Quasi tutti gli imputati per il “caso Bibbiano” sono stati assolti
Sono state giudicate infondate le accuse sui presunti affidi illeciti, su cui nel 2019 ci fu una campagna politica violenta e strumentale

Nel processo di primo grado per il cosiddetto “caso Bibbiano” sono stati assolti quasi tutti gli imputati, e soprattutto sono state giudicate infondate le accuse più gravi e per molto tempo al centro del dibattito pubblico italiano: quelle che ipotizzavano che a Bibbiano, un comune in provincia di Reggio Emilia, ci fosse un sistema illecito per allontanare i bambini dalle loro famiglie e darli in affido ad altre ritenute più adatte. Erano accusati di essere responsabili di questo sistema diversi amministratori locali, assistenti sociali e psicoterapeuti: undici delle quattordici persone imputate sono state assolte per tutti i reati ipotizzati, e altre tre hanno subìto condanne piccole e non legate all’accusa principale, cioè quella del sistema di affidi illeciti.
Il caso venne fuori a giugno del 2019. Bibbiano era stato fino a quel momento un posto sconosciuto ai più: una cittadina a pochi chilometri da Reggio Emilia e di circa 10mila abitanti. Nei mesi successivi sarebbe diventato un nome associato con grande frequenza alle polemiche politiche e usato di continuo in campagna elettorale. Ventiquattro persone furono messe sotto indagine e sedici di loro, tra cui appunto amministratori, assistenti sociali e psicoterapeuti, furono sottoposte a misure cautelari.
La procura di Reggio Emilia li accusava di aver scritto relazioni false – o di averne agevolato la realizzazione – dopo sedute di psicoterapia in cui i minori sarebbero stati suggestionati al punto da alterare i loro ricordi e indurli, in alcuni casi, ad accusare ingiustamente i genitori di molestie sessuali. Le sedute avvenivano in una struttura gestita dalla onlus Hansel e Gretel, di cui era responsabile lo psicoterapeuta Claudio Foti: era lui il principale sospettato nell’indagine. Nel 2021 fu condannato in primo grado per abuso d’ufficio e lesioni dolose gravi, poi il processo di appello nel 2023 ribaltò quella condanna e Foti venne assolto. Foti aveva scelto di essere giudicato col rito abbreviato, mentre le 14 persone di questa sentenza avevano deciso per quello ordinario.
In entrambi i casi la formula delle assoluzioni usata nelle sentenze per i reati riguardanti il cosiddetto “sistema Bibbiano” è stata quella per cui «il fatto non sussiste»: significa che secondo i giudici le condotte contestate non sono avvenute (Foti era stato assolto anche dall’accusa di abuso d’ufficio, in quel caso con la formula «per non aver commesso il fatto»).
Le tre persone che hanno subìto condanne invece sono la responsabile dei servizi sociali nella zona di Bibbiano, Federica Anghinolfi, il coordinatore tecnico del servizio Francesco Monopoli (in pratica vice di Anghinolfi) e la neuropsichiatra Flaviana Murru: i primi due sono stati condannati per falso in atto pubblico, la terza per rivelazione di segreto, per pene complessive di circa 4 anni. Le pene in ogni caso sono sospese, cioè non andranno in carcere, e le condanne non riguardano le accuse principali sul “sistema Bibbiano”, da cui invece sono stati assolti. Possono fare appello contro questa sentenza, e in effetti gli avvocati di Anghinolfi hanno già detto che lo faranno.
Nel 2019 le informazioni sulle indagini su Bibbiano ebbero grande risonanza sui media, riportate spesso in modo sensazionalistico, e il caso dei presunti affidi illeciti divenne in poco tempo nazionale. Fu usato in modo strumentale dalla politica, in una campagna violenta e sguaiata contro il Partito Democratico. Bibbiano infatti nel 2019 era amministrata da un sindaco del PD, Andrea Carletti, anche lui indagato in un filone laterale dell’inchiesta principale. Carletti era accusato di falso ideologico, da cui era stato prosciolto, e abuso d’ufficio, da cui è stato assolto a ottobre del 2024 perché il capo d’accusa ha smesso di essere reato in seguita alla riforma della giustizia del ministro Carlo Nordio. L’accusa riguardava l’assegnazione di spazi comunali e appalti all’associazione Hansel e Gretel. Anche l’attuale sindaco di Bibbiano è del Partito Democratico.
Quelli che più di altri tentarono di sfruttare il caso furono i leader dei partiti di destra, Giorgia Meloni e Matteo Salvini: andarono a Bibbiano accusando esplicitamente tutto il PD di essere responsabile dei fatti al centro delle accuse. L’inchiesta venne usata anche per attaccare la giunta di centrosinistra dell’Emilia-Romagna, guidata da Stefano Bonaccini, anche perché nel 2020 si tenevano le elezioni. A Lega e Fratelli d’Italia si unì poi anche il Movimento 5 Stelle.
Lo slogan più noto della campagna contro il PD fu “parlateci di Bibbiano”, che venne condiviso moltissimo sui social e anche stampato su magliette e striscioni appesi in giro per l’Italia. Fra le altre cose Luigi Di Maio, al tempo esponente più in vista del Movimento 5 Stelle, disse che non si sarebbe mai alleato «con il partito di Bibbiano», cioè appunto il PD, un soprannome che per qualche tempo divenne ricorrente fra i suoi critici. Giorgia Meloni, in un momento in cui il suo partito Fratelli d’Italia era ancora abbastanza irrilevante a livello nazionale, si fece riprendere davanti al cartello che segna l’inizio del comune assieme a persone che avevano in mano fogli su cui era scritto: «Siamo stati primi ad arrivare. Saremo gli ultimi ad andarcene!».
Matteo Salvini, che nel 2020 puntò molto sulla speranza che una candidata di destra vincesse le regionali in Emilia-Romagna, durante la campagna elettorale tenne un comizio in paese. Qualche mese dopo l’arresto il sindaco Carletti presentò una denuncia per diffamazione per 147 post secondo lui offensivi o minacciosi nei suoi confronti: fra questi ce n’era anche uno di Luigi Di Maio. L’accusa contro Di Maio è stata archiviata a gennaio.
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