Le stablecoin, spiegate bene

Come funziona la criptovaluta che negli Stati Uniti potrebbe diventare un mezzo di pagamento come un altro

(Silas Stein/dpa)
(Silas Stein/dpa)
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L’approccio molto favorevole che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha nei confronti delle criptovalute ha messo in moto nel paese una serie di interventi legislativi per inserire nel circuito ufficiale dei pagamenti digitali le cosiddette stablecoin: sono un particolare tipo di criptovaluta il cui valore è legato a quello di altre attività finanziarie, come il dollaro o l’oro.

Fino a qualche mese fa le stablecoin erano solo una nicchia del grande mercato delle criptovalute, e neanche la più redditizia. Ma ora che negli Stati Uniti potrebbero diventare a breve un mezzo di pagamento come gli altri se ne sta parlando tantissimo: ci si chiede come funzioneranno, diverse aziende hanno iniziato a proporre sul mercato le proprie stablecoin (lo ha fatto PayPal, per esempio), le banche si stanno attrezzando e via così. Di stablecoin si parla con sempre più curiosità persino nei paesi europei, dove però l’approccio alle criptovalute è invece ancora molto scettico e prudente, e dove la regolamentazione dei pagamenti digitali sta andando in tutt’altra direzione.

Bisogna prima di tutto capire cosa sono, come funzionano e in che modo sono diverse dalle criptovalute classiche.

Le stablecoin sono criptovalute emesse da società private, e come fa intuire il nome sono criptovalute per loro natura più stabili di quelle tradizionali, grazie al fatto che il loro valore è legato a quello di qualcos’altro: la stragrande maggioranza è legata all’andamento del dollaro statunitense, e le società che le emettono hanno riserve in dollari proprio per garantirne il valore. Significa che nei fatti una stablecoin ancorata al dollaro e il dollaro stesso sono intercambiabili: per esempio, la stablecoin più diffusa è Tether, che è legata al dollaro con un rapporto 1:1. Quindi se il dollaro sale guadagna valore anche Tether, e se il dollaro scende lo stesso fa Tether.

Le stablecoin comunque possono essere ancorate a qualsiasi cosa: ad altre monete, all’oro o ad altri metalli preziosi. E poi ci sono quelle definite “algoritmiche”, perché il loro valore è tenuto stabile da algoritmi che stabiliscono la quantità giusta di criptovaluta in circolazione affinché il valore non cambi (la aumentano se c’è richiesta, e la riducono se non c’è). Sono però quelle legate al dollaro che dominano in assoluto l’intero mercato, che complessivamente vale circa 260 miliardi di dollari, di cui 256 sono solo stablecoin legate al dollaro.

Per come funzionano in linea di principio, le stablecoin risolvono una questione molto seria su cui si basa la riluttanza delle autorità di regolamentazione di mezzo mondo a considerare le criptovalute un prodotto finanziario come un altro: cioè il fatto che il valore di quelle convenzionali, come per esempio i Bitcoin, è soggetto a variazioni al rialzo o al ribasso eccezionalmente ampie e improvvise (sono soggette cioè ad alta “volatilità”, come si dice in gergo finanziario).

(AP Photo/Rick Bowmer)

E questo perché il valore delle criptovalute tradizionali – a differenza del prezzo delle azioni di una società o delle stablecoin – non è legato a niente di concreto, nessun fondamentale economico che guidi il mercato, come potrebbe essere il fatturato di un’azienda nel caso del prezzo di un’azione. Il loro valore è determinato solo ed esclusivamente da dinamiche di domanda e offerta.

Consideriamo i Bitcoin, la criptovaluta più famosa e diffusa al mondo: dato che il numero dei Bitcoin in circolazione è quello, più c’è richiesta e più il loro valore aumenta, mentre più le persone tendono a venderli e più il prezzo scenderà. Si è visto chiaramente nei mesi antecedenti all’elezione di Donald Trump: solo l’ipotesi che venisse eletto un presidente favorevole a una maggiore diffusione delle criptovalute aveva innescato aumenti molto marcati (e che in buona parte si erano già sgonfiati immediatamente dopo la sua elezione). In condizioni di questo tipo investire nelle criptovalute è considerato dalle autorità di regolamentazione finanziaria una sorta di azzardo.

Donald Trump a una conferenza sui Bitcoin, a luglio del 2024 (AP Photo/Mark Humphrey)

All’imprevedibilità del loro andamento si aggiunge tutta una serie di problemi legati alla privacy e alla sicurezza informatica degli emittenti. E se pure investire è considerato altamente rischioso, lo è ancor di più detenere criptovalute come mezzo di pagamento, visto quanto il loro valore oscilla nel tempo: una moneta, affinché assolva correttamente la sua funzione, deve essere il più possibile stabile, in modo che il potere d’acquisto di chi la detiene non cambi sensibilmente da un giorno a un altro.

