I molti afghani costretti a tornare in Afghanistan
L’Iran ne ha espulsi 1,5 milioni e il Pakistan 800mila, con violenze e accuse poco circostanziate: ritrovano un paese povero e senza libertà

Da gennaio l’Iran ha espulso circa un milione e mezzo di persone afghane che vivevano nel paese, con l’obiettivo di arrivare a due milioni entro la fine dell’anno. Le espulsioni sono diventate più frequenti, massicce e aggressive dopo la guerra fra Israele e Iran dello scorso giugno: il regime iraniano sostiene che fra le persone afghane ci siano molte spie pagate dai servizi segreti israeliani. All’inizio di luglio ogni giorno dal principale confine fra Iran e Afghanistan passavano 50mila persone, ora i ritorni si sono stabilizzati intorno ai 20mila al giorno. Sono numeri enormi, che si aggiungono agli oltre 800mila cittadini afghani spinti o costretti a lasciare il Pakistan dall’ottobre del 2023.
L’Afghanistan dei talebani non è in grado di gestire questi ritorni. Inoltre chi negli anni ha lasciato l’Afghanistan in fuga da disoccupazione, fame e restrizione delle libertà personali si trova ora a tornare in un paese altrettanto povero, dipendente dagli aiuti esterni e in cui non sono garantiti i diritti minimi delle persone, soprattutto delle donne.
La diaspora afghana, cioè la fuga di molti dei suoi cittadini, è cominciata alla fine degli anni Settanta, dopo l’invasione sovietica. Si è intensificata a partire dal 2001, durante la guerra fra regime talebano e Stati Uniti, e poi di nuovo nel 2021, quando i talebani sono tornati al potere. Le destinazioni di chi fuggiva dall’Afghanistan sono state principalmente due: il Pakistan, che ha accolto circa 1,4 milioni di rifugiati, e l’Iran. L’Iran è il paese al mondo che ospita più rifugiati (davanti alla Turchia, che ospita prevalentemente siriani): sono ufficialmente quasi 4 milioni, di cui circa il 90 per cento afghani. Il governo iraniano sostiene che siano di più, e arrivino a sei milioni.

La frontiera di Islam Qala (AP Photo/Omid Haqjoo)
L’Iran limita le zone del paese in cui gli afghani possono risiedere (in 10 delle 31 province) e i lavori che sono autorizzati a fare, permettendo solo quelli più umili e meno pagati. Chi è arrivato dopo il 2021 ha ottenuto solo documenti temporanei che permettono di accedere a servizi come scuole e ospedali, ma che rendono complesso aprire un conto in banca, comprare una sim telefonica o usare i trasporti pubblici. Spesso questi immigrati sono costretti a lavorare nel settore cosiddetto “informale”, quello senza tutele né riconoscimenti.
Da almeno un paio d’anni c’è poi una crescente ostilità della popolazione iraniana verso gli immigrati afghani. È alimentata dai social network e causata da una generale restrizione delle risorse e dalla crisi dell’economia iraniana (che ha impoverito un’ampia parte della popolazione). Da alcuni mesi questa ostilità è condivisa anche dal governo iraniano: in varie occasioni i suoi esponenti hanno detto che l’Iran non può più permettersi di sostenere così tanti immigrati, citando le recenti carenze di beni di prima necessità, come acqua o gas per il riscaldamento. Dall’inizio dell’anno l’Iran ha quindi avviato una politica di rimpatri. Inizialmente erano volontari, dal 6 luglio sono diventati forzati e sempre più violenti.
Queste decisioni sono giustificate con strumentali campagne d’odio: sui social media iraniani circolano molte notizie false su crimini commessi da immigrati afghani. Persone afghane sono state picchiate, insultate o cacciate da banche, negozi, farmacie e scuole.

