Cosa cambia nei pronto soccorso senza più medici “gettonisti”

L’organizzazione dei turni e del personale dovrà essere ripensata, ma trovare alternative è complicato

L'ingresso del pronto soccorso dell'ospedale di Bari
L'ingresso del pronto soccorso dell'ospedale di Bari (Donato Fasano/Getty Images)
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Dal 31 luglio gli ospedali pubblici non possono più assumere i cosiddetti gettonisti, cioè medici e mediche che lavorano a chiamata, pagati a ore, attraverso cooperative o aziende a cui fanno ricorso le strutture sanitarie quando mancano medici e infermieri. Il divieto è stato introdotto da un decreto approvato dal governo nel giugno del 2024 che ha comunque dato la possibilità di far valere i contratti fino alla scadenza. Nei prossimi mesi, man mano che scadranno questi contratti, quasi tutti gli ospedali italiani dovranno ripensare l’organizzazione dei turni in molti reparti e in particolare nei pronto soccorso, dove finora i gettonisti hanno coperto moltissimi turni.

Quello dei gettonisti è un problema di cui in Italia si discute ciclicamente da anni. La diminuzione dei fondi destinati alla sanità e l’impoverimento della cosiddetta medicina territoriale, ovvero della rete dei medici di famiglia e degli ambulatori, hanno causato un aumento delle richieste di esami e visite e, alla lunga, una mancanza di medici e infermieri nelle strutture pubbliche.

Gli ospedali hanno scelto soluzioni più o meno creative per affrontare questa mancanza. Alcune aziende sanitarie si sono affidate a medici e infermieri assunti all’estero, come è accaduto in Calabria e in Lombardia. Altre, soprattutto nelle regioni del Nord, hanno affiancato a una progressiva privatizzazione di molte prestazioni sanitarie un ricorso massiccio al personale messo a disposizione da aziende private o cooperative esterne, i gettonisti appunto.

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Soprattutto dall’emergenza coronavirus, il lavoro dei gettonisti è stato integrato nella quotidianità degli ospedali pubblici. I gettonisti guadagnano molto di più rispetto ai medici assunti, anche oltre 100 euro all’ora, con turni che spesso non rispettano gli orari previsti dai contratti collettivi.

Negli anni sono stati individuati diversi problemi dovuti al ricorso massiccio ai gettonisti. Il primo riguarda la preparazione e la formazione dei medici: possono capitare medici abili e capaci, ma nelle aziende e cooperative che li “prestano” al servizio sanitario non è previsto lo stesso sistema di verifica delle competenze del concorso con cui si diventa medici nel pubblico, dove si compete con altri sulla base dei propri titoli, affrontando più prove.

Molti gettonisti si trovano a lavorare in reparti che non corrispondono alla loro specializzazione: può capitare di trovare un dentista in pronto soccorso o uno pneumologo in cardiologia.

L’accumulo di turni è un altro problema. Un medico dipendente di un ospedale in teoria non può lavorare più di 48 ore alla settimana, anche se spesso i limiti del contratto nazionale vengono sforati. È una regola che serve a tutelare i medici, ma anche a farli rendere al meglio in un lavoro spesso molto delicato.

Un medico che lavora “a gettone” invece è libero di accostare più turni, magari per accumulare molti soldi in pochi giorni. Un’indagine fatta nel 2022 dai carabinieri dei NAS ha scoperto medici che accumulavano doppi turni per conto della loro cooperativa e medici ultrasettantenni che lavoravano oltre i limiti di età consentiti dalla legge.

Un altro problema riguarda la mancanza di continuità con i pazienti, il loro percorso di cura, la programmazione delle terapie personalizzate, la conoscenza e il rispetto dei protocolli dell’ospedale in cui si lavora solo per qualche ora, potenzialmente senza tornarci. Nel caso in cui qualcosa vada storto, le conseguenze di eventuali danni rischiano inoltre di ricadere sulle stesse strutture pubbliche.

Per tutte queste ragioni il divieto di assumere gettonisti imposto dal governo è stato accolto con soddisfazione da tutti i sindacati dei medici, che da anni chiedono di dare più soldi agli ospedali per stabilizzare medici precari e assumerne di nuovi.

Molti ospedali non hanno ancora pensato come sostituire i gettonisti. Anzi, molti hanno semplicemente rinnovato i contratti delle cooperative prima del 31 luglio per sfruttare il periodo di transizione concesso dal governo. Molti altri invece sono alle prese con una nuova organizzazione dei turni e delle ferie che deve fare i conti con una mancanza di personale, soprattutto nei pronto soccorso. «È ovvio che con il termine dei loro contratti, sia pure progressivo, la carenza di organico si aggraverà, con un forte impatto sul servizio ospedaliero», ha detto Alessandro Riccardi, presidente della Società italiana di medicina di emergenza e urgenza (Simeu). «La riduzione dei gettonisti è positiva ma mancano, al momento, soluzioni concrete alternative».

I dati diffusi dalla Simeu dicono che finora il 18 per cento delle carenze di organico nei pronto soccorso era coperto con medici gettonisti e che alcune strutture sono arrivate a coprire il 60 per cento dei turni con il personale delle cooperative. Secondo l’associazione, molti medici dovranno saltare le ferie e nei prossimi mesi dovranno coprire molti più turni, con inevitabili rischi per la qualità del servizio.

In Veneto la regione ha scelto una soluzione temporanea: verranno assunti medici specialisti con titolo conseguito all’estero e non ancora riconosciuto in Italia, purché gli stessi medici siano già presenti sul territorio, con permesso di soggiorno per motivi lavorativi. Devono anche conoscere la lingua italiana. L’assessora alla Sanità Manuela Lanzarin l’ha definita una «risposta pragmatica a una situazione di carenza, una misura straordinaria per garantire i servizi ai cittadini ma utile anche per superare il ricorso ai medici gettonisti».

Il ministro della Salute Orazio Schillaci ha provato a rassicurare i dirigenti sanitari dicendo che la spesa prevista per i gettonisti potrà essere utilizzata per fare assunzioni stabili. Ma non è così semplice, innanzitutto perché la programmazione della spesa degli ospedali richiede una previsione su più anni. I sindacati hanno risposto al ministro spiegando che le aziende ricorrono ai gettonisti anche perché il loro reclutamento rientra nella voce “beni e servizi” del bilancio e non nel capitolo del personale, da anni sottoposto a limiti di spesa.

Ma non è facile studiare alternative in poco tempo anche perché trovare medici – in particolare disposti a lavorare nei pronto soccorso – è piuttosto complicato. Negli ultimi anni, soprattutto dopo la pandemia, molti medici si sono dimessi o hanno chiesto di essere trasferiti dai pronto soccorso per via di turni estenuanti, stipendi poco competitivi e rischio di aggressioni.

I turni, che prevedono spesso notti e giorni festivi, rendono poco attraente il mestiere di medico di pronto soccorso soprattutto perché impediscono o quasi l’attività da libero professionista. I medici di pronto soccorso si ritrovano a guadagnare meno dei loro colleghi di ospedale o dei medici di famiglia. A tutto questo si aggiunge che i medici del pronto soccorso sono quelli più esposti ad aggressioni verbali e fisiche. Per questi motivi molti nuovi medici scartano fin da subito la specializzazione di emergenza-urgenza.