È qui che si mostra bene la diversità delle stablecoin, le cui potenzialità derivano proprio dalla possibilità che siano usate come mezzo di pagamento stabile. Come investimento non rendono poi granché: l’eccessiva stabilità non consente grandi guadagni, che soprattutto nel settore delle criptovalute si fanno proprio sulle ampie differenze di prezzo a cui si rivendono. Al momento le stablecoin sono soprattutto usate per investire in altre criptovalute e nei trasferimenti di denaro in altri paesi, operazioni per le quali hanno costi molto più bassi delle banche.

Affinché però una moneta sia davvero considerata “moneta”, oltre alla stabilità servono altre due condizioni: che consumatori e aziende la usino davvero nelle loro abitudini di pagamento e che ci sia fiducia verso chi la emette. È soprattutto questo il punto su cui ci sono ancora molte perplessità.

Un gruppo di economisti ne ha scritto su VoxEU, un sito di divulgazione economica, e ha usato la famosa frase di un noto economista finlandese per porre questo problema: «Come diceva Holmstrom, la moneta è un debito che ci si scambia senza farci domande, ma le stablecoin sono una nuova forma di denaro privato che viene scambiata invece con parecchie domande». Quando accettiamo un pagamento in euro – che sia fatto in banconote, con carta o bonifico – non ci poniamo mai il dubbio che quegli euro valgano effettivamente qualcosa. E questo perché abbiamo fiducia nel fatto che la Banca Centrale Europea, che li emette, è un’istituzione autorizzata a farlo con corso legale.

Lo stesso non si può dire al momento delle società che emettono stablecoin: sia perché la storia recente delle criptovalute è ormai piena di grandi tracolli, fallimenti e truffe – anche nella nicchia delle stablecoin – sia perché a emetterli sono soggetti privati. Al momento le stablecoin sono economicamente equivalenti ai depositi bancari, e gli emittenti di stablecoin sono economicamente equivalenti alle banche, con la differenza che per ora non sono sottoposti alla normativa finanziaria a cui sono sottoposte le banche. In ogni caso, negli Stati Uniti stanno iniziando a regolarle.

Il senato degli Stati Uniti, a Washington (AP Photo/Patrick Semansky)

Lì è in discussione una legge che si chiama Genius Act, già approvata dal Senato e ora alla Camera: prevede uno schema di regolamentazione per inserire le stablecoin tra i pagamenti digitali accettati nel paese, regolamentazione che poi andrà perfezionata dalle autorità finanziarie. Trump ha detto che la legge deve passare entro agosto: al Senato ha avuto un’approvazione bipartisan, ed è probabile che lo stesso succeda alla Camera. Parte dei Democratici vede infatti la questione come un incentivo all’innovazione di tutto il settore finanziario, mentre un’altra parte la vede come problematica per via del conflitto di interessi di Trump, la cui famiglia sta facendo dei bei soldi con gli investimenti in criptovalute, anche stablecoin.

C’è anche un’altra ragione per cui gli Stati Uniti stanno spingendo così tanto sulle stablecoin: dato che le più diffuse sono quelle ancorate ai dollari (i cui emittenti devono per forza avere riserve in questa valuta o sotto forma di titoli di stato americani, sempre in dollari), promuovendone l’uso l’amministrazione cerca di rafforzare il ruolo del dollaro come valuta di riferimento nel mondo. Lo è già, ma sempre meno per via del recente calo nel suo valore a causa delle stesse politiche erratiche di Trump. Lo stesso vale per i titoli di stato americani: Trump ha bisogno che siano sempre più comprati per finanziare così l’aumento del debito pubblico necessario per le sue politiche di enorme riduzione delle tasse. Di fronte a questo l’Unione Europea sta facendo tutt’altro.

Le istituzioni economiche sono note per essere profondamente scettiche nei confronti delle criptovalute in generale, e lo stesso vale per le stablecoin: tutte le criptovalute sono comunque regolate dal Micar, una norma europea entrata in vigore alla fine del 2024.

Da qualche anno però le istituzioni europee puntano su un loro progetto pubblico di valuta digitale, che quindi sarebbe in concorrenza con le stablecoin ma emesso da un’istituzione pubblica: è l’euro digitale, una valuta del tutto intangibile ma al pari dei contanti. È un progetto su cui l’Unione Europea sta investendo molto, e che ha trovato nuovo entusiasmo nella politica europea anche per il recente peggioramento delle relazioni con gli Stati Uniti, dove hanno sede Visa e Mastercard, le aziende che hanno il monopolio mondiale sui circuiti di pagamento digitale.

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