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  • Sabato 16 agosto 2025

Tedesca, mundialito, footvolley

E altri modi per giocare a calcio in spiaggia, stando attenti a non subire gol di spalletta

Il tuffo di testa di Aldo Baglio nella celebre partita Marocco-Italia 10-3 (immagine dal film Tre uomini e una gamba)
Il tuffo di testa di Aldo Baglio nella celebre partita Marocco-Italia 10-3 (immagine dal film Tre uomini e una gamba)
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Quando lo si gioca in spiaggia, il calcio prende molte forme: la più semplice è la partitella, con porte artigianali e squadre dal numero variabile; altre sono ben più strutturate nelle regole e stratificate nelle sottili differenze regionali, locali o addirittura tra un gruppo di amici e un altro. In Italia ci sono circa 500 persone che giocano a calcio sulla sabbia come attività agonistica (i tesserati del beach soccer), ma molte di più che lo fanno come hobby, principalmente d’estate. Non si può stabilire con esattezza quante siano, ma sono senza dubbio tante, così come tanti sono i giochi e le varianti del calcio in spiaggia.

Il calcio in spiaggia è anzitutto piuttosto accessibile, almeno in termini di attrezzatura: basta un pallone. Tra i più diffusi ci sono il modello “tango”, in origine dell’Adidas ma oggi prodotto soprattutto dalla Mondo (è bianco con decorazioni nere), e il Super Santos. Prodotto sempre dalla Mondo, è quello arancione con strisce nere, un po’ più leggero e versatile del tango. Esiste dal 1962 e ne sono stati venduti oltre 15 milioni. I più temerari usano un vero pallone da calcio, pesante e di cuoio, mentre i più piccoli il leggerissimo Super Tele, che ha traiettorie imprevedibili. Per fare i pali della porta bastano due montagnole di sabbia (nel calcio in spiaggia la traversa è spesso immaginaria e variabile) ma c’è chi si attrezza con secchielli, legnetti, ombrelloni chiusi o addirittura remi: insomma, le cose più simili a due pali che si trovano in riva al mare.

In Italia non c’è nessuna legge nazionale che vieti di giocare a calcio in spiaggia. Gli stabilimenti balneari possono imporre divieti (non sulla battigia, in teoria, che appartiene al demanio) oppure creare aree apposite e delimitate per giocarci, mentre sulle spiagge libere sono i comuni o le capitanerie di porto a decidere se eventualmente vietare o limitare il gioco.

(Tim Clayton/Corbis via Getty Images)

Uno dei giochi più comuni da fare in spiaggia con un pallone è la “tedesca”, che nelle varie parti d’Italia ha anche altri nomi come “11”, “21”, “tecnic”, “giocolone”, “al volo”. È praticato un po’ ovunque (oratori e piazze, per esempio), ma la spiaggia si presta particolarmente perché a tedesca si può calciare in porta solo al volo, e quindi il gioco non è troppo influenzato dai rimbalzi irregolari della palla sulla sabbia, e colpi spettacolari come le rovesciate sono incentivati (ci si fa meno male ad atterrare sulla sabbia).

A tedesca si gioca con una sola porta e tutti contro tutti: ciascun giocatore ha il suo punteggio, ma quando non è in porta collabora con gli altri per cercare di fare gol e togliere punti al giocatore che in quel momento è in porta. Come detto si può fare gol solo colpendo al volo e di prima intenzione (senza palleggiare), mentre quando si tira fuori o (in alcune versioni) il portiere riesce a bloccare il tiro, chi ha tirato va in porta.

Si comincia tutti con un punteggio simile (per esempio: 11 per chi inizia in porta e 10 per gli altri) e l’obiettivo è far perdere punti agli avversari fino a farli arrivare a zero: alcuni stabiliscono che ogni gol vale 1, altri invece attribuiscono a ogni gesto tecnico un punteggio crescente in base alla difficoltà, quindi un normale gol di piede vale 1, uno di testa vale 2, uno di tacco 3 e di rovesciata 5 o 7, tipo. Anche le cosiddette “costruzioni” o “castelli”, le azioni in cui tutti i partecipanti toccano una volta la palla prima di un gol, possono valere più punti.

