Com’è oggi Palmira
La città siriana famosa per le sue rovine romane è ancora distrutta dai tempi della guerra, come raccontano le foto di Gabriele Micalizzi

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Palmira è un’antica città oasi nel deserto siriano famosa per le rovine romane. Templi, terme, colonnati e teatro sono lì da quasi 2.000 anni, ma gli ultimi quindici, quelli della guerra civile siriana, sono stati complicati. Lungo la strada che porta a Palmira (la parte moderna della città è Tadmor), si incontrano molti checkpoint e segni dei violenti combattimenti fra il regime di Bashar al Assad e lo Stato islamico. A Palmira però hanno combattuto anche forze ribelli siriane, l’esercito russo e miliziani afghani sostenuti dall’Iran.

Un checkpoint sulla strada verso Palmira (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
Lo Stato islamico ha conquistato Palmira due volte, distruggendo parte dei monumenti, e tra le rovine romane ha girato video brutali di esecuzioni. Ha perso Palmira una prima volta nel marzo del 2016, l’ha riconquistata brevemente alla fine di quell’anno e ne è stato definitivamente scacciato nel marzo del 2017. Da allora Palmira è stata sotto il controllo del regime di Assad, fino alla sua caduta nel dicembre del 2024.
Oggi le rovine sono perlopiù deserte, ma prima dell’inizio della guerra civile siriana erano visitate da circa 150mila turisti l’anno.

(Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
Gli edifici più importanti di Palmira furono costruiti quasi interamente dai romani e dai loro alleati tra il primo e il terzo secolo d.C. Palmira è molto conosciuta soprattutto tra gli studiosi di storia antica per essere stata la capitale del Regno di Palmira sotto il governo della regina Zenobia. Il regno fu uno dei territori periferici dell’Impero romano, e uno dei più indipendenti, e Zenobia fu l’unico vero personaggio femminile rilevante in una posizione di potere nella storia dell’Impero romano (Cleopatra in Egitto lo fu tre secoli prima, nell’epoca della Repubblica romana).

I bagni romani all’ingresso della città (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
L’enorme sito archeologico di Palmira fu dichiarato dall’Unesco Patrimonio dell’umanità nel 1980: comprendeva più di 1.000 colonne, un acquedotto e una necropoli con 500 tombe, fra le altre cose.
Quando lo Stato islamico nel 2015 conquistò l’area di Tadmor e Palmira fu subito chiaro che il patrimonio archeologico era a rischio. In altre zone i miliziani dello Stato islamico avevano già distrutto moschee, chiese, edifici religiosi e monumenti precedenti al periodo islamico. Palmira non fece eccezione.
Nel 2015 l’ex direttore del sito archeologico, Khalid al-Asaad, di 83 anni, fu decapitato e il suo corpo esposto pubblicamente. Poi furono distrutti con cariche esplosive alcuni monumenti: il tempio di Baal, costruito nel 32 d.C., quello di Baalshamin, risalente a un secolo più tardi, e l’Arco di Trionfo, chiamato anche Arco di Settimio Severo, costruito a cavallo fra il secondo e il terzo secolo d.C.

L’ingresso del tempio di Baal, distrutto dallo Stato islamico nel 2015 (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
A un certo punto lo Stato islamico usò il teatro romano come set per uno dei suoi brutali video: fece uccidere una ventina di condannati a morte da alcuni bambini armati di pistola.

Il teatro di Palmira (Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
Quando controllava Palmira, lo Stato islamico era al massimo della sua espansione: grandi porzioni dell’Iraq, metà circa della Siria e parti della Libia. Poi una serie di sconfitte militari ridimensionarono il suo territorio. A Palmira fu decisivo l’intervento della Russia, che combatteva a fianco di Assad. Nel 2016, per festeggiare la riconquista da parte del regime di Assad, si tenne nel teatro un concerto di un’orchestra sinfonica russa diretta da Valery Gergiev (tornato proprio oggi al centro delle cronache per un contestato concerto alla Reggia di Caserta). Alcuni mesi dopo il concerto, la città venne riconquistata di nuovo dallo Stato islamico, che la controllò fino al marzo del 2017.

(Gabriele Micalizzi, CESURA, per il Post)
Da allora non sono stati compiuti lavori di restauro: dopo la caduta del regime di Assad alcuni ricercatori ed esperti hanno visitato il sito, raccontando di numerosi scavi illegali nella zona delle tombe, della scomparsa di una serie di statue e di vari danneggiamenti, oltre a quelli già documentati.

















