Quanto porno è troppo porno?

Non è una questione di ore settimanali ma di impatto sul resto della propria vita, e ci sono dei modi per accorgersene

(Ron Lach/Pexels)
(Ron Lach/Pexels)
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In circa un anno Quittr, un’app ideata da due ventenni americani per aiutare i loro coetanei a consumare meno porno è stata scaricata più di un milione di volte, e ha raccolto circa 100mila abbonati a pagamento. La maggior parte hanno tra i 22 e i 30 anni, ma ce ne sono molti anche sotto i 18 anni. Nonostante non siano ancora molti gli studi a riguardo, Quittr tratta il problema come una dipendenza da cui uscire grazie a un sistema diviso in vari passi che si può completare in 90 giorni. La prima cosa che dice ai nuovi iscritti è: «Scopriamo se hai un problema con il porno. Quanto spesso lo consumi?».

Non che esista un numero preciso di ore settimanali oltre il quale il consumo di porno viene considerato problematico. Anche intuitivamente, però, esiste evidentemente una quantità di porno guardati ogni settimana che sono troppi video porno per una sola settimana. L’idea di Quittr è di riconoscere il momento in cui il rifugio nella pornografia diventa talmente automatico e ricorrente da incidere negativamente sul resto della propria vita.

Nella letteratura scientifica, con “dipendenza” si intende una condizione patologica caratterizzata da una ricerca compulsiva di stimoli gratificanti, persistente nonostante le conseguenze avverse. Da diversi decenni è in corso un dibattito sulla possibilità che queste condizioni patologiche possano svilupparsi non solo per via di sostanze come l’alcool o l’eroina, ma anche per comportamenti come lo shopping o l’uso di internet.

Nel principale testo a cui fanno riferimento i professionisti che vogliono riconoscere disturbi mentali o psicopatologici, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (Dsm-5), una “dipendenza da pornografia” propriamente non esiste: l’unica dipendenza comportamentale riconosciuta è quella verso il gioco d’azzardo. L’abuso di porno si ritrova piuttosto nella Classificazione internazionale delle malattie (ICD) stilata dall’Organizzazione mondiale della sanità, che parla in senso più ampio di Comportamento sessuale compulsivo, un disturbo del controllo degli impulsi sessuali. In pratica, chi ne soffre fatica moltissimo a controllarli e si trova a ripetere spesso specifici comportamenti – come, appunto, il consumo di porno, a volte sempre più estremo – e non riesce a smettere di farlo anche se questi comportamenti cominciano a causare problemi nel resto della sua vita.

I modi in cui l’eccessivo consumo di porno può rovinare la vita sono tanti: non serve che emergano tutti quanti insieme per domandarsi se sarebbe il caso di ridurlo. Nel caso di persone fidanzate o sposate, per esempio, può capitare di mentire al partner in modo da essere lasciati soli per potersi masturbare, oppure di perdere del tutto il desiderio nei confronti di una persona che una volta ne suscitava molto: la disfunzione erettile, per esempio, è un problema diffuso tra chi consuma troppo porno. Rivolgendosi allo psicologo Marco Rossi, un uomo che sospettava di avere un problema con il porno ha raccontato: «resto spesso tutto il giorno davanti al PC a guardare video porno. Ormai la sola cosa che mi permette di arrivare all’orgasmo è masturbarmi mentre sono davanti al computer. La mia ragazza mi ha lasciato perché diceva che mi eccita di più uno schermo di lei… Il fatto è che ha ragione».

Altri cominciano a preoccuparsi perché si accorgono di aver bisogno di contenuti sempre più estremi, bizzarri o addirittura illegali, che in passato non li interessavano per nulla, per poter raggiungere lo stesso grado di eccitazione. Alcuni diventano irritabili o rabbiosi se non hanno tempo di guardarli, altri finiscono per farsi male per la troppa masturbazione. A volte basta semplicemente rendersi conto di voler smettere di consumare così tanto porno, ma di non riuscirci.

