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  • Lunedì 28 luglio 2025

Il campo palestinese di Yarmouk, undici anni dopo

Nel 2014 diventò virale la foto di migliaia di persone assediate dalle forze di Assad in Siria e stremate in attesa di ricevere cibo: oggi in quel posto ci sono solo rovine

di Daniele Raineri, foto di Gabriele Micalizzi

Il campo di Yarmouk, 10 luglio 2025
(Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
Il campo di Yarmouk, 10 luglio 2025 (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
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C’è una foto del campo palestinese di Yarmouk a Damasco, in Siria, che sembra scattata oggi nella Striscia di Gaza e invece fu scattata più di undici anni fa, nel febbraio del 2014. Mostra migliaia di palestinesi stremati in attesa di ricevere cibo, tra palazzi distrutti dai bombardamenti. Oggi quella stessa strada è deserta, i palestinesi sono fuggiti via, restano soltanto i palazzi devastati dai colpi di artiglieria e dalle bombe degli aerei del regime siriano.

La foto scattata a Yarmouk nel 2014 (UNRWA via AP)

Il campo di Yarmouk, 10 luglio 2025 (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

Prima della rivoluzione del 2011 in Siria, Yarmouk era la capitale della diaspora palestinese, un posto pieno di vita e di traffici con una popolazione di 160mila abitanti. Per la maggior parte erano palestinesi cacciati dai territori che erano diventati lo stato di Israele nel 1948, e c’erano anche siriani. Prima del regime degli Assad i palestinesi in Siria avevano gli stessi diritti e la stessa libertà di movimento dei cittadini siriani.

Oggi si parla ancora di «campo», e la scritta in arabo al suo ingresso in effetti dice ancora mukhayyam, come se si trattasse di un campo per sfollati con le tende. Ma nel corso degli anni si era trasformato in un’area con grandi palazzi costruiti in serie, blocchi residenziali, piazze, negozi, ospedali e scuole. Era come altri quartieri della capitale della Siria, ma con un’identità palestinese forte.

L’entrata del quartiere, 10 luglio 2025 (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

Per arrivarci ci vuole un quarto d’ora di macchina dal centro. Vuol dire che negli anni dell’assedio e dei bombardamenti tutta Damasco sentiva con chiarezza le esplosioni continue a meno di otto chilometri di distanza. Fa parte di quello che era la Siria durante il regime del dittatore Bashar al Assad: nella città più importante del paese si pretendeva che la vita scorresse normale, alla periferia c’erano battaglie urbane violente che nella maggioranza dei casi non potevano essere vinte in modo definitivo, potevano soltanto essere contenute. A nessun giornalista straniero era consentito l’accesso.

La posizione di Yarmouk è strategica, dice in una chiacchierata con il Post sulla storia recente del campo Khaled al Bitari, di 60 anni,  uno dei palestinesi che hanno visto i tempi d’oro, poi la guerra e oggi è tornato a viverci. È a sud di Damasco ed è nel mezzo dell’immensa periferia formata da tanti quartieri satellite che vanno da est a ovest. Per andare da un capo all’altro di questa periferia Yarmouk era il passaggio più breve e meno esposto. Era naturale che diventasse importante sia per i rivoltosi sia per le forze di sicurezza di Assad.

Khaled al Bitari, palestinese, 60 anni, al campo di Yarmouk, 10 luglio 2025 (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

Al Bitari ci mostra, fuori da Yarmouk, la pianura che porta verso il monte Qassioun dove c’è ancora il palazzo presidenziale di Assad che affaccia su Damasco (oggi lo usa di giorno il presidente Ahmad al Sharaa, che poi di notte torna a dormire in una villa in città). Da quel monte e dalle basi militari attorno partivano i colpi d’artiglieria che ogni giorno colpivano il quartiere palestinese. E poi c’erano anche i bombardamenti aerei, cominciati il 16 dicembre 2012 con un attacco che colpì una moschea usata come rifugio per sfollati e uccise decine di civili.

