UniCredit ha rinunciato all’acquisto di Banco BPM
Sarebbe stata una delle operazioni più importanti nel settore bancario italiano degli ultimi anni

UniCredit ha annunciato che rinuncerà all’Offerta Pubblica di Scambio (OPSC) con cui voleva acquistare Banco BPM. L’operazione sarebbe stata una delle evoluzioni più significative nel settore bancario italiano negli ultimi anni, ed era quella più osservata del cosiddetto “risiko bancario”, espressione con cui ci si riferisce al complesso e continuo flusso di acquisizioni e fusioni nel settore finanziario con l’obiettivo di creare gruppi sempre più grandi.
UniCredit ha detto che il ricorso del governo al cosiddetto golden power, richiesto dalla dirigenza di Banco BPM, le avrebbe impedito di contrattare con i suoi azionisti, che avrebbero dovuto decidere se aderire o meno all’offerta. Il golden power è lo strumento con cui in casi eccezionali la presidenza del Consiglio può di fatto condizionare o addirittura vietare un’operazione di mercato. Secondo UniCredit in pratica non sarebbe stato possibile completare le trattative entro i termini fissati per l’offerta.
L’intervento del governo aveva causato molte incertezze attorno all’offerta, e aveva rallentato molto le procedure. Martedì la Consob, l’autorità garante della Borsa in Italia, aveva sospeso per 30 giorni l’OPSC di UniCredit per acquistare Banco BPM: era la seconda volta che lo faceva, dopo una prima sospensione a maggio. La scadenza dell’offerta era prevista domani, 23 luglio, ma dopo l’annuncio di Consob sarebbe stata di conseguenza spostata al 21 agosto. La decisione di Consob era stata presa nell’ambito delle incertezze legate alle condizioni imposte dal governo italiano a UniCredit per proseguire con l’operazione: avrebbe dovuto dare più tempo agli azionisti di Banco BPM per decidere se aderire all’offerta.
Per motivi politici, il governo Meloni ha criticato e tentato di ostacolare in ogni modo l’acquisizione di Banco BPM da parte di UniCredit fin dall’inizio. Il ricorso del governo al cosiddetto golden power era stato bloccato da una sentenza del TAR del Lazio, che ne metteva in discussione alcuni punti, ed era stato contestato molto duramente anche dall’Unione Europea.
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