Ogni città, bagno o gruppo di amici ha le proprie convenzioni, ma una cosa piuttosto trasversale è che il gol di spalla (in gergo “spalletta”) manda direttamente a zero o a 1 il portiere, a prescindere da quanti punti abbia. Arrivati a zero si è eliminati, oppure bisogna fronteggiare un rigore, e se non si subisce gol si rimane in gioco con 1 punto: gli ultimi due rimasti si dividono la vittoria o si fronteggiano in una partita ai tiri di rigore per stabilire il vincitore. Quando si hanno pochi punti, in alcune versioni della tedesca il portiere può mandare in porta un altro giocatore se lo colpisce tirandogli la palla addosso (un gesto un po’ aggressivo conosciuto come “bastarda”, o “scarogna”).

(Alex Grimm – FIFA/FIFA via Getty Images)

Le prime persone che giocarono a calcio su una spiaggia furono, secondo alcune versioni della storia probabilmente piuttosto romanzate, alcuni marinai inglesi in Brasile verso la fine dell’Ottocento. Di sicuro buona parte dell’affermazione globale del beach soccer si deve al Brasile e alle sue spiagge, in particolare Copacabana a Rio de Janeiro: qui nel 1950 fu giocato il primo torneo ufficiale di beach soccer.

Quarantacinque anni dopo, la stessa spiaggia ospitò i primi Mondiali di beach soccer; le prime dieci edizioni non furono organizzate dalla FIFA e si giocarono tutte in Brasile, la cui nazionale vinse nove volte. Da quando, nel 2005, la FIFA ha cominciato a gestirlo, ci sono state altre 14 edizioni, 8 delle quali vinte dal Brasile.

Se il beach soccer ha regole codificate, un campo da gioco standard e un numero fisso di calciatori (5 contro 5), le partitelle di calcio in spiaggia hanno molte meno regole fisse. Si può giocare in quanti si vuole, anche 2 contro 2, e spesso lo si fa con le porte piccole e quindi senza alcun portiere: alcuni tracciano sulla sabbia una piccola area di porta dentro la quale nessuno può entrare, per evitare che un giocatore si piazzi davanti alla porticina, rendendo troppo complicato segnare. A volte le linee del campo non sono nemmeno segnate, e la palla non finisce mai fuori lateralmente; in altri casi viene considerato fuori solo quando la palla finisce in acqua. Una regola di buon senso impone di fermarsi quando transitano dal campo altri bagnanti in passeggiata.

La scelta delle porte piccole, comune soprattutto tra i giocatori più grandi, si spiega in parte con l’esigenza di non poter calciare forte, per non infastidire altre persone, ma anche perché spesso nessuno vuole starci, in porta. Quando le partite si tengono sulla battigia si può tentare di giocare “palla a terra”, ma quando ci si sposta sulla sabbia asciutta aumentano in genere la confusione, l’imprevedibilità e le palle alte (i campi degli stabilimenti sono di solito sulla sabbia asciutta, perché non sono in riva al mare, in condizioni molto simili a quelle del beach soccer).

Il calcio in spiaggia è un calcio caotico, non molto appagante a livello estetico e piuttosto intenso fisicamente, nel quale per eccellere serve avere una tecnica fuori dal comune o molta intensità: non è un caso che si siano formati giocando in spiaggia un calciatore creativo come Neymar (a Praia Grande, nello stato di São Paulo) e uno molto grintoso come Gennaro Gattuso (a Schiavonea, sulla costa ionica della Calabria).

Ancor più selvaggio è il cosiddetto mundialito, un gioco a eliminazione che può durare anche ore e che viene fatto soprattutto da bambine e bambini. Si gioca tutti contro tutti con una sola porta: chi segna passa il turno e si siede a riposo, e alla fine di ogni turno l’ultimo rimasto (che non è riuscito a far gol) viene eliminato. Poi si ricomincia con tutti in gioco, tranne chi è stato eliminato. A volte per avere successo basta stare appostati vicini alla porta e approfittare di quando la palla passa da quelle parti per spingerla in porta; per frenare questo atteggiamento, alcuni impongono un obbligo di allontanarsi dalla porta per provare a segnare. La versione più edulcorata del mundialito, molto agile da fare quando si è in tanti, sono i “rigori eliminatori”. Un giocatore a turno tira un rigore e poi va in porta a parare quello del giocatore successivo: se sbaglia il suo rigore e poi subisce gol, viene eliminato; alla fine ne rimane soltanto uno.

