I dazi di Trump sono sempre più politici
Vuole ottenere concessioni in ambiti anche molto distanti dal commercio, coronando una sua vecchia ossessione

Per il presidente statunitense Donald Trump i dazi non sono soltanto uno strumento economico, ma anche un mezzo con cui fare pressione politica e ottenere concessioni, in qualsiasi ambito. Lo ha confermato mercoledì, quando ha minacciato di alzare al 50 per cento i dazi contro il Brasile se il paese non interromperà «IMMEDIATAMENTE» il processo contro l’ex presidente di estrema destra Jair Bolsonaro, un alleato di Trump che è sotto indagine per aver cercato di rovesciare l’attuale governo di centrosinistra, nel 2023.
Non è la prima volta che Trump fa un utilizzo dei dazi che esula dalla politica economica e cerca di raggiungere obiettivi di altro tipo. A gennaio minacciò dazi del 25 per cento alla Colombia se non avesse accolto alcuni aerei di migranti espulsi (la Colombia cedette). Poi ha imposto dazi contro Canada, Cina e Messico, sostenendo che i paesi stiano contribuendo alla diffusione del fentanyl, un oppioide, negli Stati Uniti. Ha minacciato di alti dazi i paesi che comprano petrolio dal Venezuela. Più di recente ha detto che la Spagna dovrà «pagare doppio» per ogni accordo commerciale perché si è rifiutata di aumentare la spesa militare quanto lui avrebbe voluto.
Trump è notoriamente ossessionato dai dazi e fin dagli anni Ottanta, quando ancora era un imprenditore e un personaggio televisivo, sostiene che gli altri paesi stiano «fregando» gli Stati Uniti a livello commerciale e che sia necessario farli «pagare». Il passaggio da strumento commerciale ad arma di pressione politica è più recente, ed è diventato evidente soltanto durante il suo secondo mandato da presidente, cominciato lo scorso gennaio. Trump oggi considera i dazi come il metodo più convincente a disposizione degli Stati Uniti per costringere gli altri paesi a fare concessioni.
Le politiche commerciali erano usate come strumento di pressione economica e politica soprattutto nell’Ottocento, quando i grandi paesi imponevano dazi ed embarghi contro i loro avversari. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, però, gli Stati Uniti favorirono la libera circolazione delle merci, in un sistema commerciale globale che invece scoraggia l’uso dei dazi come arma politica. Nel 1947 il grande Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio, e poi nel 1995 la fondazione dell’Organizzazione mondiale del commercio, hanno contribuito a mantenere i commerci aperti e i dazi bassi per tutti.

Una protesta a San Paolo, in Brasile, dopo le minacce sui dazi di Trump, 10 luglio 2025 (AP Photo/Andre Penner)
Negli ultimi decenni il principale strumento di pressione politica internazionale non sono stati i dazi ma le sanzioni. Veloce promemoria: un dazio è una tassa che i consumatori o le imprese del proprio paese devono pagare sull’importazione delle merci dall’estero; una sanzione è una misura punitiva nei confronti di un altro paese, per esempio un blocco dei commerci o un divieto di vendita di determinati prodotti.
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Con il tempo però le sanzioni hanno gradualmente perso la propria efficacia, perché i paesi che ne sono oggetto sono diventati sempre più abili ad aggirarle o a proteggersi dalle loro conseguenze. Anche per questo i dazi e le politiche commerciali sono diventati uno strumento di pressione politica sempre più utilizzato.
La prima a riprendere questa pratica è stata la Cina: per esempio, quando nel 2020 l’Australia chiese che fosse aperta un’indagine internazionale sulle origini della pandemia da coronavirus, la Cina rispose imponendo dazi al vino australiano. Trump ha poi portato queste pratiche all’estremo.
Questo potrebbe avere per lui anche dei rischi legali. Negli Stati Uniti è il Congresso ad avere il potere di stabilire le politiche commerciali, mentre il presidente può imporre misure commerciali senza autorizzazione soltanto quando ritiene sia in gioco la sicurezza nazionale. Finora Trump ha imposto i suoi dazi sostenendo che i deficit commerciali degli Stati Uniti (quando cioè un paese importa più di quello che esporta) costituiscano un problema per la sicurezza. Già questa è una teoria legale piuttosto ardita, che è stata contestata nei mesi scorsi in tribunale.
L’ultima minaccia nei confronti del Brasile rischia di danneggiare ancora di più gli argomenti dell’amministrazione. Anzitutto perché Trump ha detto esplicitamente di voler imporre dazi per difendere un suo alleato politico, cosa che evidentemente non ha molto a che fare con la sicurezza nazionale. Poi perché gli Stati Uniti non hanno un deficit commerciale con il Brasile, anzi: hanno un surplus di oltre sette miliardi di dollari.
– Ascolta Globo: Capirci qualcosa del casino dei dazi



