Laura Santi è morta dopo aver avuto accesso al suicidio assistito, infine

Dopo una lunga trafila giudiziaria, civile e penale, per vedersi riconosciuto questo diritto: è la nona persona in Italia

Laura Santi, al centro, tra l'avvocata Filomena Gallo e Marco Cappato dell'Associazione Luca Coscioni, Perugia, 31 maggio 2023 (ANSA/ANGELA ROTINI)
Laura Santi, al centro, tra l'avvocata Filomena Gallo e Marco Cappato dell'Associazione Luca Coscioni, Perugia, 31 maggio 2023 (ANSA/ANGELA ROTINI)
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Lunedì 21 luglio è morta nella sua casa di Perugia Laura Santi, affetta da una forma progressiva e avanzata di sclerosi multipla. Circa tre anni fa aveva fatto richiesta di suicidio assistito, la pratica con cui a determinate condizioni ci si autosomministra un farmaco letale. Si tratta della nona persona in Italia e la prima in Umbria ad aver ottenuto l’autorizzazione al suicidio medicalmente assistito, dopo un lungo e complesso iter giudiziario, civile e penale.

Santi era nata nel 1975 e era malata da più di 25 anni. Negli ultimi anni le sue condizioni si erano aggravate e nel novembre del 2022 aveva presentato la richiesta di accedere al suicidio medicalmente assistito all’Azienda sanitaria locale (ASL) di Perugia, che inizialmente l’aveva respinta.

L’ASL aveva motivato la sua decisione sostenendo che mancasse uno dei quattro requisiti previsti dalla storica sentenza del 2019 della Corte costituzionale che aveva dichiarato illegittimo il divieto al suicidio assistito. Dopo che nel 2024 una sentenza della Corte costituzionale aveva però ampliato la definizione di sostegno vitale, e dopo due denunce, due diffide, un ricorso d’urgenza e un reclamo nei confronti dell’azienda sanitaria, Santi aveva fatto nuovamente richiesta e lo scorso novembre questa era stata infine accolta dall’ASL, che però da allora non le aveva più comunicato né i tempi né le modalità per ricorrere al suicidio assistito, rinviandoli a un incontro successivo che per diversi mesi non c’era stato.

Il 29 aprile Santi aveva dunque comunicato in una lettera la sua decisione di andare in Svizzera per poter accedere al suicidio assistito dato che nella sua regione, l’Umbria, le era stato fino a quel momento impossibile nonostante ne avesse diritto. Aveva scritto che quello a cui «l’inerzia» della regione Umbria la stava esponendo era «un calvario» che si aggiungeva a quello che già doveva affrontare «ogni giorno con la malattia in progressione». Poi, nel giugno 2025, era arrivata la conferma dall’ASL sul protocollo farmacologico e sulle modalità di assunzione del farmaco.

L’Associazione Luca Coscioni, di cui Santi era consigliera generale, ha spiegato che il farmaco e la strumentazione necessaria le sono stati forniti dall’ASL, mentre il personale medico e infermieristico che l’ha assistita nella procedura è stato attivato su base volontaria. L’Associazione ha anche pubblicato sul suo sito la lettera di saluto di Laura Santi, che si conclude così, con un appello:

«Ho potuto vincere la mia battaglia solo grazie agli amici dell’Associazione Luca Coscioni, seguiteli e seguite i diritti e le libertà individuali, mai così messi a dura prova come oggi. Sul fine vita sento uno sproloquio senza fine, l’ingerenza cronica del Vaticano, l’incompetenza della politica. Il disegno di legge che sta portando avanti la maggioranza è un colpo di mano che annullerebbe tutti i diritti. Pretendete invece una buona legge, che rispetti i malati e i loro bisogni. Esercitate il vostro spirito critico, fate pressione, organizzatevi e non restate a guardare, ma attivatevi, perché potrebbe un giorno riguardare anche voi o i vostri cari.

Ricordatemi come una donna che ha amato la vita».

In Italia manca una legge nazionale sul fine vita. Il ricorso al suicidio assistito è infatti legale non grazie a una legge, che non è mai stata approvata, ma grazie alla sentenza della Corte costituzionale del 2019, arrivata dopo anni di iniziative, appelli e infine di disobbedienze civili in cui si chiedeva più libertà sulle scelte individuali di fine vita. Da allora, nonostante i ripetuti inviti della Corte, il parlamento non ha mai approvato una legge per definirne modi e tempi di accesso, e si sono mosse pertanto le singole regioni: la prima a dotarsi di una legge per regolamentare il suicidio assistito è stata la Toscana, lo scorso febbraio.

Finora la mancanza di una legge ha comportato gravi problemi e sofferenze da parte di chi voleva accedere al suicidio assistito, con ritardi, mancanze e ostracismi da parte delle aziende sanitarie locali.

– Leggi anche: Nel disegno di legge del governo sul “fine vita” ci sono almeno due problemi