I trasferimenti dall’Iran all’Afghanistan (EPA/SAMIULLAH POPAL)
Nell’ultimo mese alle accuse di omicidi, furti e stupri si sono aggiunte quelle di essere spie di Israele e del suo servizio di intelligence esterna, il Mossad. Non è facile risalire a quando per la prima volta questa accusa sia circolata, e non sembra esserci nemmeno un reale evento scatenante. Le accuse contro gli afghani sono però sostenute anche dal regime iraniano, che ha individuato negli immigrati dei facili capri espiatori per giustificare le notevoli falle del sistema di sicurezza e di intelligence riscontrate durante la guerra con Israele dello scorso giugno, durata 12 giorni.
Il regime ha cominciato a rastrellare immigrati afghani, ad accusarli di essere spie israeliane e in alcuni casi a estorcere delle confessioni con la tortura. Le confessioni sono poi state rese pubbliche, alimentando la storia dei reclutamenti da parte del Mossad e il sentimento anti-afghano tra alcuni settori della popolazione. Molti degli afghani espulsi nelle ultime settimane hanno raccontato di essere stati interrogati, picchiati e accusati di essere spie.
Le espulsioni hanno coinvolto anche persone che risiedevano in Iran da decenni, che avevano regolari documenti e che in alcuni casi erano nate nel paese e non avevano mai visto l’Afghanistan. Spesso gli afghani espulsi non hanno potuto raccogliere i loro beni o ritirare i loro soldi dai conti correnti, mentre c’è chi ha raccontato ai media stranieri di essere stato derubato dalla polizia iraniana, prima di essere portato al confine. Una parte delle persone rientrate in Afghanistan ci è quindi tornata senza nulla con sé e dovrà dipendere dal sostegno dello stato talebano e delle organizzazioni internazionali.
A Islam Qala, principale varco di confine fra Iran e Afghanistan, il regime talebano e le Nazioni Unite hanno organizzato campi di tende, servizi di trasporto verso le principali città afghane e distribuzione di cibo, acqua e piccole somme di denaro per i beni di prima necessità. Ma si tratta di aiuti molto circoscritti e limitati alla prima accoglienza. Il regime ha anche annunciato l’intenzione di costruire 35 nuovi centri abitati per accogliere tutti gli afghani di ritorno, ma non ha fornito dettagli su tempi, modi e fondi con cui finanzierebbe queste costruzioni.

Programmi di prima accoglienza delle Nazioni Unite a Islam Qala (EPA/SAMIULLAH POPAL)
Come detto, da anni anche il Pakistan fa rastrellamenti ed espulsioni di massa fra gli immigrati afghani, sostenendo che gli “irregolari” siano una minaccia per la sicurezza del paese, e accusandoli di contrabbando, attività criminali e attacchi terroristici, soprattutto nelle zone di confine.
Il ritorno dei rifugiati è un enorme problema per l’economia afghana, già in condizioni pessime. Chi da più tempo si era stabilito all’estero (in Iran, in Pakistan ma anche negli altri paesi vicini), spesso inviava denaro alle famiglie rimaste in Afghanistan, e le rimesse costituiscono una parte importante delle entrate del paese. Quasi la metà della popolazione dipende dagli aiuti internazionali, che nell’ultimo anno però si sono molto ridotti, soprattutto per le cancellazioni di molti programmi decise dall’amministrazione statunitense di Donald Trump. Anche le donazioni dei privati sono diminuite, e le organizzazioni umanitarie hanno detto di aver potuto fare solo un quinto degli interventi umanitari necessari: decine di strutture mediche sono state chiuse nell’ultimo anno per mancanza di fondi.
Il ritorno è particolarmente traumatico per le donne, i cui diritti sono stati cancellati dal regime talebano. Le donne non possono lavorare, possono uscire di casa solo accompagnate da un uomo, non possono studiare: l’istruzione per bambine e ragazze arriva fino alle scuole elementari, mentre sono state chiuse le quelle secondarie femminili (medie e superiori).



