Che cosa sappiamo dei soldati libici addestrati nelle basi italiane
Fanno parte di due unità delle forze militari del generale Haftar, ma probabilmente non della brigata più importante: quella guidata dal figlio Saddam

Come ha rivelato il Post giovedì scorso, l’Italia addestra da tempo nelle sue basi militari in Sardegna e Toscana i soldati libici di Khalifa Haftar, generale che controlla di fatto il governo orientale della Libia. La notizia è importante perché ufficialmente l’Italia riconosce come legittimo soltanto l’altro governo libico, quello di Tripoli, che controlla la metà occidentale del paese e che con il governo orientale ha combattuto in diverse occasioni. L’esercito italiano addestra anche le forze militari di Tripoli con un programma parallelo che però non ha gli stessi problemi di quello pensato per i soldati di Haftar, proprio perché l’Italia riconosce il governo occidentale.
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Un dettaglio nuovo e rilevante è che secondo le informazioni raccolte i soldati addestrati in Italia non apparterrebbero alla brigata Tariq ben Ziyad, che è il pezzo pregiato dell’esercito di Haftar. È un’informazione importante, ma ancora da confermare con certezza assoluta, perché Tariq ben Ziyad è comandata dal figlio del generale Haftar in persona, Saddam Haftar, che è anche il capo di stato maggiore delle forze di Bengasi, cioè del governo orientale della Libia.
Questo fa pensare che con il programma di addestramento il governo italiano da una parte non abbia voluto scontentare del tutto Haftar, considerato che ha interesse politico ed economico nel non inimicarsi chi comanda nella Libia orientale; dall’altra che abbia voluto evitare più grossi imbarazzi e problemi con i suoi alleati e con il governo di Tripoli, che sarebbero arrivati se avesse addestrato direttamente la brigata comandata dal figlio del generale.
La brigata Tariq ben Ziyad è coinvolta in una serie di crimini contro gli oppositori di Haftar come arresti arbitrari, sparizioni e torture. Un rapporto di Amnesty International pubblicato nel dicembre del 2022 definì i crimini commessi dai suoi soldati «un catalogo di orrori».
I militari di Haftar addestrati nelle basi italiane fanno parte di due unità, la al Saiqa, che in arabo vuol dire “fulmine”, e la 155esima brigata. Prima di continuare ci sono un paio di avvertenze sui nomi.
Le forze militari di Haftar si fanno chiamare Esercito nazionale libico per dare l’idea che sia Bengasi l’unico potere legittimo in Libia e che prima o poi assorbiranno, magari dopo la sottomissione, anche le forze militari di Tripoli. Ma per adesso non esiste ancora un Esercito nazionale libico, perché come detto la Libia non è un paese unificato.
La seconda avvertenza è che spesso le milizie libiche adottano nomi formali, con numeri ordinali, per dare l’idea di un esercito ben strutturato e organizzato, ma appunto sono soltanto nomi. In realtà i due eserciti, e questo vale sia per Tripoli sia per Bengasi, sono un assortimento di milizie e fazioni armate.
La al Saiqa è una forza speciale ed era tenuta molto in considerazione durante il regime del colonnello Muammar Gheddafi, dittatore libico ucciso nel 2011 mentre cercava di scappare dai ribelli che lo avevano deposto. Dopo la rivoluzione contro Gheddafi, al Saiqa si allineò al generale Haftar e partecipò alla lunga battaglia urbana che si combatté tra il 2014 e il 2017 per cacciare da Bengasi alcune fazioni islamiste e jihadiste che comprendevano anche lo Stato islamico.
Tra l’altro durante la battaglia per Bengasi erano presenti anche forze speciali di paesi occidentali, secondo un articolo di Reuters. C’erano soldati francesi, britannici, americani e italiani e facevano base dentro all’aeroporto di Benina, città della Cirenaica (nella parte orientale della Libia). Non combattevano, ma erano lì con il ruolo di consiglieri militari. È un po’ una costante: i governi stranieri offrono spesso un qualche tipo di assistenza ai governi libici, con l’obiettivo di diventare interlocutori privilegiati.
C’è un video recente dei soldati della al Saiqa che marciano dentro la caserma Pisano di Capo Teulada; e c’è un altro video, anch’esso recente, dei soldati della al Saiqa che si addestrano al combattimento urbano dentro a un edificio assieme a un istruttore dell’esercito italiano.
Tra i soldati di al Saiqa ci sono molti salafiti, quindi credenti musulmani che seguono una versione rigida dell’islam. Appartengono a una corrente del salafismo che predica l’obbedienza alle autorità, perché se sono autorità – è una sintesi rozza – vuol dire che sono state messe al posto di comando da Allah. La corrente che si oppone alla loro è quella dei salafiti jihadisti rivoluzionari, che invece predica la rivolta armata contro le autorità, viste come complici dei nemici della religione.
Anche i soldati della al Saiqa sono stati accusati di crimini di guerra dalla Corte penale internazionale nel 2017, in particolare per un paio di video nei quali un loro comandante, Mahmoud al Werfalli, faceva inginocchiare alcuni prigionieri in riga e li uccideva con un colpo di fucile alla testa. Al Werfalli è stato assassinato nel 2021.
La 155esima brigata è invece un reparto convenzionale, creato con soldati che vengono dalle zone della Libia al confine con Egitto, Ciad e Sudan. Il suo compito è quello di controllare un territorio ampio attraversato anche dalle rotte delle migrazioni e dove si nascondono gruppi di terroristi. Lo fa anche grazie alle buone relazioni locali e familiari dei suoi soldati. È una delle strategie di Haftar per controllare con un numero relativamente basso di uomini le aree molto vaste nel sudest del paese.



