La fine di uno degli iceberg più grossi e vecchi del mondo

A-23A si staccò dall'Antartide nel 1986, ha tuttora una superficie pari a quella della provincia di Cremona ma a breve non esisterà più

Un iceberg staccatosi dal ben più grosso iceberg A-23A, sullo sfondo, il 13 marzo 2025; all'epoca era alto circa 300 metri (Cpl Beth Roberts Raf/Cover Images via ZUMA Press, ANSA)
Un iceberg staccatosi dal ben più grosso iceberg A-23A, sullo sfondo, il 13 marzo 2025; all'epoca era alto circa 300 metri (Cpl Beth Roberts Raf/Cover Images via ZUMA Press, ANSA)
Caricamento player

Quasi 40 anni dopo essersi formato, il gigantesco iceberg antartico identificato dalla sigla A-23A si sta disintegrando. Ha ancora una superficie di circa 1.770 chilometri quadrati (un po’ meno della provincia di Cremona), e nel suo lato più largo misura 60 chilometri: tra quelli in circolazione è l’iceberg più grande che ci sia. Tuttavia nelle ultime settimane, spostandosi sempre più verso nord, ha cominciato a perdere pezzi da 400 chilometri quadrati di area ciascuno, e quindi presto non esisterà più.

Tra i grandi iceberg noti è comunque uno di quelli che hanno avuto una storia più lunga perché per 34 anni, dal 1986 al 2020, rimase incagliato su un fondale basso a poca distanza dall’Antartide. Poi ricominciò il suo spostamento verso nord, lungo il cosiddetto “vicolo degli iceberg”, un tratto di mare percorso da molti grandi iceberg prima di essere dispersi dalle correnti.

Le sigle che identificano i più grandi iceberg provenienti dall’Antartide, scelte dall’agenzia governativa statunitense National Ice Center (USNIC), indicano la regione da cui si staccarono dalla banchisa, l’ordine di formazione rispetto ad altri grossi iceberg e se si divisero da blocchi di ghiaccio di dimensioni maggiori. La prima lettera della sigla può essere A, B, C o D: ciascuna indica uno dei diversi quadranti in cui è convenzionalmente suddiviso l’Antartide.

A-23A per esempio si separò dalla calotta di ghiaccio che ricopre il continente dalla piattaforma di ghiaccio Filchner-Ronne, nel mare di Weddell: è la parte dell’oceano Antartico delimitata da un lato dalla penisola Antartica, quella che si allunga verso l’estremità del Sud America. La prima lettera A del suo nome indica appunto che l’iceberg proviene originariamente dal mare di Weddell. L’ultima A dice che si staccò da un altro iceberg più grosso, A23, e il numero 23 deriva dal fatto che dal 1978, quando l’USNIC cominciò a identificare gli iceberg, A23 fu il 23esimo a formarsi in quella zona.

Ai tempi della sua massima estensione aveva una superficie di circa 4mila chilometri quadrati: dal 1978 solo altri sette iceberg noti hanno avuto dimensioni maggiori.

Nell’estate del 2024 vari giornali – il Post compreso – parlarono di A-23A perché l’iceberg era finito in una sorta di vortice e per qualche mese ruotò più volte, intrappolato in una corrente formatasi tra la sua base e una montagna sottomarina. I suoi movimenti erano stati osservati grazie alle immagini satellitari. All’epoca si trovava vicino alle isole Orcadi Meridionali, poco più di 600 chilometri a nord est della penisola Antartica, e aveva una superficie di 3.880 chilometri quadrati, più dell’intera Valle d’Aosta. Prima della fine dell’anno però l’iceberg riprese a muoversi verso nord.

Successivamente la comunità scientifica che studia gli ecosistemi della regione antartica segnalò che l’iceberg avrebbe potuto andare contro la Georgia del Sud, un’isola praticamente disabitata ma molto importante per la riproduzione di alcune specie animali. Se fosse successo avrebbe potuto causare una moria di pinguini e foche, ma alla fine si fermò a una certa distanza dalla costa.

Da allora si è allontanato dall’isola, verso acque sempre meno fredde, e nelle ultime settimane il suo percorso verso nord ha accelerato: secondo le osservazioni satellitari si sposta anche di 20 chilometri al giorno. Secondo le previsioni degli scienziati nel giro di qualche settimana non esisterà più.