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  • Giovedì 10 luglio 2025

Tutto inizia dalla Siria

E anche Outpost, la nuova newsletter del Post scritta da Daniele Raineri, che in questi giorni la manda da Damasco

Damasco, Siria, 9 luglio 2025. 
L'edificio davanti al santuario sciita è Sayyida Zeinab, a sud della capitale. Sotto il regime di Assad veniva usato come base dalle milizie sciite; ora dai bambini per giocare.
(Gabriele Micalizzi per il Post)
Damasco, Siria, 9 luglio 2025. L'edificio davanti al santuario sciita è Sayyida Zeinab, a sud della capitale. Sotto il regime di Assad veniva usato come base dalle milizie sciite; ora dai bambini per giocare. (Gabriele Micalizzi per il Post)
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È uscito il primo numero di Outpost, la nuova newsletter del Post scritta da Daniele Raineri. Outpost non ha una cadenza fissa, arriva solo quando Daniele è in trasferta, ogni volta da un luogo diverso del mondo, e raccoglie le tante cose interessanti che Daniele vede nei suoi viaggi, ma che non trovano spazio negli articoli. In questi giorni Daniele è in Siria per raccontare cosa sta succedendo dopo la caduta del regime di Bashar al Assad: lo farà come sempre con gli articoli sul Post e per la prima volta anche su Outpost.

Non è detto che Outpost esca ogni giorno né che arrivi sempre alla stessa ora: se un giorno non ci sarà vorrà dire che Daniele si sta spostando, non ha una connessione internet o che per qualche ragione non è riuscito a inviarla.

Di seguito potete leggere la prima puntata: se vi piace e volete iscrivervi per ricevere quelle che usciranno nei prossimi giorni, potete farlo qui.

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Siria – Giovedì, 10 luglio
Siamo atterrati all’aeroporto di Amman, in Giordania, alle otto e mezza di sera e faceva ancora chiaro. Abbiamo preso una macchina e siamo entrati in Siria poco prima di mezzanotte.

Quando siamo arrivati a Damasco, all’una, c’erano ancora alcuni ristoranti aperti. Manca l’illuminazione e le strade della capitale sono al buio. Per pagare bisogna usare mazzette da centinaia di banconote legate con gli elastici, causa inflazione, con sopra la faccia del dittatore Assad cacciato sette mesi fa. Si passa più tempo a contare le banconote che a fare il resto. Se non fosse per queste cose sembrerebbe un posto normale.

Questa è Outpost, una newsletter del Post che racconta trasferte di lavoro in aree di crisi e io sono Daniele Raineri. Con me in questo viaggio c’è anche Gabriele Micalizzi, un fotografo di guerra molto bravo.

Il cambio in strada è un euro per 11.150 lire siriane. Queste sono mazzette di banconote da 2000 lire siriane, con 120 banconote da 200 lire paghi 4 caffè e un succo di frutta. (Gabriele Micalizzi per il Post)

La Siria mette in crisi quello che pensiamo di sapere del mondo. Il presidente è uno che si era arruolato sia nello Stato Islamico sia in al Qaida, due gruppi terroristici che tra l’altro si odiano, e oggi passa le giornate in giacca e cravatta a ricevere diplomatici da tutto il mondo. Ha stretto la mano anche al presidente americano Donald Trump. Il giorno del nostro arrivo a Damasco la notizia, non confermata, era che il siriano avesse appena incontrato alcuni funzionari israeliani.

Per strada c’è un cartellone con la faccia del presidente (il nome vecchio da combattente era Al Jolani, quello nuovo da politico ripulito è Ahmad al Sharaa) che dice in inglese e in arabo: «Strong leaders make peace» (i leader forti sono quelli che fanno la pace). Mette le mani avanti: non aspettatevi che io dichiari guerre, sono qui per fare accordi. Per ora la cosa è lasciata nel vago. C’è soltanto la parola accordi. Chissà mai con chi. I paesi che confinano con la Siria sono Libano, Turchia, Iraq, Giordania e Israele.

