Perché i lottatori di sumo devono pesare così tanto
E poi cosa mangiano e come si allenano per costruire quel fisico, che ultimamente sta diventando sempre più un problema

Quando si pensa al sumo, lo sport nazionale del Giappone, si pensa subito all’enorme stazza fisica dei suoi atleti, i rikishi. Non esiste infatti altro sport in cui il peso sia un parametro tanto determinante, uno sport in cui l’abbondanza di tessuto adiposo sia un valore. Per fare un esempio, Onosato, che ha 24 anni ed è uno dei lottatori più forti al mondo, è alto 192 centimetri e pesa 191 chili. Ma c’è chi è arrivato a pesare molto di più: nel 2018 il russo Orora Satoshi (il cui vero nome è Anatoliy Mihahanov) arrivò a pesare 292,6 chili, cosa che lo rende ancora oggi il lottatore di sumo più pesante della storia.
Sebbene possa essere un problema e un pericolo per la salute degli atleti (ci arriviamo), nel sumo pesare tanto è fondamentale. Non è prevista infatti la divisione in categorie di peso che è invece presente nella grande maggioranza degli altri sport di combattimento. E visto come funziona il sumo, pesare molto è di grande aiuto.
In un incontro perde il rikishi che esce per primo dal dohyō (il piccolo ring rotondo in cui si combatte) o colui che, cadendo, lo tocca con una parte diversa dalla pianta del piede. Spesso gli incontri durano pochi secondi: i due lottatori si mettono l’uno davanti all’altro, a meno di un metro di distanza, e quando sono pronti, dopo un momento di tensione più o meno lungo, si scontrano con grande veemenza. Per reggere la carica iniziale di un avversario di un certo peso (nel sumo di oggi la maggior parte dei rikishi pesa tra i 150 e i 170 chili), è quasi imprescindibile avere un peso simile.
Nel caso in cui la lotta prosegua dopo la carica, perché nessuno dei due è caduto o uscito dal dohyō, i rikishi iniziano a usare diverse tecniche per far perdere l’equilibrio all’avversario. Una delle più usate consiste nell’aggrapparsi al suo perizoma (il mawashi) per provare a scuoterlo, sollevarlo ed eventualmente farlo cadere. In questi casi per i lottatori di sumo una pancia grossa e pesante è un grande vantaggio, perché permette di avere un baricentro più vicino al suolo, che a sua volta permette di essere molto più stabili. Una pancia con tanto grasso intorno, poi, aiuta ad attutire i colpi.
Non è dunque solo una questione di peso, è anche una questione di distribuzione del grasso nelle varie parti del corpo. Il tessuto adiposo, cioè il grasso, deve essere soprattutto sottocutaneo e non viscerale (che è quello situato tra gli organi e che è più pericoloso per la salute), e deve anche essere accompagnato da una notevole quantità di muscoli. Nei lottatori di sumo, sono visibili soprattutto sulle gambe.

Le muscolose gambe di un lottatore di sumo (Etsuo Hara/Getty Images)
Per costruire un fisico del genere i rikishi devono seguire uno stile di vita molto rigido e tradizionale. I lottatori si allenano tre ore al giorno e in due pasti assumono tra le 5.000 e le 7.000 calorie (più del doppio rispetto alla maggior parte delle persone): il piatto tradizionale della loro dieta è il chanko nabe, uno stufato di carne o pesce che è ricco di proteine e povero di grassi. La dieta controllata e l’allenamento permettono ai rikishi che seguono questo stile di vita di soffrire raramente dei sintomi tipici dell’obesità.
– Leggi anche: La giornata di un lottatore di sumo
Secondo l’antropologo statunitense Kenji Tierney, il sumo aiuta molto a ripensare il concetto di “grasso”. Mentre la parola “ingrassare” in Occidente è spesso connotata negativamente e legata al pregiudizio che una persona molto pesante sia necessariamente in cattiva salute, in giapponese il verbo per descrivere l’aumento di peso è futoru, che è una parola più neutrale e non vuol dire solo “ingrassare”, ma anche semplicemente “diventare più grande”.
Quello dei rikishi rimane comunque uno stile di vita piuttosto estremo, che a lungo termine può portare a numerosi problemi di salute. Questo vale soprattutto per gli atleti che non riescono a gestire il ritiro dal professionismo (magari mantenendo una dieta simile, senza però accompagnarla con ore di allenamento) e finiscono per soffrire di malattie cardiovascolari o diabete. In Giappone l’aspettativa di vita per chi ha fatto il rikishi è di 10 anni più bassa rispetto alla media.
Da qualche anno, però, il problema del peso nel sumo non riguarda più soltanto gli ex atleti, ma anche quelli in attività. Secondo l’ex rikishi irlandese John Gunning, soprattutto in Giappone i giovani atleti subiscono una forte pressione per diventare sempre più pesanti, cosa che spesso li porta a mangiare troppo e a trascurare una dieta equilibrata. Oggi i lottatori di sumo pesano in media 50 chili in più rispetto a quelli di 75 anni fa e 15 chili in più rispetto a quelli di 30 anni fa. Questo ha reso il sumo molto più pericoloso, sia per la salute degli atleti sia perché rende gli scontri sul dohyō potenzialmente più violenti e pericolosi.
In questo contesto, molti osservatori hanno criticato il forte tradizionalismo che in Giappone ancora caratterizza il sumo, dove questa disciplina è ancora una pratica culturale e rituale, non solo uno sport. Di conseguenza, c’è una certa resistenza ad accettare il coinvolgimento di figure professionali come medici e nutrizionisti.



