Quello che succedeva su Phica.net era legale?

Per la maggior parte no, anche se le foto commentate in maniera sessista e violenta provenivano da profili pubblici

Le scritte che compaiono sul sito Phica.net ora che è stato chiuso
Le scritte che compaiono sul sito Phica.net ora che è stato chiuso
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Da giorni online si parla molto della chiusura di Phica.net, un sito che esisteva dal 2005 su cui migliaia di uomini pubblicavano foto di donne conosciute, sconosciute o famose senza il loro consenso, per commentarle con toni sessisti, umilianti e degradanti. Uno dei temi ricorrenti in queste discussioni è la legalità di ciò che accadeva sul sito: oltre ai contenuti intimi condivisi senza consenso da partner o familiari, palesemente illegali, su Phica si trovavano infatti anche migliaia di screenshot di contenuti trovati sui social, spesso su profili pubblici. C’è quindi qualcosa di illecito nella loro pubblicazione altrove?

Altri si sono chiesti se ci fosse davvero qualcosa di illegale nella condotta degli utenti che commentavano queste foto con enorme volgarità e violenza: la domanda, insomma, è se questi comportamenti siano in qualche modo denunciabili o se il giudizio al riguardo possa essere soltanto morale. La risposta è che moltissime delle cose che succedevano su Phica in base alla legge italiana si configurano come reati o, quanto meno, come illeciti amministrativi.

In teoria, Phica era nato per essere un sito per adulti dedicato alla pornografia amatoriale, in cui gli utenti potevano caricare contenuti porno che li ritraevano, con il consenso di tutte le persone presenti nelle foto e i video condivisi. In pratica, da anni era diventato anche uno spazio in cui venivano condivise foto e video di donne a loro totale insaputa: donne del tutto comuni come mogli, fidanzate, partner, ex, sorelle, figlie e donne sconosciute viste in spiaggia o in palestra, ma anche celebrità, giornaliste, politiche e influencer.

A volte le foto trovate sui social network venivano modificate con software basati sull’intelligenza artificiale in modo che le donne apparissero “denudate”. In altri casi, sul sito finivano video rubati da siti come OnlyFans, piattaforma utilizzata da moltissimi creator che vogliono condividere contenuti a sfondo sessuale con gli abbonati.

Alcuni di questi comportamenti sono disciplinati dall’articolo 612-ter del codice penale, quello dedicato alla «diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti», introdotto nel 2019. Commette questo reato chiunque diffonda o pubblichi immagini o video a contenuto sessualmente esplicito di una persona senza il suo consenso. Perché il reato valga come tale non è necessario che le immagini siano state ottenute illecitamente, come è successo di recente nel caso del video di sorveglianza in cui compare il conduttore Stefano De Martino. Anche nel caso in cui una donna invii consensualmente una foto di nudo al partner e poi lui la condivida con gli amici su una chat di WhatsApp, insomma, viene violata la legge.

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La diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti è un crimine punibile con la reclusione tra uno e sei anni, e con multe tra i 5mila e i 15mila euro. La pena può aumentare se a commettere il crimine è il coniuge o il convivente della persona ritratta, o se a essere ritratta è una persona minorenne o con disabilità.

Molto di ciò che accadeva su Phica violava l’articolo 612-ter. È sicuramente il caso degli uomini che condividevano le foto intime di partner, mogli ed ex fidanzate, ma anche di chi pubblicava foto e video rubati da profili OnlyFans. Anche nel caso in cui l’utente in questione avesse acquistato quei contenuti dalla creator, pagando quindi dei soldi per possederlo, in base alla legge il contenuto può essere visto solo dall’acquirente: chi lo condivide non solo viola l’articolo 612-ter, ma può anche essere denunciato per violazione del diritto d’autore. L’articolo 612-ter, poi, può essere applicato anche alle foto di donne “denudate” con software di intelligenza artificiale.

In tutti questi casi si tratta di fattispecie perseguibili solo a querela di parte, il che vuol dire che il procedimento penale può iniziare solo se la vittima presenta una denuncia, e non automaticamente quando le autorità vengono a conoscenza del reato. Nel caso di siti come Phica, o di gruppi Facebook come “Mia moglie”, questo può essere un problema, perché capita molto spesso che le vittime non abbiano idea che le loro foto intime stanno circolando online.

Molte persone, poi, hanno segnalato che su Phica era possibile trovare foto di minorenni, anche molto giovani. In base all’articolo 600-ter del codice penale, che punisce la pornografia minorile, condividere foto di minori anche non esplicitamente a sfondo sessuale è un reato in caso l’immagine venga pubblicata in un contesto che favorisce la sessualizzazione dei minori. Come, per esempio, un sito in cui gli utenti sono incoraggiati a commentare tutto ciò che pensano delle foto che si trovano davanti. La pena per chi compie il reato di pornografia minorile va dai 6 ai 12 anni di reclusione.

Ci sono, poi, tutti i casi di trattamento illecito dei dati personali, che non è un reato, ma un illecito amministrativo. Le leggi sulla privacy considerano il volto umano un dato che permette l’identificazione diretta e inequivocabile di una persona fisica: di conseguenza, è spesso necessario il consenso della persona per condividere qualsivoglia foto del volto di qualcuno. In teoria, questo vuol dire che chiunque pubblichi la foto di qualcun altro senza il suo consenso commette un illecito amministrativo: nella pratica, è molto raro che qualcuno venga sanzionato per questo.

