• Sport
  • Mercoledì 6 agosto 2025

Il razzismo nello sport argentino arriva da lontano

Gli episodi frequenti nel calcio e nel rugby sono normali in una società che spesso nega le sue ascendenze africane

di Valerio Moggia

La recente partita di rugby tra Argentina e Inghilterra durante la quale alcuni giocatori inglesi hanno ricevuto insulti razzisti (Marcelo Endelli/Getty Images)
La recente partita di rugby tra Argentina e Inghilterra durante la quale alcuni giocatori inglesi hanno ricevuto insulti razzisti (Marcelo Endelli/Getty Images)
Caricamento player

Il 12 luglio, durante una partita di rugby tra Argentina e Inghilterra giocata a San Juan, alcuni tifosi argentini hanno rivolto insulti razzisti ai giocatori neri dell’Inghilterra. Il presidente della federazione argentina Gabriel Travaglini ha condannato l’episodio ed espresso la propria solidarietà agli atleti inglesi, ma alla fine la sua associazione non è stata in grado di identificare i responsabili, come comunicato lo scorso 21 luglio da World Rugby, cioè l’organizzazione internazionale del rugby.

Questo episodio ha fatto riparlare del problema delle discriminazioni razziali nello sport argentino, di cui spesso sono stati protagonisti gli sportivi stessi. Già nel 2020 era nato un caso piuttosto discusso nel rugby argentino quando la federazione locale aveva sospeso tre giocatori della Nazionale – Guido Petti, Santiago Socino e Pablo Matera, all’epoca capitano dell’Argentina – per commenti xenofobi pubblicati sui social network tra il 2011 e il 2013.

Nel luglio del 2024, poi, una polemica molto grossa aveva coinvolto il calcio, quando il centrocampista Enzo Fernández aveva condiviso sui social un video in cui, durante i festeggiamenti per la vittoria della Copa América, lui e i suoi compagni intonavano un coro con evidenti riferimenti razzisti alle origini africane di alcuni calciatori francesi, diventato già molto popolare dopo i Mondiali del 2022 (vinti dall’Argentina in finale contro la Francia). Il coro in questione è uno di quelli più diffusi tra i tifosi argentini, e non è l’unico con chiare connotazioni xenofobe e razziste. Un altro diffusosi durante i Mondiali del 2022, per esempio, aveva una strofa che diceva: «non sono francese perché non sono africano».

Anche i tifosi, soprattutto quelli di calcio, sono stati coinvolti in casi di razzismo. Nel maggio del 2022 per esempio due tifosi di River Plate e Boca Juniors, tra le principali squadre di calcio argentine, furono sanzionati per episodi razzisti contro giocatori neri brasiliani, avvenuti in due differenti incontri della Copa Libertadores. Un episodio simile si era verificato nella stessa competizione durante l’agosto del 2024, quando alcuni tifosi del San Lorenzo avevano rivolto gesti razzisti verso giocatori dell’Atlético Mineiro. Dopo il caso di Enzo Fernández, quando il centrocampista era tornato come ospite al Monumental (lo stadio del River Plate, la squadra in cui giocava prima di trasferirsi in Europa), gran parte dei tifosi lo aveva accolto replicando il coro incriminato, come segno di solidarietà con il giocatore.

La scorsa estate intanto il presidente argentino Javier Milei aveva difeso pubblicamente i calciatori della Nazionale e aveva costretto alle dimissioni il sottosegretario allo Sport Julio Garro, per aver chiesto al presidente della Federazione calcistica argentina Claudio Tapia e al capitano della squadra Lionel Messi di scusarsi per il coro.

Enzo Fernández (con il numero 8) esulta assieme ai compagni di squadra dopo una recente vittoria dell’Argentina contro il Brasile (Marcelo Endelli/Getty Images)

Il problema del razzismo in Argentina riguarda prima di tutto la società, anche se lo sport è uno dei contesti in cui emerge in modo più evidente. L’Argentina ha un rapporto piuttosto controverso con la sua popolazione afrodiscendente, al punto che un luogo comune molto diffuso nel paese, seppur chiaramente falso, sostiene che non esistano neri in Argentina. Il censimento del 2010 riporta che meno di 150mila argentini si considerano di origine africana, in un paese di oltre 45 milioni di abitanti. Si ritiene che il numero più corretto si aggiri intorno ai 2 milioni di persone.

