Nel carcere di Prato sta succedendo di tutto
Evasioni, aggressioni, contrabbando di sostanze e telefoni: diversi agenti della polizia penitenziaria sono indagati

Nelle ultime settimane nel carcere La Dogaia di Prato, in Toscana, sta succedendo di tutto. L’uomo che aveva confessato il femminicidio di Denisa Maria Paun (meglio nota col cognome dell’ex marito, Adas) e di un’altra donna, Ana Maria Andrei, è stato aggredito da un altro detenuto con un pentolino di olio bollente; poi una grossa perquisizione delle forze dell’ordine ha fatto emergere un contrabbando di telefoni e sostanze stupefacenti; e a inizio luglio è evaso un detenuto, il quinto nel giro di un anno.
Infine lo scorso fine settimana alcune persone detenute si sono barricate nella prima sezione della media sicurezza: hanno rovesciato carrelli, tentato di incendiare materiali e sfondato i cancelli di alcune celle con le brande.
La procura di Prato ha fatto sapere di avere aperto diverse inchieste su questi episodi e ha definito la situazione all’interno del carcere «fuori controllo, segnata da un pervasivo tasso di illegalità e da un sistema incapace di garantire sicurezza e dignità». Martedì ha detto di avere avviato un’indagine anche su due presunti casi di stupri e torture tra detenuti, avvenuti nel gennaio del 2020 e a settembre del 2023. Altre indagini stanno andando avanti da oltre un anno, i dettagli sono stati comunicati solo in questi giorni dalla procura stessa, in parallelo alle numerose perquisizioni svolte. Sono indagati tra gli altri anche diversi agenti della polizia penitenziaria, che in certi casi non avrebbero eseguito gli ordini della procura e in altri avrebbero invece ricevuto soldi dai detenuti in cambio di favori.
A differenza della maggior parte delle altre carceri italiane, La Dogaia non ha particolari problemi di sovraffollamento. Secondo i dati del ministero dell’Interno aggiornati al 6 luglio, le persone detenute sono 591 su un totale di 589 posti disponibili. I problemi però sono altri, come aveva già rilevato nella sua visita dell’anno scorso l’associazione Antigone, che si occupa dei diritti e delle garanzie di chi è in carcere: molti detenuti a Prato hanno problemi psichiatrici e tossicodipendenze, e lì vengono trasferiti detenuti che in altre carceri avevano causato disordini.
Il problema maggiore però è il personale insufficiente. Non quello di base, gli agenti ci sono, ma i funzionari e i dirigenti. Il carcere non ha un direttore pienamente operativo da mesi: oggi fa da reggente Patrizia Bravetti, che in passato dirigeva il carcere di Civitavecchia. A maggio del 2024 la garante dei detenuti di Prato, Margherita Michelini, disse: «Tra le tante cose che non vanno, la più grave a mio avviso è la mancanza di coordinamento tra le persone che ci lavorano. […] Questa situazione nasce dal fatto che a mancare sono le figure apicali, non ci sono i coordinatori dei vari reparti, da oltre due anni manca il commissario comandante di reparto, mancano funzionari, scoperti per l’80 per cento».
Di questi problemi ha parlato anche il procuratore di Prato Luca Tescaroli, secondo cui ci sono pochi strumenti per garantire la sicurezza, come telecamere di videosorveglianza e sistemi di allarme. Tescaroli sostiene che gli ispettori e i sovrintendenti (due cariche della polizia penitenziaria) siano sotto organico, e che sia difficile avere interlocutori dentro il carcere di Prato anche perché il reggente ogni tanto cambia (l’anno scorso era il direttore del carcere “Gozzini” di Firenze). Infine, anche nel 2024 i casi di autolesionismo tra i detenuti sono stati numerosi: quattro si sono suicidati.
La situazione del carcere di Prato non è unica, anche se è molto critica considerando che è il secondo penitenziario più grande della Toscana: la maggior parte delle carceri italiane è in pessime condizioni (per stare a un esempio abbastanza vicino, anche Sollicciano ha diversi problemi, per certi versi peggiori) ed episodi di questo tipo capitano anche altrove. Ma stanno emergendo molte informazioni su quello che succede a Prato anche perché la procura ha deciso di raccontare le indagini in corso con comunicati stampa puntuali.

L’esterno del carcere di Prato, 9 marzo 2020 (ANSA/CLAUDIO GIOVANINI)
Il 28 giugno c’è stata una grossa operazione di polizia dentro al carcere coordinata dalla procura di Prato, dopo che indagini avviate a luglio dello scorso anno avevano accertato che a La Dogaia venivano fatti entrare di nascosto cellulari, schede SIM e sostanze stupefacenti destinate a persone detenute nelle sezioni di media e alta sicurezza. In quelle sezioni si trovano i detenuti che dovrebbero avere limitati contatti con l’esterno. Sono stati perquisiti 127 detenuti, dei quali 27 indagati e gli altri cento sospettati comunque di avere usato gli oggetti fatti entrare. Sono indagati per corruzione anche tre agenti della polizia penitenziaria, che secondo la procura avrebbero preso fino a duemila euro per fare entrare i telefoni (ne sono stati sequestrati 34 in un anno).
Dalle indagini è emerso che alcuni detenuti nella sezione di alta sicurezza potevano girare nel reparto senza essere sorvegliati, e soprattutto avevano a disposizione telefoni e smartwatch, che usavano per comunicare con l’esterno. Questi telefoni sono stati fatti entrare in vario modo, secondo chi indaga: erano stati inseriti dentro palloni da calcio lanciati nel cortile del carcere, in altri casi i pacchi venivano portati da familiari durante le visite e non venivano controllati.
Una volta entrati, telefoni, SIM e sostanze sono stati nascosti in doppi fondi creati nelle pentole, nei frigoriferi, nei sanitari del bagno, nelle gambe dei tavoli o nei muri delle celle, dove venivano create intercapedini poi murate con la calce. Tra gli indagati c’è anche un’operatrice delle pulizie nell’infermeria del carcere, che è stata trovata con della cocaina nascosta in un pacchetto di sigarette.
Chi indaga ha inoltre trovato cocaina e hashish in una struttura della Caritas dove soggiornavano alcuni detenuti durante i permessi premiali. Questo edificio sarebbe stato usato come base logistica per portare le sostanze dentro al carcere, sfruttando l’assenza di controlli all’ingresso. Alcune persone detenute che avevano il permesso di accedere a questo edificio sono tra le cinque evase tra il luglio del 2024 e il 4 luglio di quest’anno: queste ultime erano state tutte condannate in via definitiva per diversi reati. Per il caso di un uomo evaso e poi arrestato di nuovo, attualmente detenuto a Firenze, sono indagati anche il comandante di reparto, che ha un incarico temporaneo, e il capo della polizia penitenziaria, con l’accusa di avere facilitato l’evasione dell’uomo.
L’ultima indagine resa nota riguarda invece due presunti stupri commessi da detenuti su altri detenuti. Il primo sarebbe avvenuto a settembre del 2023: un detenuto di 32 anni avrebbe violentato ripetutamente il suo compagno di cella, minacciandolo con un rasoio. Ora è accusato di violenza sessuale aggravata. Il secondo risale a più di cinque anni fa: tra il 12 e il 14 gennaio 2020 due detenuti di 36 e 47 anni avrebbero torturato e stuprato ripetutamente un altro detenuto, che era in carcere per la prima volta. Su questo caso è in corso un processo.
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