Il voto dell’esame di maturità serve a qualcosa?
Dipende molto da ciò che si vuole fare dopo, ma nella maggior parte dei casi no

Nelle ultime settimane si è parlato molto di quattro studenti di quinta superiore arrivati alla prova orale dell’esame di maturità con un numero sufficiente di crediti per passare l’esame – 60 su 100 – che hanno deciso di fare scena muta in segno di protesta. Ognuno di loro ha dato una sua spiegazione: Gianmaria Favaretto, lo studente di Padova che per primo ha scelto di protestare in questo modo, ha raccontato di averlo fatto «perché l’attuale meccanismo di valutazione non rispecchia la reale capacità degli studenti». La studentessa di Belluno che ha fatto lo stesso ha detto di voler denunciare il fatto che, in cinque anni, ha «trovato raramente professori che cercassero di capire veramente noi studenti». A Firenze uno studente ha detto di voler protestare contro un modello educativo che premia soltanto chi può permetterselo, mentre a Treviso un altro avrebbe «contestato la struttura dell’esame», secondo una ricostruzione della preside del suo liceo.
In tutti questi casi, gli studenti sono usciti con voti poco più che sufficienti, tra il 61 e il 65 su 100. L’orale di maturità infatti può valere al massimo 20 punti, a cui si possono aggiungere fino a 5 punti ulteriori in caso lo studente si sia distinto particolarmente. I maturandi che hanno protestato, quindi, hanno rinunciato a un voto potenzialmente piuttosto alto. Probabilmente hanno ritenuto di potersi permettere di farlo anche perché in Italia il voto ottenuto alla maturità non serve quasi mai, a meno che lo studente non voglia accedere a certe università straniere, avere borse di studio al primo anno, o qualche punto di vantaggio in certi concorsi per lavorare nel settore pubblico.
Nelle università italiane i corsi senza limiti di iscrizioni non richiedono alcun tipo di voto minimo per l’ammissione, ma anche quelli a numero chiuso si basano esclusivamente sul superamento di un concorso pubblico che non tiene conto del voto di maturità. Questo vale anche per atenei particolarmente prestigiosi come la Normale di Pisa: sul sito, l’ateneo sottolinea che «ai fini dell’ammissione valgono esclusivamente i risultati delle prove di concorso: non conta né il voto di maturità né il precedente curriculum scolastico o universitario».
All’estero invece è diverso. Alcune università straniere – soprattutto le più ambite, o quelle private – richiedono voti di diploma particolarmente elevati: entrare all’università di Oxford, per esempio, è molto difficile in generale, ma quasi impossibile per chi non ha ottenuto almeno 95 su 100 alla maturità.
In Italia il voto della maturità può servire però per ottenere delle agevolazioni economiche. Intanto, al momento, chi consegue la maturità con il massimo dei voti può richiedere la “Carta del merito”, un bonus utilizzabile per l’acquisto di beni e servizi culturali: chi si è diplomato con 100 punti su 100 può richiedere una Carta del valore di 500 euro, mentre chi ha ottenuto anche la lode può ottenere un bonus ulteriore di 115 euro. Non è comunque al momento ancora sicuro che il governo finanzierà nuovamente la Carta del merito in futuro.
Poi ci sono le borse di studio: alcune università prevedono la riduzione delle tasse per il primo anno a chi ha ottenuto voti particolarmente alti alla maturità. La fascia di voti in questione cambia un po’ da università a università: tra gli atenei che prevedono borse di studio per merito fin dal primo anno, comunque, ci sono la Sapienza di Roma, la Bocconi, il Politecnico, la IULM e la Cattolica di Milano, la Ca’ Foscari e lo IUAV di Venezia, la Federico II e l’Orientale di Napoli, l’Università di Bologna, ma anche quelle di Catania, Ferrara, Padova, Perugia, Roma Tre, Trieste e Tor Vergata.