Secondo i dati del ministero della Cultura, nel censimento del 1778 la popolazione afro-argentina ammontava al 46 per cento del totale, a causa soprattutto della tratta delle persone rese schiave in Africa. Tra il 1777 e il 1812, circa 72mila di loro furono deportate in Argentina e in Uruguay (dove oggi gli afrodiscendenti sono circa l’8% della popolazione). Altre ondate migratorie dall’Africa si sono verificate nel corso della prima metà del Novecento, in particolare da parte di persone in fuga dal colonialismo portoghese, e poi di nuovo negli anni Novanta, con migranti provenienti soprattutto dall’Africa occidentale. La comunità afro-argentina, in ogni caso, oggi non supera il 4,4 per cento della popolazione, a fronte di una media sudamericana del 13.

I motivi che spiegano l’eccezione argentina sono sia storici che politici. La Costituzione del 1853 dichiarava esplicitamente, all’articolo 25, la necessità di favorire l’immigrazione bianca europea nel paese, aderendo alle teorie razziste di Faustino Domingo Sarmiento. Sarmiento fu una figura centrale nella storia politica e sociale dell’Argentina, soprattutto per via della pubblicazione, nel 1845, del libro Facundo: civiltà e barbarie, e perché poi fu presidente del paese tra il 1868 e il 1874. Sulla base delle sue teorie, i governi successivi impostarono un sistema sociale fondato sull’esclusione dei neri, relegati in ghetti ed esclusi dalla possibilità di studiare e di ottenere lavori più pagati. L’unica occasione di risalire la scala sociale era rappresentata dai matrimoni con una persona “più bianca”, che erano piuttosto rari.

Nel corso delle generazioni, questo ha portato sia a una riduzione della popolazione nera argentina, sia a una perdita di memoria sociale da parte di questa stessa comunità. Il calcio presenta alcuni ottimi esempi di questo processo, come quello della famiglia da Graca, che ha fornito tre generazioni di calciatori all’Atlético Los Andes, oggi in seconda serie argentina. Il capostipite, Manuel da Graca, giocò negli anni Trenta ed era nero; il figlio Abel, attivo negli anni Settanta, era di etnia mista; il nipote Hernán, che ha giocato negli anni Novanta, era bianco. In generale pochissimi calciatori neri hanno giocato nella Nazionale argentina: il primo fu l’attaccante Alejandro de los Santos, in campo cinque volte tra il 1922 e il 1925, e non ce ne sono da decenni. Uno studio genealogico del 2022 ha evidenziato come pure Diego Armando Maradona avesse origini afro-argentine e discendesse da uno schiavo, pur non avendone alcuna consapevolezza.

Ancora oggi il razzismo rimane una questione per larga parte irrisolta, in Argentina. La prima volta che un tribunale ha riconosciuto l’aggravante dell’odio razziale in un caso di omicidio, nonostante fosse inclusa nel codice penale sin dal 1960, è stata nel 2023, nel processo che ha visto la condanna di tre poliziotti per l’assassinio del giovane calciatore del Barracas Central Lucas González.

Spesso sembra mancare una consapevolezza reale del problema. Nel 2024 il politologo afro-argentino Federico Pita ricordava sul Buenos Aires Herald un episodio di diciotto anni prima, in cui l’attore Fernando Peña usò l’insulto negro de mierda, giustificandosi poi col fatto che non era un’espressione razzista, ma bensì un modo con cui in Argentina si descriveva «qualcuno che non sa mettere insieme due parole». Nei primi anni Novanta, durante una visita negli Stati Uniti, addirittura il presidente Carlos Menem disse che «non ci sono neri in Argentina; il Brasile ha questo tipo di problema».

L’invisibilità sociale e la disumanizzazione degli afro-argentini è evidente soprattutto nel calcio e nel rugby, gli sport più praticati nel paese. Brian Pérez, attaccante nero del General Roca che gioca nelle serie regionali, ha raccontato nel 2023 all’edizione in spagnolo di Al Jazeera di aver subito insulti razzisti sui campi da calcio fin da quando era bambino. Ma un caso ben più sconvolgente è quello dell’omicidio di Fernando Báez, un diciottenne figlio di immigrati peruviani, morto nel 2020 a seguito di un pestaggio da parte di un gruppo di otto giocatori di rugby. Dai video diffusi sui social, si è potuto notare come gli aggressori di Báez lo insultassero con lo stesso insulto usato da Fernando Peña (nonostante peraltro la vittima non fosse nera).