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  • Venerdì 5 settembre 2025

Novak Djokovic è di nuovo il terzo incomodo

Aveva iniziato quando gli altri due erano Federer e Nadal e ora, dopo anni da migliore al mondo, i nuovi altri due sono Sinner e Alcaraz

Novak Djokovic, 38 anni, dopo aver battuto Cameron Norrie nel terzo turno di questi US Open (Susan Mullane/ISI Photos/ISI Photos via Getty Images)
Novak Djokovic, 38 anni, dopo aver battuto Cameron Norrie nel terzo turno di questi US Open (Susan Mullane/ISI Photos/ISI Photos via Getty Images)
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Nel 2008 il serbo Novak Djokovic diventò il più giovane tennista a raggiungere le semifinali in tutti e quattro i tornei del Grande Slam, i principali nel tennis; nel 2025 è diventato il più vecchio a farlo. Quando cominciò a farsi notare, il tennis era dominato da due giocatori, Roger Federer e Rafael Nadal. Ora è più o meno lo stesso con Jannik Sinner e Carlos Alcaraz, e Djokovic sta finendo la carriera come l’aveva iniziata, da terzo uomo, come unica alternativa credibile a duopoli altrimenti quasi inscalfibili. Un ruolo nel quale dice di trovarsi perfettamente a suo agio.

Per Djokovic le circostanze sono comunque piuttosto diverse: con Federer e Nadal, ora entrambi ritirati, era un tennista emergente che col tempo riuscì, contro i pronostici della maggior parte di esperti e appassionati, a diventare migliore, o quantomeno più vincente di entrambi. Ha vinto infatti 24 tornei del Grande Slam, contro i 22 di Nadal e i 20 di Federer, ed è in vantaggio nei confronti diretti con entrambi: 31-29 contro Nadal, 27-23 contro Federer. Oggi invece Djokovic è il tennista anziano che prova a resistere al dominio di due giocatori che hanno 14 e 16 anni meno di lui. In entrambi i casi, comunque, sembra l’unico a poter competere con i due migliori tennisti del momento.

Quello di Djokovic è un compito piuttosto difficile, perché Sinner e Alcaraz non perdono praticamente mai, se non quando giocano uno contro l’altro: nel 2025 Alcaraz ha vinto 54 partite e ne ha perse solo 6, Sinner è a 31 vittorie e 4 sconfitte. Djokovic ha perso le ultime cinque partite giocate contro Sinner (non lo batte dalle ATP Finals del 2023) mentre contro Alcaraz ha vinto le ultime due, i quarti di finale degli Australian Open e la finale delle Olimpiadi, ma ha perso in finale a Wimbledon nel 2023 e nel 2024.

Venerdì alle 21 italiane Djokovic e Alcaraz si affrontano in semifinale agli US Open; l’altra semifinale si gioca nella notte tra Sinner e Felix Auger-Aliassime. È quindi molto probabile che per vincere il suo venticinquesimo Slam, Djokovic dovrà in tre giorni battere prima Alcaraz e poi Sinner: delle tante cose fuori dal comune che ha fatto in carriera, sarebbe senza dubbio tra le più eccezionali.

53 semifinali del Grande Slam raggiunte su 80 partecipazioni

Djokovic è in una condizione abbastanza peculiare. Perlomeno nei tornei del Grande Slam (dove le partite si giocano al meglio dei cinque set) è il terzo miglior tennista al mondo, eppure sono due anni che non riesce a vincerne uno. E ci sono anche diversi dubbi sul fatto che, per via di Sinner e Alcaraz, possa riuscire a vincere mai quello che sarebbe il suo venticinquesimo Slam.

L’ultimo successo di Djokovic fu agli US Open del 2023: i sette successivi Slam sono stati vinti tutti o da Sinner (4) o da Alcaraz (3). «Il fatto che Djokovic, a 38 anni, con così tanti chilometri sulle gambe, sia ancora messo meglio di qualsiasi altro giocatore al mondo quando si tratta di mettere in difficoltà Alcaraz e Sinner è di per sé un risultato significativo», scriveva il Guardian qualche mese fa. Sia agli inizi contro Federer e Nadal, sia oggi contro Sinner e Alcaraz, Djokovic è lo sfavorito, l’underdog, ma nel frattempo è cambiato il modo in cui viene percepito.

