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  • Giovedì 11 settembre 2025

Una tassa senza senso pagata dai comuni italiani

L'accesso ai dati della motorizzazione secondo la legge dovrebbe essere gratis, e invece costa milioni di euro alle città più grandi

Controlli stradali della Polizia locale di Bologna
Controlli stradali della Polizia locale di Bologna (Michele Nucci/LaPresse)
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Ogni volta che la polizia locale fa una verifica su una targa – per dare una multa oppure per un semplice controllo – i comuni devono pagare una somma alla motorizzazione civile, la struttura del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che gestisce informazioni e burocrazia su auto e patenti; 47 centesimi per ogni accesso alla banca dati della motorizzazione potrebbero sembrare poca cosa, ma se si moltiplicano per milioni di controlli fatti ogni anno si raggiungono in fretta decine di milioni di euro. Quasi tutti i comuni pagano per un automatismo, perché “si è sempre fatto così”, senza sapere che quella tassa è stata dichiarata più volte illegittima.

È complicato stimare quanto spendano in totale gli enti locali, comuni e province, ma le delibere pubblicate sui loro siti ufficiali aiutano a farsi un’idea. La convenzione costa per tutti 1.450 euro: pagano la stessa somma Roma, Milano e paesi da poche centinaia di abitanti. A questa spesa fissa vanno aggiunti i costi per ogni accesso, che tra l’altro dal 2024 al 2025 sono aumentati, passando da 44 a 47 centesimi.

I comuni autorizzano la spesa stimando quanti controlli faranno durante l’anno sulla base dell’andamento storico. Nel 2024 San Giuliano Terme, un comune di circa 30mila persone in provincia di Pisa, ha speso poco più di 10mila euro. A Porto Mantovano, in provincia di Mantova, quest’anno stimano di spenderne 2.300. Nelle grandi città il conto aumenta, e di molto: alla fine di agosto, per esempio, Milano ha accantonato un milione e 200mila euro per il 2026.

Proprio il comune di Milano nel 2013 fece causa al ministero dei Trasporti perché sosteneva che la tassa fosse contro la legge. Nel 2018 ci fu una prima sentenza del tribunale civile che diede torto al comune, e nel 2021 una seconda della Corte d’Appello che invece gli diede ragione.

Il ministero fece ricorso alla Corte di Cassazione subito dopo il pronunciamento della Corte d’Appello: dopo quattro anni non c’è stata ancora una sentenza definitiva.

Il ministero sostiene che il pagamento sia legittimo per via di una legge di trent’anni fa, il decreto 634 del 1994, che regolava l’accesso alla banca dati della motorizzazione. All’epoca i costi potevano avere un senso, perché i dati dovevano essere elaborati e gestiti in modo quasi artigianale da tecnici informatici. L’aumento delle richieste da parte dei comuni impose al governo di stabilire dei costi: 2 milioni e 500mila lire per la convenzione annuale, mille lire per ogni accesso, un tariffario che ci si porta dietro da allora, convertito in euro.

Negli ultimi anni però i governi hanno approvato nuove leggi per definire e migliorare l’accesso ai dati della pubblica amministrazione. Sono norme molto più aderenti allo sviluppo della tecnologia, alla facilità e alla rapidità con cui i dati vengono prodotti, gestiti e trasmessi. Il codice dell’amministrazione digitale, approvato nel 2005 e modificato nel 2010 e nel 2016, stabilisce che le pubbliche amministrazioni debbano rendere disponibili i loro dati ad altre pubbliche amministrazioni senza costi, salvo in caso di elaborazioni particolari. L’accesso ai dati della motorizzazione è automatico e immediato, senza elaborazioni.

Nel 2017 anche l’Avvocatura dello Stato, che rappresenta lo Stato nelle controversie legali, diede ragione all’associazione dei comuni italiani (l’ANCI) che aveva avviato un contenzioso identico a quello di Milano per conto del comune di Livorno. L’Avvocatura spiegò che qualsiasi dato della pubblica amministrazione deve essere messo a disposizione di altri enti pubblici senza spese, esattamente come dice il codice dell’amministrazione digitale. Questo principio è stato ribadito in cause avviate per altre richieste di pagamento. Nel 2016 sempre l’Avvocatura dello Stato aveva già chiarito che il vecchio decreto del 1994 a cui si appella la motorizzazione è abrogato da un articolo di una legge successiva.

Marco Granelli, assessore ai Lavori pubblici di Milano e in passato assessore alla Mobilità e alla Sicurezza, dice che il comune continuerà a sostenere la contrarietà a questa spesa che ogni anno toglie un po’ di risorse ad altri progetti, per esempio alla sicurezza stradale. «Questo governo ha al suo interno forze che in passato hanno sottolineato il valore dell’autonomia [la Lega, ndr]: noi chiediamo che l’autonomia venga riconosciuta anche in questo caso, permettendo ai comuni di svolgere la propria funzione al meglio, riducendo i costi». Granelli sostiene che questa spesa sia proprio sbagliata perché disincentiva l’utilizzo degli strumenti digitali e dei dati.

Il ministero dei Trasporti, interpellato per un chiarimento, giustifica la tassa riferendosi sempre al decreto 634 del 1994, e contestando quindi che quella legge sia davvero abolita (l’articolo citato dall’Avvocatura dello Stato in effetti non è esplicito in quel senso). Fino a quando non arriverà una sentenza della Corte di Cassazione, il ministero continuerà a sostenere la posizione tenuta negli ultimi anni. Da tempo l’ANCI sta facendo pressioni al governo per trovare una soluzione politica al problema, senza ricorrere ai tribunali, e in questo modo migliorare la condivisione dei dati tra gli enti locali e i ministeri. Questa esigenza non riguarda solo i dati delle targhe o dei controlli su strada, ma anche quelli sulla sicurezza e molti altri settori.