’inflazione.
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