Oggi gli effetti delle esplosioni si vedono dappertutto, Yarmouk è un quartiere di rovine. I palazzi rimasti in piedi sono spesso soltanto impalcature di cemento armato senza più pareti, il resto è stato ridotto in briciole di calcestruzzo, i pavimenti sono afflosciati, le facciate non esistono più. Alcune strade sono state sgombrate dai detriti con i bulldozer per far passare auto e biciclette, ma ci sono cumuli di macerie alti dieci metri. Non c’è un singolo edificio integro. Colpisce la differenza tra gli ultimi palazzi al confine di Yarmouk, semidistrutti, e i primi palazzi intoccati di Damasco dall’altro lato della strada, a poche centinaia di metri.

Il campo di Yarmouk, 10 luglio 2025 (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

Il campo di Yarmouk, 10 luglio 2025 (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

Tra i gruppi di ribelli armati che combattevano da dentro Yarmouk c’era anche Jabhat al Nusra, la fazione jihadista comandata da Abu Mohammed al Jolani, che oggi si fa chiamare Ahmad al Sharaa e come abbiamo detto è diventato presidente (ma lui combatteva molto più a nord, nelle regioni di Idlib e Aleppo). Le forze assadiste circondarono il distretto. Ogni via di accesso venne bloccata. Al Bitari racconta che i civili avevano imparato a riconoscere il suono dei bombardamenti in arrivo e a nascondersi dentro alcuni scantinati, che erano dal lato meno esposto rispetto alle postazioni dell’artiglieria ed erano coperti da edifici in rovina che facevano da schermo, e ne indica uno con un dito.

Il posto dove si è nascosto Khaled al Bitari, 10 luglio 2025 (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

A partire dal luglio del 2013 il flusso di cibo, acqua, elettricità e medicine si interruppe. In quegli anni chi poteva scappò, aiutato da contrabbandieri di professione che conoscevano i buchi nella disposizione degli assadisti, oppure sapevano come corromperli, e facevano passare all’esterno. La popolazione scese a meno di 20mila abitanti. Chi era rimasto intrappolato dentro a Yarmouk cominciò a patire la fame. La gente cominciò a mangiare i cani e i gatti. Nel marzo del 2014 uscì un rapporto di Amnesty International che accusava il regime di Assad di crimini di guerra e di usare la fame come un’arma di guerra. Centinaia di persone morirono di denutrizione.

Quando il regime consentì di nuovo l’accesso dell’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, al campo di Yarmouk la fotografia dei palestinesi sopravvissuti e in attesa di una distribuzione di cibo divenne un’immagine simbolo della situazione.

Nell’aprile del 2015 lo Stato islamico entrò dentro Yarmouk e si impose con brutalità sulle altre fazioni. Uccise oppure sottomise gli altri combattenti e obbligò i civili a rispettare la versione rigida della legge islamica che lo Stato islamico predicava. I palestinesi di Yarmouk finirono in mezzo alle due fazioni più temibili della Siria: dentro al campo i miliziani dello Stato islamico che punivano le violazioni con pene terribili, anche con decapitazioni, e fuori dal campo gli assadisti che bombardavano senza alcuna preoccupazione per i civili. Una delle armi tipiche degli assadisti erano i barili bomba, semplici barili riempiti con esplosivo e schegge di metallo lanciati dagli elicotteri e progettati per esplodere al contatto con il suolo, perché le bombe convenzionali erano troppo costose.

Il campo di Yarmouk, 10 luglio 2025 (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)

Nel maggio 2018 l’assedio si concluse con la vittoria delle forze di sicurezza siriane, che fecero un accordo con lo Stato islamico. I combattenti rintanati nel campo accettarono di arrendersi e in cambio poterono salire su alcuni bus messi a disposizione dal governo siriano e diretti verso le zone desertiche a est. Alcuni degli uomini che oggi fanno parte dello Stato islamico sono i reduci di quell’assedio.

La strada dove è stata scattata la foto è deserta e ancora più ingombra di rovine. Una parte degli abitanti però è tornata a Yarmouk, fra gli edifici in rovina troppo costosi da abbattere. Nelle zone meno deserte del quartiere ci sono appartamenti con porte chiuse, ai piani di mezzo di edifici devastati, officine che lavorano al piano terra e camion di fruttivendoli ai lati della strada.