(Alex Grimm – FIFA/FIFA via Getty Images)

Negli ultimi anni nelle spiagge attrezzate si sono diffuse altre varianti del calcio che si possono giocare sulla sabbia, come il footvolley e il teqball. Il footvolley, come si deduce dal nome, è un mix tra calcio e pallavolo: si gioca su un campo da beach volley o da beach tennis, quindi con una rete alta in mezzo, ma non si può colpire la palla con mani o braccia (con tutte le altre parti del corpo sì, come nel calcio). Si possono fare tre tocchi tra compagni di squadra prima di mandare la palla dall’altra parte della rete, e nelle competizioni si gioca 2 contro 2. In spiaggia a livello amatoriale si gioca spesso anche con più giocatori per squadra. Per giocarci con profitto serve essere bravi tecnicamente.

Tanto per cambiare, anche il footvolley è nato a Rio de Janeiro, mentre in Italia è cresciuto in popolarità dall’estate del 2017 in poi, da quando cioè l’ex attaccante della nazionale Christian Vieri organizzò la prima Bobo Summer Cup (Bobo è il suo soprannome), un torneo di footvolley che quell’anno si giocò a Cervia, in Romagna. La Bobo Summer Cup continua a giocarsi su varie spiagge soprattutto della costa adriatica, e al footvolley si è aggiunto il padel (non sulla sabbia).

Diverso è invece il caso in cui si gioca sulla battigia, con una rete bassa (o inesistente) e la palla che può rimbalzare: quello è calciotennis.

Uno scambio di calciotennis (con revisione al VAR finale)

Il teqball è, per farla breve, un ping pong giocato con una palla da calcio, che viene quindi colpita non con una racchetta ma con i piedi (o la testa, il petto, eccetera). Fu istituzionalizzato nel 2012 in Ungheria da tre persone che ebbero l’idea di rendere il tavolo curvo, agevolando in quel modo il rimbalzo della palla verso fondocampo e rendendo quindi il gioco più piacevole e spettacolare. Tantissimi calciatori oggi ci giocano, per svago soprattutto: uno dei primi ambasciatori del teqball fu Ronaldinho.

I tre ungheresi che lo inventarono prima giocavano su semplici tavoli da ping pong, ed è così che ancora oggi si gioca in molte spiagge che non hanno tavoli da teqball: per questo motivo viene anche chiamato informalmente testapong. A volte non serve nemmeno un tavolo da ping pong per giocarci, basta un tavolino, e l’obiettivo diventa farci rimbalzare la palla sopra, senza che ci siano due metà campo separate da una rete.

Il teqball sulla spiaggia funziona bene perché ci si può buttare e fare salvataggi spettacolari (è un gioco insospettabilmente dinamico, come si vede dal video qui sotto).

Un torneo di teqball a Lido di Classe (in Romagna), quattro anni fa

Oltre a tedesche, mundialiti e calciotennis, comunque, il calcio in spiaggia a volte è solo condivisione e gesto tecnico fine a se stesso, senza competizione. Si possono trascorrere pomeriggi in cerchio a “tenerla alta”, cioè a passarsi la palla al volo senza farla cadere (altinha, in Brasile), o a giocare la variante forse meno efficiente del calcio in spiaggia: i tiri in acqua. C’è un portiere che sta in mare, immerso di solito fino alle ginocchia o alla vita, e un numero indefinito di giocatori sulla riva (anche uno solo) che, a turno, calciano la palla verso di lui.

La porta è mobile, indefinita, tranne per i più caparbi che riescono a piantare dei pali dentro l’acqua, i tiri sono perlopiù imprecisi e il ritmo lentissimo. Per la maggior parte del tempo accade solo che il portiere nuoti verso il largo per recuperare la palla (le onde, in questo caso, fungono da raccattapalle naturali). C’è chi prova i tiri a giro per superare un’immaginaria barriera, e chi invece punta a far schizzare la palla sull’acqua prima che arrivi in “porta”, ingannando con rimbalzi imprevisti il portiere. Portiere che, dal canto suo, per parare la palla può fare veri e propri tuffi che sarebbero difficili fuori dall’acqua.

(Lauren DeCicca/Getty Images)

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