Nota pratica: per il viaggio da Amman a Damasco vedo su una app che si chiama Guru Maps che abbiamo fatto 225 chilometri in quattro ore. C’è da contare il tempo passato a fare la fila tra la gente al confine. Non ci sono controlli speciali. In uscita dalla Giordania ti fanno lo scanner alla retina e per entrare in Siria c’è da pagare settantacinque dollari a testa, in contanti. La prima cosa che abbiamo fatto il mattino dopo è stata andare in un negozio e acquistare una SIM siriana, venticinque euro per cinquanta giga, valida un mese. Ci devi andare con il passaporto, lasciare l’impronta digitale del pollice, fornire il nome dei tuoi genitori e pagare con una mattonella di valuta locale. Ci sono anche voli diretti che atterrano all’aeroporto di Damasco, ma c’erano da fare troppi scali che duravano troppe ore e non conveniva.

La Siria e la sua guerra civile da mezzo milione di morti ammazzati – in maggioranza civili – c’entrano spesso con tutto quello che vediamo agitarsi nel mondo. Facciamo un esempio: se il regime di Assad non fosse crollato nel dicembre del 2024 non ci sarebbe stata la guerra tra Iran e Israele a giugno. Un altro esempio: le prime campagne di disinformazione di massa sui social sono state testate e perfezionate al picco del conflitto siriano, una decina di anni fa, quando ci furono tentativi di scagionare il regime di Assad dall’accusa di avere bombardato la popolazione con armi chimiche. Ecco ancora un altro esempio: negli ultimi dieci anni la Siria per un motivo o per un altro è stata bombardata da Israele, Iran, Stati Uniti, Russia, Turchia, Danimarca, Giordania, Canada, Francia e altri. Un ultimo esempio e poi basta ma ce ne sarebbero altri: tutta la questione curda passa per la Siria.

Damasco, Siria, 9 luglio 2025. Alcuni uomini seduti al centro di una delle arterie principali del centro della città. (Gabriele Micalizzi per il Post)

Abbiamo un fixer siriano, che è una persona che ci aiuta a ottenere i permessi, a tradurre le interviste e trovare le cose che ci interessano. Aveva detto di avere una macchina ma si è presentato a piedi, la macchina arriverà domani – sperabilmente. Gli imprevisti capitano, abbiamo rimediato, siamo andati in molti quartieri di Damasco. Forse per compensare la brutta sorpresa, il fixer si è messo a canticchiare “L’italiano” di Toto Cutugno. Non abbiamo battuto ciglio e non abbiamo riso. Se non siamo indulgenti con i cliché sui siriani, non siamo nemmeno indulgenti con i cliché sugli italiani.

Una delle tappe della giornata era una chiesa della comunità greco-ortodossa colpita da un attentato suicida. Vicino al portone di ingresso in legno, dove tre persone hanno tentato di trascinare via l’attentatore e sapevano che stava per farsi esplodere, c’è uno spruzzo di sangue rappreso, in alto, finito per metà sul muro e per metà su un dipinto sacro.

Damasco, Siria, 9 luglio 2025. La chiesa greco-ortodossa di Mar Elias, nel centro di Damasco. I segni dell’esplosione e degli schizzi di sangue causati dall’attentato da parte dell’ISIS durante la messa. (Gabriele Micalizzi per il Post)

Mentre parlavamo con le persone nella chiesa e ci facevamo raccontare da loro che cosa era successo, siamo stati invitati al piano di sotto, per la veglia funebre di una donna che era morta da poco a causa delle ferite. C’era un grande salone pieno di sedie disposte in file ordinate con cento persone, le donne in nero sedute su un lato a cantare vicino alla bara aperta, gli uomini della famiglia in piedi su un altro lato, in camicia e ben rasati, a ricevere le condoglianze. Siamo andati a stringere la mano uno a uno agli uomini in riga, prima di scattare un po’ di immagini. Fuori dalla chiesa passeggiavano volontari armati di fucili.

Ciao, alla prossima
Daniele

Questa è la prima puntata di Outpost, una newsletter del Post che racconta viaggi in aree di crisi. Per evitare interferenze indesiderate non è un racconto in diretta.

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