Quando era a inizio carriera tanti tifosi e appassionati videro la sua ascesa quasi con fastidio, lo giudicarono il terzo incomodo di una rivalità altrimenti perfetta tra la classe e l’eleganza di Federer e la forza e l’intensità di Nadal. Nel suo libro su Djokovic uscito quest’anno per 66thand2nd, Giancarlo Liviano D’Arcangelo lo presenta come un «Prometeo [colui che secondo la mitologia greca rubò il fuoco agli dei] che ha costruito la sua forza giorno dopo giorno, migliorandosi nel corpo e nella mente per recuperare terreno contro le doti naturali dei suoi avversari», e lo definisce «l’uomo che ha sfidato gli dei (e li ha battuti)».

Djokovic si calò alla perfezione in quel ruolo, diventò il villain per definizione del tennis, l’antagonista, e per lui l’eccellenza di Federer e Nadal fu uno stimolo a migliorarsi di continuo. A questo contribuì anche il modo in cui giocava: con pazienza e costanza, sfruttando gli errori degli avversari e dominando le partite sul piano psicologico ancor prima che tecnico, vincendole spesso grazie a dettagli quasi intangibili.

Come scrive Sandro Modeo nel libro I tre. Federer, Nadal, Djokovic e il futuro del tennis (in cui non a caso Djokovic arriva per terzo) «il suo ingresso in scena – in conformità col suo nickname principe, il Djoker – ottiene via via l’effetto di avvolgere davvero la contesa dei Tre sotto il cielo dark di Gotham City; in più, di avvicinare a tal punto Roger e Rafa da farne non diciamo Batman & Robin (non esageriamo), ma comunque degli alleati paradossali contro di lui».

Novak Djokovic, Roger Federer e Rafael Nadal nel 2022 (AP Photo/Kin Cheung)

Oggi è un po’ diverso e Djokovic è in quella che nella sua newsletter Bounces Ben Rothenberg ha definito la sua seconda «età del bronzo», con riferimento al materiale della medaglia dei terzi classificati. Lui continua a essere molto esigente con se stesso, ma quello contro Sinner e Alcaraz è uno scontro un po’ impari, per ragioni più anagrafiche che tecniche. Gli altri due continuano a migliorare sempre un po’ di più mentre Djokovic, pur con la sua eccezionale longevità, non è più quello che fino a tre anni fa dominava il tennis mondiale. Anche per questo il pubblico, pur desideroso di vedere nuovi episodi della sfida tra Sinner e Alcaraz, vive con più empatia e affetto il ruolo di terzo incomodo di Djokovic, facendogli spesso sentire il suo sostegno.

Ai quarti di finale degli US Open Djokovic ha battuto in quattro set il numero 4 al mondo Taylor Fritz, giocando una delle sue migliori partite quest’anno. Dopo un punto particolarmente bello vinto da Djokovic il pubblico, pur tifando in buona parte per Fritz (che è statunitense), ha fatto una specie di standing ovation al serbo, una cosa non così comune qualche tempo fa.

«Con una vittoria quasi schiacciante contro il finalista dello scorso anno Taylor Fritz, Djokovic ha lanciato un messaggio ai giovani talenti ancora in gara, compresi i due giocatori che hanno monopolizzato i titoli del Grande Slam che un tempo lui collezionava come francobolli. È vivo e vegeto, e non ha intenzione di abbandonare in silenzio il suo inseguimento del venticinquesimo titolo del Grande Slam», ha scritto The Athletic dopo quella partita.

Prima degli US Open un giornalista aveva chiesto a Djokovic se ci fosse, tra i tennisti più giovani, uno in grado di inserirsi un giorno nella rivalità tra Sinner e Alcaraz; Djokovic aveva risposto che ci sono alcuni giocatori che potranno farlo, e poi aveva detto: «Provo un certo senso di empatia per il terzo uomo, perché lo sono stato io stesso con Federer e Nadal. Mi piacerebbe veder arrivare un terzo uomo». Per il momento il terzo uomo è ancora lui.