Su PsychCentral il dottor Robert Weiss, esperto di comportamento sessuale compulsivo, ha raccontato per esempio la storia di un suo paziente, Mel, un ingegnere che si era trasferito per lavoro lontano dai propri affetti dopo l’università. Mel era un grande lavoratore e nell’arco di pochi mesi aveva ottenuto una promozione che gli aveva anche permesso di comprare un piccolo appartamento. Al contempo «si sentiva profondamente solo», e «scoprì che dopo una lunga giornata di lavoro il modo più veloce per alleviare le sue sensazioni spiacevoli era cercare materiale porno sul PC», riassume Weiss. Arrivò a masturbarsi per 4 o 5 ore al giorno, cercando contenuti sempre più hardcore e anche illegali, e a farlo anche a lavoro, in pausa pranzo. Finì per essere licenziato dopo che una collega aveva segnalato il suo comportamento alle risorse umane.

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Dato che non esiste una diagnosi specifica, i dati sono piuttosto frammentari: nel 2024, però, è stato pubblicato il sondaggio finora più dettagliato sul tema, basato su 82mila intervistati da 42 paesi. I ricercatori consideravano come problematici i casi in cui il rapporto degli intervistati con il porno non era percepito come un passatempo piacevole tra tanti, ma come un’attività che acuiva sensazioni di solitudine, vergogna, depressione e isolamento. Tra gli italiani intervistati, 2401 in totale, il 2,92 per cento aveva un rapporto con il porno di questo tipo. In altri paesi, la percentuale andava tra il 5 e l’8 per cento.

La psicologa Giorgia Fracca ha in cura una ventina di uomini che soffrono di disfunzione erettile priva di basi organiche, collegata anche all’abuso di porno. Racconta di aver parlato con pazienti molto giovani che a forza di guardare porno fin dall’adolescenza avevano cominciato ad aspettarsi dalle partner lo stesso comportamento delle attrici che vedevano online. «Uno in particolare, uno studente gentilissimo che faceva anche volontariato, non riusciva a eccitarsi se non praticando vera e propria violenza sulla compagna, e si stupiva che a lei non piacesse», dice.

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Giuseppe Lavenia, psicologo che si occupa da più di un decennio di comportamenti problematici legati al mondo di internet, dice che il processo di miglioramento comincia nel momento in cui si riconosce di avere un problema con il porno e si cerca aiuto. «Quando il porno diventa un rifugio, una via di fuga dal dolore, dalla noia, dalla solitudine, allora non è più solo un comportamento. È un grido. È un bisogno non ascoltato», spiega.

A quel punto, il ruolo dei terapeuti è quello di spiegare che «non c’è nulla di rotto in loro, ma che c’è piuttosto una sofferenza che ha trovato una scorciatoia sbagliata: non si guarisce mai da soli». Anche Quittr, l’app creata dai due ragazzi statunitensi, si basa fortemente sul sostegno di gruppo, attraverso un forum dedicato dove gli iscritti possono discutere delle loro difficoltà e dei loro traguardi.

A livello psicologico, poi, è importante costruire anche nuovi desideri – sessuali ma non solo – che siano direzionati altrove. Fracca, per esempio, chiede ai suoi pazienti di provare a masturbarsi senza porno, pensando magari al gemito che hanno sentito emettere a una partner in passato. «È quasi un addestramento: tu devi gradualmente allontanarti da quel tipo di pornografia, abbassare i toni, abbandonarla, ancorarti di più alla realtà», dice.

La rapidità con cui ci si riesce dipende dalla determinazione del paziente, dalla capacità di riconoscere di poter cambiare, ma anche dalle circostanze esterne: uno dei suoi pazienti, per esempio, ne è uscito quando ha cominciato a fare politica sul territorio e ha conosciuto una ragazza che non rientrava minimamente in quelli che lui pensava essere i suoi gusti. «È come se andassimo tutti quanti in giro col biberon pieno di biscotti Plasmon e poi ci chiedessimo come mai nessuno va più ai ristoranti stellati», riassume Fracca. «Bisogna gradualmente sganciarsi da quella sbobba che soddisfa i tuoi desideri nell’immediato, e imparare ad articolare un desiderio più libero».