Dal porto di Gioia Tauro continua a passare moltissima cocaina

L'ennesima grossa operazione ha portato agli arresti di decine di persone per traffico internazionale di sostanze

Il porto di Gioia Tauro (ANSA/VINCENZO LIVIERI)
Il porto di Gioia Tauro (ANSA/VINCENZO LIVIERI)
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Lunedì mattina in Calabria oltre 250 tra agenti e militari di carabinieri, Guardia di Finanza e polizia hanno arrestato 54 persone in un’estesa operazione contro due associazioni criminali attive nel traffico internazionale e commercio illegale di sostanze stupefacenti: nell’operazione sono stati sequestrati 117 chili di cocaina e beni per un valore complessivo di un milione e mezzo di euro. È solo l’ultimo di una lunga serie di sequestri fatti negli ultimi mesi al porto di Gioia Tauro, che nonostante le continue operazioni delle forze dell’ordine continua a essere un centro logistico fondamentale per il traffico internazionale di sostanze stupefacenti, in particolare di cocaina.

Solo negli ultimi cinque mesi sono stati fatti almeno quattro grossi sequestri con centinaia di chili di cocaina nascosti in container diretti in varie città italiane e anche all’estero, nei paesi dell’Est Europa. Tra i più rilevanti ce n’è uno dello scorso febbraio, quando la Guardia di Finanza ha trovato 788 chili di cocaina in un’intercapedine ricavata nel vano motore di un container refrigerato che trasportava pesce surgelato.

Sono diversi i motivi che spiegano come mai Gioia Tauro è il porto preferito dalle organizzazioni criminali. È al centro del Mediterraneo, in una posizione ideale per le rotte commerciali che collegano il Sudamerica – da dove arriva la cocaina – all’Europa e al Nord Africa. Essendo uno dei porti container più grandi in Italia, inoltre, ogni anno a Gioia Tauro arrivano milioni di container di cui solo una parte viene effettivamente ispezionata. Negli anni i trafficanti hanno trovato modi molto creativi per nascondere le sostanze nei container oppure nella merce importata.

Un altro motivo, non secondario, è la presenza della ’ndrangheta che controlla il territorio della Calabria e da anni ha legami con i produttori sudamericani di sostanze illegali. La ’ndrangheta controlla direttamente molti dei traffici, riuscendo a recuperare carichi di sostanze in modo mirato, in alcuni casi prima dei controlli delle forze dell’ordine grazie all’aiuto di funzionari compiacenti o corrotti, come hanno dimostrato diverse inchieste.

L’operazione di lunedì è il risultato di indagini durate dal 2021 al 2024, che hanno portato a individuare due distinte associazioni criminali impegnate nel traffico di sostanze stupefacenti. Le persone arrestate sono accusate a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio, riciclaggio ed estorsione. Per alcune delle persone indagate c’è l’aggravante di aver agito con metodo mafioso.

Il primo gruppo gestiva il traffico internazionale di cocaina, quello che passava dal porto di Gioia Tauro. Secondo quanto concluso dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, si parla di una struttura criminale molto ben organizzata, basata anche su legami familiari e con esponenti di storiche cosche della ’ndrangheta (le “cosche” sono i nuclei criminali dell’organizzazione) coinvolti in vari modi nella gestione del traffico di cocaina e nei contatti coi fornitori stranieri.

Le indagini hanno accertato che il ricavato del traffico sarebbe stato oggetto di un complesso sistema di riciclaggio di denaro concentrato a Roma, dove i soldi sarebbero stati trasferiti e poi riciclati da un gruppo specializzato di origine cinese, comunicando attraverso sistemi di messaggistica criptata, come SkyEcc, secondo la polizia ampiamente utilizzato in contesti criminali di questo tipo. Oltre al sequestro dei 117 chili di cocaina, sono stati sequestrati 483mila euro in contanti nascosti in un luogo usato come magazzino a Reggio Calabria.

La seconda associazione criminale su cui si è concentrata l’operazione sarebbe invece attiva in Italia e avrebbe gestito il commercio illegale non solo di cocaina ma anche di crack, hashish e marijuana tra la Calabria e la Sicilia: in particolare a Reggio Calabria, Villa San Giovanni, San Roberto, Seminara, Gioia Tauro e Catania. In questo caso si parla di una rete familiare ben organizzata che avrebbe fatto capo a un uomo che gestiva il commercio di sostanze da casa sua, in un piccolo comune dell’Aspromonte (zona montana nel sud della Calabria) in cui si trova ai domiciliari.

L’uomo avrebbe individuato i canali di approvvigionamento delle sostanze da vendere, stabilito i luoghi in cui nasconderle, fissato i prezzi di vendita e stabilito i metodi con cui farsi pagare, anche violenti. Assegnava inoltre ruoli e compiti agli spacciatori attivi nei luoghi di spaccio delle varie città, affidando loro carichi nascosti in sacchi della spazzatura o borsoni che venivano poi trasportati in automobile verso i luoghi di spaccio.