In ogni caso, gli utenti di Phica.net che fotografavano le donne in bikini in spiaggia a loro insaputa o che condividevano gli screenshot dei post e delle stories di Instagram delle ragazze che conoscevano sul sito commettevano indubbiamente questo illecito.

Sui social network, vari commentatori hanno provato a contestare questa ipotesi, sostenendo che le foto presenti su un profilo Instagram o Facebook pubblico vadano considerate, appunto, pubbliche, e che quindi prenderle e condividerle su un forum come Phica fosse legittimo, per quanto criticabile. Non è così: come spiega l’avvocata Floriana Capone, esperta di digitale, il fatto che alcune immagini siano pubblicate su un profilo social «non implica automaticamente che queste siano di dominio pubblico e quindi liberamente utilizzabile. Pertanto l’utente non può appropriarsene e utilizzarle come meglio crede, in baffo al diritto d’autore e al diritto alla privacy».

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Carlo Blengino, avvocato penalista che si è spesso occupato di nuove tecnologie, ricorda per esempio un caso del 2017 in cui un editore della provincia di Lecco aveva cercato tutti i profili Facebook pubblici di donne single che risiedevano nella zona e li aveva usati per creare un “catalogo” di 1.218 donne, sia maggiorenni che minorenni, venduto in formato e-book a chiunque lo volesse acquistare «al costo di un drink».

L’editore riteneva di «rispettare pienamente la vigente normativa sulla privacy» perché «al momento della redazione, tutti i dati riportati erano pubblicati in pagine internet pubblicamente accessibili con la sola condizione di possedere un account Facebook». L’uomo, alla fine, era stato condannato a un anno e sei mesi di carcere per trattamento illecito di dati personali e diffamazione aggravata. Secondo il giudice, il fatto che i dati personali si trovassero su profili Facebook pubblici non escludeva che quei dati potessero essere trattati in modo illecito.

«Se io metto la mia foto in costume da bagno sul mio profilo Instagram, è una scelta mia. La finalità di quella foto è di essere sul mio profilo Instagram, punto. Il fatto che quella foto sia pubblica non autorizza nessuno a estrarla e darle una finalità diversa», riassume Blengino. «È un illecito che viene sanzionato dal Garante della privacy, che ha gli strumenti per imporre le sanzioni e il blocco del trattamento illecito del dato. Ma al momento non è un reato specifico, a meno che non sia accompagnato da altri tipi di lesioni».

Nel caso specifico di Phica, quindi, le persone che prendevano foto da Instagram e le pubblicavano sul forum, dando a quel contenuto «una finalità diversa da quella stabilita dalla donna al momento della pubblicazione su Instagram», commettono un illecito amministrativo e potrebbero essere sanzionate dal Garante della privacy, una volta identificate. «Non c’è nessuna base giuridica: non è un caso di diritto di informazione o diritto di critica».

Guido Scorza, che fa parte del Garante per la protezione dei dati personali, spiega che la prima cosa che possono fare le persone che scoprono che una loro foto condivisa sui social network è finita su un sito di questo tipo è richiedere al gestore della piattaforma di rimuoverlo. A volte funziona, a volte no: gli amministratori di Phica, per esempio, hanno per anni ignorato le richieste delle donne che trovavano le proprie foto sul sito e hanno cominciato a rimuoverle con solerzia soltanto negli ultimi giorni, quando si è cominciato a parlare molto del sito. Al momento, sulla homepage si legge: «Se sono stati violati i tuoi diritti, scrivici con il link così procederemo a rimuoverlo».

«Certo, ormai vuol dire che il danno è fatto, ma quantomeno fai rimuovere la foto o il video», dice Scorza. «Non è una soluzione al problema, è un’operazione di contenimento della circolazione del contenuto». Se non funziona, il passo successivo è fare un reclamo al Garante della privacy, che ha una sezione dedicata, piuttosto semplice da navigare, sul proprio sito. Una volta riconosciuta la violazione, il Garante ordina alla piattaforma di cancellare il contenuto, ma non sempre funziona: «Dipende moltissimo dagli interlocutori con i quali si ha a che fare», spiega Scorza. «L’ordine arriva, ma magari dall’altra parte c’è una piattaforma con sede alle isole Cayman che se ne frega. Come in molti altri casi, esiste un po’ una forbice tra come dovrebbe andare e come va».

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In caso si ritenga che sia stato compiuto un reato è possibile querelare, ovviamente. Anche gli utenti che commentavano quelle foto, peraltro, potrebbero essere perseguiti per vari reati, a seconda del caso. «Se uno commenta “se ti avessi beccata per strada ti avrei scopata prima da viva e poi da morta”, per esempio, può essere una minaccia», dice Blengino, citando il genere di commento che si poteva trovare su Phica. «Se faccio una considerazione come “questa è una gran troia”, posso essere denunciato per diffamazione. Bisogna vedere cosa viene fuori da ogni singolo commento, e a risponderne sono ovviamente i singoli commentatori».