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Per quanto riguarda l’ingresso nel mondo del lavoro, il Post ha chiesto ad alcuni dipendenti di MAW, un’agenzia che si occupa di mettere in contatto le aziende che stanno cercando lavoratori con candidati che potrebbero fare al caso loro. Una di loro ha detto che da quando ha cominciato a lavorare nel suo settore, le è successo una sola volta che un’azienda interessata ad assumere persone neodiplomate le chiedesse di dare peso al voto ottenuto dai candidati all’esame di maturità. «Quando le aziende private italiane, che tendenzialmente sono medio-piccole, mi sottopongono i criteri di selezione per cominciare a cercare candidati, questo punto non c’è praticamente mai», dice. «Poi magari è un tema che emerge tra le domande durante il colloquio: d’altronde, non ci sono tante altre grandi cose che si possono chiedere a un ragazzo neodiplomato». Nella sua esperienza, però, vengono osservate con un interesse molto maggiore le attitudini del candidato, la personalità, le passioni e la capacità di rapportarsi con gli altri.
Un altro dipendente di MAW che lavora solitamente con aziende alla ricerca di persone che abbiano completato gli studi universitari dice che in quei casi vale piuttosto il voto con cui ci si è laureati, ma non viene mai chiesto il voto ottenuto alla maturità. «Un voto, alto o basso che sia, può essere determinante al massimo se durante un colloquio ho bisogno di una conferma di qualche tipo», spiega. Nel caso un candidato neodiplomato non stia facendo un colloquio molto soddisfacente, per esempio, il voto della maturità potrebbe rivelarsi utile. «Se magari non sta andando bene ma è uscito con 100 alla maturità, è possibile che gli faccia qualche domanda in più per capire le ragioni di questo disallineamento».
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«Tendenzialmente il voto valuta una serie di competenze ristrette, ovvero se sei bravo a studiare e a performare in una specifica materia, ma magari poi non sei capace di lavorare in gruppo, di negoziare o di gestire le relazioni», dice Fabiana Andreani, specializzata nell’orientamento al lavoro delle persone sotto i 35 anni. «Negli ultimi anni ho notato che nel settore privato l’interesse per il voto di maturità sta sostanzialmente sparendo: l’indicazione è piuttosto di portare certe competenze trasversali, come la gestione dello stress e della complessità, la conoscenza delle lingue oltre a eventuali skill tecniche».
Nel settore pubblico, che in Italia impiega circa 3,2 milioni di persone, la situazione è un po’ diversa. Fino a qualche anno fa alcuni bandi di concorso pubblici molto richiesti prevedevano uno sbarramento che escludeva le persone a seconda del loro voto di diploma: di solito la soglia era di 70 su 100 o di 80 su 100 per i concorsi più ambiti. Dal 2015, però, una legge prevede che per i bandi aperti alle persone diplomate alle scuole superiori lo sbarramento sia automaticamente al 60, ovvero alla sufficienza: basta, insomma, essersi diplomati anche con il minimo dei voti per poter partecipare a quasi tutti i concorsi pubblici.
Alcuni bandi, comunque, assegnano tuttora dei punti bonus ai candidati che hanno ottenuto determinati voti alla maturità. La Marina militare e la Polizia, per esempio, arrivano a un massimo di 9 punti extra per chi si è diplomato con i voti più alti. Nel 2024 al concorso pubblico per autisti del ministero della Giustizia è stato assegnato 1 punto per i candidati con un voto tra il 60 e il 70, un punto e mezzo per quelli tra 71 e 81, due punti per quelli tra 82 e 92 e tre punti per chiunque avesse ottenuto un voto uguale o superiore al 93. In alcune aziende private a partecipazione pubblica è tuttora richiesto un voto minimo: chi vuole lavorare nelle Poste italiane come portalettere o operatore di sportello, per esempio, deve aver ottenuto un voto di almeno 70 alla maturità o almeno 102 all’università. Lo stesso vale per alcune posizioni aperte da Trenitalia ai neodiplomati.



